L'oscillazione sardine-acciughe


A Lima si discute di politica e di economia, da Climalteranti bigino e link per seguire le trattative; alla Royal Society di Londra si discute di scienza in fieri: interazioni tra clima e vapore acqueo/nubi, criosfera, gas serra/ciclo del carbonio, con una sessione su incertezze e rischi.

Gli interventi saranno pubblicati per chi – il senatore Rubbia, magari – non ha seguito i tweets. (Cecilia Bitz dice che l’albedo artica non è determinante per l’amplificazione polare, una delle poche cose che credevo di sapere…)

Di recente il rallentamento del risc. glob. ha suscitato molta ricerca sulla variabilità interna e i suoi effetti locali. E’ sempre il problema dei modelli a 10 anni. Ne parla Rowan Sutton, che pare scettico anche lui sui risultati:

In this talk we will focus especially on decadal timescales, which are of particular interest in relation to recent and near-future anthropogenic climate change. By analysing simulations with multiple climate models we will examine the respective roles of natural internal variability and forced changes in shaping the relationship between local climate (surface air temperature and precipitation) and global mean surface temperature, a relationship which is strongly influenced by climate feedbacks. The extent to which different models give consistent or differing results will be a particular focus. We will also discuss how the results from climate models inform the interpretation of observed changes in climate over the instrumental period.

Una frazione del rallentamento è dovuta agli aerosol vulcanici, se sono misurati non solo dai satelliti, ma anche dai palloni sonda e dai sensori a terra, scrivono David Ridley. Susan Solomon et al. sulle Geophys Res. Letters. Più che altro una conferma: anche le piccole eruzioni di solfati contribuiscono al raffreddamento. Com. stampa del MIT.

“Il tasso di riscaldamento” è minore del previsto, nel senso che è nella parte bassa delle previsioni. Da Climalteranti, agrimensore g chiedeva una tabella riassuntiva delle proiezioni e delle osservazioni per la temperatura (un indicatore dei camb. clim, mica l’unico.)

Eccone una, da confrontare con le emissioni di CO2 e l’attività solare e con “la figura ingannevole più popolare” fra i globalcoolisti – proposta la prima e fatta a pezzi la seconda da Stefan Rahmstorf. Ci aggiungerei l’andamento dell’ENSO che per ora è
“Close, but no cigar”.

Su climate.gov la descrizione dei sintomi è più dettagliata di quella della NOAA. “No cigar” nel senso di no Niño, ma altri paesi lo definiscono in maniera diversa:

For example, the Peruvian National Committee on El Niño Studies (ENFEN) declared a “moderate coastal El Niño” in May of this year; SST anomaly in the easternmmost Niño1+2 region is the primary metric for their declaration of coastal El Niño. Their event peaked in July, and is still ongoing. Atmospheric coupling is not required for them to see impacts: the strong downwelling Kelvin wave in the spring and associated warm SSTs near the Peruvian coast reduced the spatial distribution of anchovies, an important fishery for Peru.

Quindi se la correlazione regge, dovrebbero esserci le sardine:

Chavez gathered data from fellow scientists, not just on fisheries biology, but on sea-surface temperature, elevation, and currents, atmospheric carbon dioxide concentrations and circulation, global air temperature, and more. Despite considerable year-to-year variability, Chavez found parallel trends across the entire Pacific when he looked at three-year averages and subtracted out gradual long-term increases (such as that of carbon dioxide). These trends show that sardine and anchovy regimes alternate about every twenty five years, and that the most recent shift (from sardines to anchovies) occurred in the late 1990’s.

In Italia, niente “pausa” del risc. glob. nei dati dell’ISAC-CNR, forse un po’ di sardine.

