Venti “eminenti accademici” di atenei ateniesi sono indagati dall‘Ufficio europeo per la Lotta Anti-Frode. In dieci anni avrebbero usato 150-200 milioni di euro ricevuti per progetti di ricerca UE, in IT soprattutto, per vivere nell’agio in cambio di falsi studi e false fatture emesse per falsi acquisti da aziende basate a Cipro.
Indagine rivelata dal quotidiano Proto Thema, tradotta da Google con il titolo “Signore, dove ha trovato la Porsche?”, confermata a Nature da un portavoce dell’OLAF, mentre l’università della quale la maggior parte degli indagati fanno parte sarebbe all’oscuro di tutto.
Più frodi americane?
Grant Steen, presidente di un’azienda statunitense di consulenza in comunicazione medica, pubblica sul Journal of Medical Ethics uno studio su 788 ricerche in biologia/medicina archiviate da PubMed e ritrattate per errori e frodi dal 2000 al 2010. Risultati:
Articoli fraudolenti erano pubblicati su riviste con un fattore d’impatto maggiore; circa il 53% erano dovuti a un primo autore che aveva ritrattato altri articoli, e soltanto il 18% nel caso di articoli errati; avevano un maggior numero di autori ed erano ritrattati più lentamente degli articoli errati. A sorpresa, c’erano significativamente più frodi che errori tra gli articoli ritrattati negli Stati Uniti rispetto al resto del mondo.
Non proprio, quelle percentuali sono ottenute dalla somma delle ritrattazioni. Siccome la stragrande maggioranza degli articoli sono scritti da ricercatori basati in USA, di “significativo” dicono poco. Richard Van Noorden rifà la statistica e ottiene risultati molto diversi, sui quali concorda anche Steen:
I ricercatori basati in USA hanno un tasso di frode e ritrattazione più basso di quelli basati in Cina, India e Corea del Sud.
Van Noorden precisa che i suoi calcoli non sono peer-reviewed, ma alle sue orecchie suona
un po’ fuorviante l’affermazione sulla maggior propensione americana alla frode.
Anche alle mie, ma se uno deve vendere consulenze negli Stati Uniti…