Faute de mieux

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Peccato l’assenza (1) di Climate monitor proprio oggi che il paper di Anthony Watts, Roger Pielke Sr., John Christy et al. è stato accettato da una rivista peer-reviewed. E’ il frutto di anni di intenso lavoro da parte dei volontari del Surface Stations Project per dimostrare che le stazioni meteo usate dagli scienziati gonfiano ad arte le temperature statunitensi. Mica come le stazioni meteo vendute da Anthony Watts.
(1) temporanea

Niente arrosto
Privato della fanfara militare nel giorno del trionfo, il bell’Anthony s’auto-incensa e Roger Pielke Sr s’auto-intervista:

D: Allora gli Stati Uniti si riscaldano?

R: Sì in termini di registrazione della temperatura dell’aria alla superficie. Abbiamo guardato le tendenze a 30 e a 115 anni e tutti i gruppi di stazioni mostravano tendenze al riscaldamento in quegli archi di tempo.

D: E’ stato sovrastimato il tasso di riscaldamento?

R: L’innalzamento della temperatura minima sembra esser stato sovrastimato, ma l’innalzamento della temperatura massima sembra esser stato sottostimato.

D: Importano gli errori nelle tendenze della temperatura massima e minima?

R: Importano parecchio. Le temperature minime invernali contribuiscono a determinare la robustezza delle piante e quelle estive sono importanti per la mortalità durante le ondate di caldo, per esempio. Tuttavia, le tendenze delle temperature massime indicano meglio i cambiamenti di temperatura nel resto dell’atmosfera (…).

D: E le tendenze della temperatura media?

R: Negli Stati Uniti, le distorsioni nelle temperature massime e minime hanno all’incirca la stessa dimensione, quindi si cancellano a vicenda e le tendenze medie non sono molto diverse tra una categoria di siti e l’altra.

Fatti noti e corretti da decenni in tutto il mondo, ma certa gente ci mette un po’ a cadere dal pero.

Scienza tout court

Si può ripiegare su Nature Climate Science con un sacco di papers interessanti – solo per abbonati, maledetti, per es.

– una nuova ricostruzione millenaria, dendrocronologica, dell’ENSO da parte di un bel gruppo – comprende Rosanne D’Arrigo. Conferma che

l’ampiezza dell’ENSO mostra un ciclo quasi regolare di 50–90 anni strettamente accoppiato con lo stato medio del Pacifico tropicale. Condizioni di caldo anomalo nel Pacifico orientale sono associate a un aumento di variabilità dell’ENSO, coerente con le simulazioni dei modelli.

– “Forecasting Food” di Andrew Challinor sulle proiezioni dei modelli che accoppiano “clima-agricoltura” e le misure da prendere per tamponare i danni – da abbinare a quello che aveva pubblicato qualche mese fa sulle Phil Trans della  Royal Soc.
– Mike Lockwood critica, al suo solito, i confronti semplicistici tra radiazione solare e temperature, disconnesse di recente, e ricorda che l’effetto top-down della prima non va sottostimato nei modelli di previsione regionale e a breve termine (Lockwood è quello che aveva partecipato alla demolizione dell’ipotesi di Svensmark sui raggi cosmici).

E su Nature
– Sul climategate Fred Pearce ne aveva dette di ogni, comunque trovo giusta la sua critica alle nuove proiezioni demografiche dell’Onu (preparate prima dei risultati del censimento cinese, penso);
– il dibattito “Siamo o no nell’Antropocene” si sposta su “Da quando ci siamo?”
– fra le ricerche, Mark Lucanic et al. scoprono che la longevità del vermetto Caenorhabditis elegans tenuto a stecchetto è merito del suo sistema di endocannabinoidi…

Dubito che si applichi agli umani. Invece domani esce una scoperta grandiosa nel moscerino della frutta…