Lies, damned lies, and…

lemon graph correlation is not causation

Nonostante il titolo non ho niente contro le statistiche, però…

Oltre agli esperti già menzionati qui che volendo demolire la mazza da hockey l’hanno ricostruita, rif. Steph e Ugo Bardi, volevo attirare l’attenzione su Gregory Webster, uno psicologo dell’università della Florida. Da due sue ricerche risultava che gli autori pubblicati dal Journal of Consulting and Clinical Psychology e da Evolution and Human Behavior erano più citati dai colleghi se i primi avevano abbondato con i rimandi in nota alle pubblicazioni dei secondi. La frase che precede ha qualcosa che non va, o sono io che non mi convinco? Comunque il nesso pareva saldo, ma la comunità scientifica era ristretta. Per verificarlo, Webster ha usato 53.984 articoli usciti su Science dal 1901 al 2000.

La relazione tra il numero di citazioni ricevute da un articolo e quello dei suoi riferimenti bibliografici ha una robustezza addirittura ridicola. Più gente citi, più sei citato.

ha detto a Nature. Per una causa psicologica facile da intuire o per una correlazione come quella stabilita nel dopoguerra in Irlanda tra malattie polmonari e calze di nylon, perché le impudiche dalle gambe nude, all’apparenza, prendevano freddo e le pudiche no?

No, no, no, è una correlazione come quella tra la vendita di gelati e il tasso di criminalità americano, scrive Philip Davis:

Nessuna persona sana di mente sosterrebbe che il gelato causa un comportamento violento. La causa sottostante che collega il numero di omicidi a quello dei gelati è il caldo: rende la gente più irritabile e irrazionale e, nelle circostanze adatte, può portare a un comportamento violento [che sia un altro allarmista del riscaldamento globale?]. Non esiste una base teorica per quella relazione, è semplicemente spuria.

Davis passa a dimostrarlo applicando il metodo Webster agli articoli usciti su Science nel 2007. Al primo colpo, la relazione tra riferimenti bibliografici e  citazioni è positiva. Tenuto conto del numero di pagine per ogni articolo tuttavia, i riferimenti aumentano e salta fuori una relazione negativa che statisticamente è tre volte più significativa. Scompare del tutto con l’aggiunta tra le variabili del numero e della disciplina degli autori. Davis non esclude che gli scienziati si ricambino i favori per migliorare il proprio citation index e le prospettive di carriera, ma resta da dimostrare.

Io, per esempio, cito spesso Steph e Ugo che qualche volta citano me, ma tutti e tre mettiamo una quantità mostruosa di riferimenti bibliografici a scienziati che non ci citano mai. Q.E.D.?