22 commenti

  1. Certo oca che se voleva convincere ancor di più (se possibile) l’ agrimensore della giustezza delle di lui opinioni dificilmente avrebbe potuto scovare una comparazione migliore.
    Sono infatti confidente che gli agrimensori gongoleranno al vedere (o rivedere) il grafico linkato che confronta previsioni sulle T superficiali e misurazioni delle stesse.
    Per la loro forma mentis l’ aprirsi a ventaglio dei valori già al 2030 non può che significare che i climatologi sono davvero incapaci di effettuare previsioni quantitativamente accurate ma “gettano la rete” in modo da pescare qualcosina.
    E purtroppo il dato di fatto che nel 1990 l’ IPCC abbia effettuato previsioni che non solo in media ad oggi hanno sovrastimato in maniera riconoscibile l’ aumento reale delle T ma in più che lo slow-down di questo inizio secolo non sia stato previsto nemmeno in maniera qualitativa saranno interpretati in automatico come una prova innegabile che i veri globalcoolisti sono i riscaldisti.
    Sinceramente sarei più sorpreso se gli agrimensori non giungessero a queste logiche, scontate e false deduzioni (più altre ancora a loro favorevoli) guardando la figura 1.4 dell’ AR5-WG1 linkata
    e sono pronto a scommettere che si guarderanno bene dal considerare altre figure come la Faq1.1-1.
    Saranno già più che soddisfatti così.

    1. alberto,
      ma la variabilità era prevista già nei modelli degli anni ’60. Se lo slowdown fosse iniziato nel 2000, la media 2001-2010 non sarebbe stata superiore a quella del decennio precedente. Salvo complotto dei termometri…
      Paolo C.,
      ne avevamo già parlato qualche anno fa con Steph (mi sembra). E’ come per l’ENSO e le acciughe, dipende dalla definizione e quella della NOAA è meteo-idrologica.
      Capisco Mann et al. ma secondo me, in California le cause sono anche politiche, oltre che termo-climatiche…

  2. Bel post.
    Alcune puntualizzazioni ed ev. suggerimenti:
    .@oca
    “oscillazione sardine-acciughe”
    è anche e soprattutto quella dell’ IPO , allo stesso modo in cui nel Nordpacifico influenza i salmoni .
    “Cecilia Bitz dice che l’albedo artica non è determinante per l’amplificazione polare”
    forse perché condivide per es. questo recente lavoro ? Ne ho parlato qui .
    “ne avevamo già parlato qualche anno fa con Steph (mi sembra)”: forse anche qui ?
    .@alberto
    “Saranno già più che soddisfatti così.”
    Penso che abbia ragione. Per es. io ad agrimensore ho provato a consigliare di leggere il mio post dedicato . È uno di quelli che mi ha preso più tempo, cavoli. E parlo anche, indirettamente, del grafo Faq1.1-1/AR5-WG1. Eppure…:-D
    “ma in più che lo slow-down di questo inizio secolo non sia stato previsto…”
    Non sono del tutto d’accordo.
    Previsto: provi a rileggersi quel che ad es. Ghil e Vautard (per la fiera gioia di oca…) scrivevano a tal proposito nel 1991. Qualcosa da altri autori già da prima: e se ne parla pure nel FAR. È stata, in effetti, sottostimata.
    Slowdown di inizio secolo: non penso però che si possa proprio chiamare così, un periodo di tempo (1998-2013) nel quale:
    1) 12 anni su 16 (HadCRUT4) risp. 13 anni su 16 (GISS) sono stati più caldi rispetto a quanto ci si aspetti dal trend di fondo e tutti e 16 sono stati più caldi di quanto ci si aspetterebbe da un ipotetico trend piatto che parte da fine anni 90;
    2) aumenta la frequenza dei singoli anni a scostamento positivo e diminuisce quella a scostamento negativo. Quando il 1998 divenne l’anno più caldo, il 1997 era il secondo in gradutoria. A fine 2013 il ’98 è il terzo ma il 1997 è scivolato al quattordicesimo (per HadCRUT4).
    Tutto ciò non può nemmeno essere definito rallentamento. Al limite, un trend con un tasso di incremento leggermente inferiore al periodo precedente, per via dell’anomalia (quella sì, come detto) del 1998. Una caratteristica di un’andamento tendenziale al rialzo è infatti la presenza di minimi e massimi relativi crescenti nel corso del tempo cronologico. Unendo tali punti si può costruire un canale all’interno del quale il fenomeno evolve in seno ad un trend conservativo, talvolta appoggiandosi sul lato superiore e talvolta sul lato inferiore del canale. Siccome un trend al rialzo lo si analizza partendo dal minimo, finché non si rompe la sequenza di minimi crescenti (scendere sotto il livello dell’ultimo minimo ciclico/relativo), il trend prosegue indisturbato con le stesse caratteristiche pur in un contesto di rallentamento perdurante fintanto che non si sale oltre l’ultimo massimo ciclico/relativo. Interessante notare come – essendo l’ENSO la principale sorgente di variabilità interannuale, in un contesto di trend al rialzo – ogni nuovo anno accompagnato dalla Niña è più o meno caldo come un anno accompagnato da un Niño di circa 13 anni prima. Ho scritto qualche post (la serie “plateau?”) a tal proposito.
    Per il resto concordo con oca, sul fatto che della variabilità interna se ne parlasse già nei 60 e soprattutto dopo i rivoluzionari lavori effettuati per es. al Max Planck fra i 60 e i 70 da parte per es. del gruppo di Klaus Hasselmann. Fino agli anni 60 le due scuole di pensiero dominanti vertevano sul fatto che o la variabilità naturale dovesse essere prodotta da qualche meccanismo forzante (per es. eruzioni vulcaniche o variazioni nella radiazione solare), oppure si riconosceva il fatto che essa potesse essere spiegata semplicemente partendo dal presupposto che il clima è un sistema non lineare contenente feedback.
    In realtà si sapeva che questi sistemi (per es. di tipo turbolento) esibiscono variazioni casuali e solo negli anni 70 si riuscì a determinare l’importanza della separazione delle scale temporali al fine di far emergere l’intrinseca stocasticità delle dinamiche che coinvolgono l’atmosfera da una parte e oceani, criosfera e ciclo del carbonio dall’altra. Però l’idea che in un sistema non lineare come quello climatico ci si possa attendere una variabilità naturale generata internamente allo stesso sistema, era già presente in embrione negli anni 60.

