Sotto il post precedente, Marina N. scrive (dopo i primi due, aggiungo io i link):
Che tra le donne qualcuna abbia CAPITO, e si sia indignata, per la inqualificabile campagna ipocrita lanciata da Franca Sozzani, tramite la rivista di cui lei stessa ha fatto (e continua a fare) un tempio dell’anoressia, l’ho saputo dal blog di un uomo, da cui sono arrivata a quello di un altro uomo e da qui sono risalita alla protesta che nessuno sente e nessuno ascolta, rimbalza solo su piccoli blog indipendenti che nessuno vede. Eppure blog importanti di donne ci sono, che so il tuo, quelli della Terragni, della Zanardo, il blog impegnato di donna moderna; tutti zitti. Perché? una mia amica ha detto: ma se la Sozzani si arrabbia non le invita più alle sfilate. Ora, questa mi sembra un’ottima ipotesi nel caso di molte colleghe, ma mai nel tuo. Però anche tu, zitta. Eppure il tema mette insieme aspetti di importanza dirompente:
1. una devastante malattia sociale
2. un’operazione di washing aziendale di enorme proporzione e disastrose conseguenze
3. l’ennesimo tentativo di introdurre NUOVE leggi censorie con la scusa che la rete è “pericolosa”
4. il corpo delle donne
5. il ruolo dei media in generale
blabla potrei andare avanti ancora.
Ma tu, ne parlerai? e se no: Dimmi il perché per favore.
Hai ragione, è importante e non lo sapevo e nemmeno chi era Franca Sozzani. Mi sembrava che la sua rivista e qualunque campagna potesse lanciare fossero irrilevanti al di fuori di una piccola cerchia. Però conosco Marina Terragni da molto tempo, ha scritto su anoressia, immaginario e immagini del corpo femminile e penso che lo farà ancora, come Lorella Zanardo (che conosco meno). Sono temi sui quali non scrivo per non invadere il territorio delle colleghe. Riviste come Vogue mi sanno di pornografia e anche i siti pro anoressia che Franca Sozzani vorrebbe far censurare. Così potrei solo esprimere estraneità, rifiuto, tristezza e non serve a nessuno.
Mi occupo di medicina solo per denunciare i misfatti di BigPharma, di anoressia so che giovani donne ne muoiono e che ha cause diverse, poco più. Ho opinioni sull’influenza della pubblicità, nel senso di invito al pubblico consumo, di corpi femminili magri, glabri, tondi, e sui tanti modi di rendere le ragazze infelici del proprio corpo, soprattutto quando a loro sembra che nessuno lo ami. Opinioni né originali né interessanti.
Ho un altro motivo, più politico se vuoi. Grazie a gente che rifletteva sulla “società dello spettacolo” e poi alle femministe sono diventata refrattaria alla pubblicità. Per questo mi fa piacere che le donne ultraviola si mobilitino su Facebook per denunciare l’ipocrisia di Vogue e che a te importi farlo sapere. Non per la denuncia, ma perché chiedersi quello che si prova davanti ai corpi merce, cercare risposte, di capire chi vende e chi compra, di smontare gli ingranaggi di quel mercato, mi sembra un buon modo per non esserne soltanto spettatori/trici.
Forse sbaglio, ma credo che sia necessaria l’esperienza di prendere la parola per liberarci dall’intermediazione di altri occhi su di noi, sugli altri, e che ogni generazione debba imparare a praticare le sue libertà.
Ecco perché non ne parlo. Invece scrivo a te che mi hai dato la parola come altre la daranno a te, e rimando a Facebook che fa parte la civiltà dello spettacolo come Vogue o D o questo blog, ma può anche servirci a cambiare.