E’ la settimana mondiale dell’acqua, esce il rapporto dell’International Water Management Institute e UNEP su ecosistemi e agricoltura, in realtà una sintesi di parecchi altri, tutti on line. Per chi vuol capire come è stato stabilito che ogni anno da 5 a 10 milioni di ettari di terre coltivabili vanno persi a causa del degrado dell’ecosistema.
Lettura per Ong, anche se i dati dei paesi poveri sono aggiornati solo in parte e siamo sempre alle solite. Per troppi governi, la sicurezza alimentare si basa ancora sulla disponibilità di cereali (1) e – siccome dall’inizio del secolo la resa aumenta sì e no dell’1,2% annuo, sempre che non non ci siano “eventi meteo estremi” – su monoculture che impoveriscono il suolo, richiedono sempre più fertilizzanti e pesticidi, tanto per accelerare il degrado, e hanno bisogno di grandi quantità d’acqua al momento giusto.
Uno dei rapporti raccomanda che si lasci praticare l’agricoltura alle popolazioni locali anche nelle zone umide attualmente protette come riserve naturali. Ah certo, però ogni volta che si è fatta un’eccezione simile, le popolazioni locali sono state cacciate via dall’agribusiness, complici anche certi funzionari locali della FAO e altre agenzie dell’ONU. Così nessuno ha salvaguardato i “servizi” collettivi forniti dall’ecosistema. Per esempio la protezione data da paludi e mangrovie contro le alluvioni, che all’agribusiness interessa relativamente, ha i mezzi per pagare l’assicurazione.
Tanto per ricordare la protesta in corso a Washington contro il pipeline Keystone XL, l’estrazione del petrolio da sabbie bituminose inquina quantità enormi d’acqua dolce…
(1) L’acqua manca, nell’emisfero nord le risaie ne usano meno e producono meno metano (paper già segnalato una decina di giorni fa, come il prossimo, il rapporto IWMI mi ci ha fatto ripensare). Stabili da un decennio anche le emissioni di metano da combustibili fossili. Forse perché invece di buttare quello dei pozzi di petrolio, ormai si cattura e si vende?