  3. In merito alla frase conclusiva “In Italia, niente “pausa” del risc. glob. nei dati dell’ISAC-CNR, forse un po’ di sardine”, sottolineo il fatto che la cosiddetta “pausa” è riscontrabile anche a livello italiano:
    il trend sugli ultimi 15 anni non è significativo (+0.1 +/- 0.2 °C/decennio, livello di significatività p>0.4, statisticamente non significativo);
    trend 1970-2014 +0.41 +/- 0.04 °C/decennio (livello di significatività p<0.01, altamente significativo);
    trend 1950-2014 +0.25 +/- 0.03 °C/decennio (livello di significatività p<0.01, altamente significativo).
    Resta il fatto che l'ultimo decennio sia il più caldo della serie, ovvero le temperature non sono cresciute più di tanto ma sono rimaste più stabili (rispetto alla crescita riscontrata nei decenni precedenti) su valori che sono comunque i più alti della serie.
    Cordialmente
    Michele Brunetti (ISAC-CNR)

    1. Michele Brunetti,
      grazie della precisazione, in realtà per le sardine pensavo ai dati di quest’anno. Ne approfitto per chiederle – da parte di alcuni lettori – anche se che siete in pochi e tanti precari, non sarebbe possibile fare un bel web come quello climate.gov americano o del Met Office britannico? Magari unendo le forze con il CMCC e le ARPA?
      Steph,
      grazie anche a te di rinfrescarci la memoria. Il link al paper sull’IPO è per abbonati, per ora rimando a wiki.

