Big Tobacco is good for you

Fonte: Adbusters

Due anni fa, R. J. Reynolds Tobacco usava il Freedom of Information Act (Foia) per tentare – invano – di costringere lo storico della medicina Robert Proctor a consegnarle i file di un libro che stava ancora scrivendo. Due anni fa la Philip Morris usava il Freedom of Information Bill (Foi) per tentare di costringere i ricercatori del Centre for Tobacco Control Research, all’università di Stirling (Scozia), a consegnarle tutta la documentazione di una ricerca su 5.500 ragazzini che hanno cominciato a fumare tra i 11 e i 16 anni, comprese le interviste confidenziali.

Richiesta “vessatoria”, la rimandi al mittente, aveva risposto l’università allo studio legale Clifford Chance che non aveva rivelato il nome del cliente. L’ha dovuto fare per ricorrere all’Information Commissioner per la Scozia che ha ingiunto all’università di evaderla. Ha fornito un minimo di dati, ma s’è tenuta i documenti.

Come osa?
Philip Morris si riserva di appellarsi di nuovo all’Inf. Com. e per giustificare il proprio interesse, altrimenti il FoI non vale, sostiene che vuole “soltanto capire meglio la ricerca”. Come no. Tra altre cose, sonda l’influenza del pacchetto, anonimo o con marchio, sulle decisioni dei ragazzini. A Big Tobacco risulta già che il pacchetto anonimo non li attira, non ha “immagine”.

Siccome solo un fumatore su due riconosce le sue sigarette preferite e l’assuefazione precoce è la più redditizia, il pacchetto anonimo “would kill our business“.

Con la tattica rodata da oltre mezzo secolo, Big Tobacco accusa i ricercatori di disonestà e incompetenza tramite “esperti” pagati per scrivere “contro-rapporti” e finanzia siti web che diffondono i nomi dei ricercatori da perseguitare. Per esempio Linda Bauld, dell’università di Stirling:

Da un anno circa, ricevo telefonate anonime, alla sera, quando sono a casa con i bambini. Un’esperienza sgradevole. E’ successo sei o sette volte, sempre da un numero sconosciuto e di solito dopo qualche post su uno dei principali siti di fumatori.

Mi ricorda qualcosa.

Anche a Heather Brooke del Guardian.

Cita la consegna di tutti i documenti della CRU chiesta da BigOil & Coal, tramite il proprio consulente  Steve McIntyre e blog amici. Non dice che, fallito il tentativo, attraverso un procuratore generale di cui aveva comprato l’elezione cerca di ottenere tutti i documenti di Michael Mann e di trenta ricercatori che hanno avuto rapporti con lui.

Heather Brooke trova che in Europa c’è un atteggiamento anti-business, in America sì che capiscono i vantaggi economici delle informazioni una volta che sono pubbliche. Non sequitur, Philip Morris s’è impegnata a non renderle pubbliche. Conclude la collega:

Sono favorevole all’uso del FoI da parte del business. Non solo perché la gente del business fa parte del pubblico, ma perché una volta che il business, con i suoi grossi budget e uffici legali, comincia a usarlo, potrebbe finalmente mordere sul serio.

Morale: la legge non deve difendere i cittadini dagli abusi dei pubblici poteri, ma incrementare i profitti privati, la spesa sanitaria e la rabbia dei lobbisti.

(h/t Riccardo Reitano)