  4. @oca: la variabilità naturale è un dato di fatto di un sistema intrinsecamente non-deterministico
    su ciò non ci piove.
    La capacità (modesta ad essere sinceri) dei modelli climatologici di prevedere quantitativamente la variabilità a breve termine è tutt’ altra cosa.
    Il suo link non riesco ad aprirlo, ma, (a parte che non so perché lei pone arbitrariamente l’ inizio dello “slowdown” al 2000) tenendo fermo il dato (esatto e ben verificabile) che la Tmedia del primo decennio di questo secolo è stata superiore dell’ ultimo del secolo scorso ciò NON significa che non si sia verificato nell’ intorno (non c’è un anno esatto di partenza, dipende da quanti anni nelle medie mobili si considerano) del passaggio di secolo una diminuzione dell’ incremento del trend delle T medie che si possono chiamare slowdown (come fanno alcuni) o hiatus (come fanno altri) ma che è reale e non cambia a seconda della denominazione. A livello matematico ovviamente un cambiamento nella pendenza del trend i salita quale che sia (sempre che rimanga la salita) renderà sempre> la media del decennio dopo la cuspide superiore a quella del decennio precedente.
    Se mi sono espresso in maniera non chiara basta che lei (ed anche steph) osserviate il grafico linkato della fig.1.4 considerando l’ andamento delle “observations” (linee verde, blu ed ocra credo mediate su 5 anni) per posizionare intorno al 2003 il momento (che ripeto muta leggermente a seconda dell tipo di media effettuta e anche, se vogliamo, dai valori futuri, ossia del 2015 ed oltre) in cui la pendenza della salita (approssimativamente lineare a partire dal 1970 circa, per quanto in lieve impennata tra il 1994 ed il 2003 anche grazie al record del 1998) si riduce con una sorta di angolo (ovviamente smussato).
    @steph: sulla previsione, non la conoscevo. leggerò con interesse.
    Sulla “nominalistica” il termine slowdown credo di averlo letto riportato da qualche climatologo ma vale quanto riposto sopra.

    1. alberto,
      (a parte che non so perché lei pone arbitrariamente l’ inizio dello “slowdown” al 2000)
      ora il link dovrebbe funzionare – non pongo niente, i dati della WMO sono decennali.

  5. @oca: un decennio rimane tale anche se si fa partire dal 1999 dal 2001.
    Il grafico delle medie decennali lo conoscevo già (la fonte è il Summary Report del WMO “The global climate 2001-2010”) e non aggiunge nulla a quello già detto sullo slowdown (o hiatus che dir si voglia) che si vede bene nella fig 1.4 (come in tanti altri articoli peer-reviewed).
    Ovviamente è manifestamente una prova contro le chiacchiere sull’ arresto del GW dei globalcolisti, pure se preminobeldellafisica. (vale anche se si considerano i decenni a partire dal 2013, come si può facilmente calcolare ed ho fatto anch’ io per diletto e per puro spirito di santommasiano).
    @steph: ho letto con interesse l’ abstract dell’ articolo del 1991 di Ghil e Vautard.
    Non contiene previsioni delle T medie future (rispetto ad allora) che si possano paragonare con i dati registrati in seguito fino ad oggi. Si dedica invece ad analizzare statisticamente i valori fino allora disponibili per concludere che le componenti “caotiche” delle oscillazioni naturali sono così ampie (rispetto al trend di fondo del riscaldamento globale)da limitare le capacità predittive dei modelli (direi di tutti i possibili modelli essendo un limite intrinseco del sistema fisico in oggetto) a tempi “brevi” ossia 2-3 decenni).
    Il che torna, dato che appunto gli addetti ai lavori giustamente ripetono che 30 anni solo più o meno la scala temporale adeguata per effettuare valutazioni significative sul clima.
    Certo questo i negazionisti non lo digeriranno mai e continueranno a scambiare la parte orizzontale dei gradini di una scala per l’ assenza della stessa
    ma non è che per rispondere alle fissazioni dei globalcolisti diventa corretto negare la realtà degli andamenti sul breve periodo.
    Anche quelli di SkSc parlano apertamente di “slowdown” (che si può tranquillamente tradurre con “rallentamento” o “decelerazione” del riscaldamento di fondo).
    http://www.skepticalscience.com/volcanoes-may-be-responsible-for-most-of-slowdown.html
    Essere più “realisti del re” non è un atteggiamento scientifico
    anche se magari è umanamente comprensibile.

  6. @alberto
    sì, certo, lo so bene. Slowdown / hiatus sono termini che uso anche io, ma il senso è quello di un *probabile* (non certo, ancora: siamo ancora troppo vicini al 1998…) rallentamento, non di pausa, fine etc etc. Come ho già spiegato.

    1. alberto,
      appunto, quel grafico mostra un’accelerazione – non uno slowdown – nel periodo 2001-2010 rispetto ai due decenni precedenti.
      Steph,
      da qualche parte ne ho uno più recente di Meehl e Santer, salmoni a parte rende l’idea!

  7. @oca
    “Il link al paper sull’IPO è per abbonati”
    pensavo fosse free.
    Anyhow: insieme a quelli di Folland, è uno dei primi che dà una vasta panramica sul fenomeno.
    Salinger et al., 2001. DOI: 10.1002/joc.691

  8. Quando si parla di rallentamento, hiatus e cose del genere bisognerebbe sempre chiarire cosa si intende, cioè se si parla della variabilità o del trend. Se si parla del secondo, avrei da ridire.
    Sappiamo che dal 1970 il trend è positivo e statisticamente significativo. Prendiamo ora, ad esempio, un intervallo di 15 anni e calcoliamo tutti i possibili trend e la loro significatività. Nei dati GISS quest’ultima è in media 0.10 °C/decennio (2 sigma, senza autocorrelazione) a fronte di un trend complessivo di 0.16 °C/decennio. Data la variabilità, definire l’intervallo di tempo definisce questa soglia, rendendo indirettamente i trend inferiori non statisticamente significativi. E’ uno scherzo della variabilità, non una variazione del trend.
    La non significatività, detto in soldoni, vuol dire non essere in grado di distinguere il trend dalla variabilità e non ci si può fermare qui. Ci sono varie alternative, oltre quella ovvia di allargare l’intervallo di tempo. Un possibile passo successivo è quello di confrontare il trend generale con trend “ridotti” e valutare se la differenza è significativa. E’ quello che ha fatto Tamino in un recente post per tutte le serie di superficie e di bassa troposfera più note. Risultato, al momento non c’è ragione di (evidenza statistica per) ipotizzare che ci sia stata una variazione del trend.

  9. @Riccardo
    esattamente quello che penso anche io. Non si poteva esprimere con parole migliori.
    Ottimo il post di tamino.

    1. alberto,
      Tamino che è un valente bloggarolo (ma non un climatologo) nei suoi fitting senza significato fisico
      Non è così. Spesso identifica proprio il meccanismo fisico, anche da “bloggarolo”. Nel post di oggi, può vedere chi è: se non ho sbagliato i link, trova due suo papers di cui il “classico” sulle Fourier wavelets, precedenti a quelli sul clima.

  10. @oca: mi pare che a furia di frequentare i globalcolisti lei “ragioni” in maniera simile, semplicemente invertendo gli “occhiali della mente”.
    Il grafico che lei ha linkato in partenza (quello fatto per bene con le previsioni e le osservazioni con le medie mobili) è estratto da un articolo peer-reviewed, dove si rende conto del possibile effetto quantitativo dei solfati emessi dai vulcani sullo slowdown.
    http://www.nature.com/nclimate/journal/v4/n9/full/nclimate2310.html
    Per citare l’ abstract “Understanding the cooling effect of recent volcanoes is of particular interest in the context of the post-2000 slowing of the rate of global warming”.
    Se per lei lo slowing è un’ accelerazione, vuol dire che ragiona da antagonista degli agrimensori.
    @Riccardo: non ci sono ragionevoli dubbi che il trend di lungo periodo rimanga con T in salita e che la variabilità registrata di breve periodo non sia significativa su periodi oltre i 30 anni.
    Tra l’ altro Tamino che è un valente bloggarolo (ma non un climatologo) nei suoi fitting senza significato fisico (sarebbe bene ricordarselo, altrimenti i negazionisti nei prossimi anni estrapoleranno la retta tracciata da Tamino dagli anni 70 ad oggi e parleranno di previsioni sbagliate) non ha detto nulla di particolarmente originale.
    Il Lovejoy ha svolto abbastanza di recente un lavoro statistico più accurato per concludere che
    “Over the period 1880-2013, the largest year event is expected to be 0.47K, effectively explaining the postwar cooling (amplitude 0.42 ?0.47 K).
    Similarly, the “pause” since 1998 (0.28?0.37 K) has a return period of 20-50 years (not so unusual). It is nearly cancelled by the pre?pause warming event (1992–?1998, return period 30?40 years); the pause is no more than natural variability”.
    Addirittura lui senza fare il purista linguistico parla di “pausa” al posto di “hiatus” o “slowdown”
    ma ciò che conta, per chi vuole capire e non contrastare da tifoso i globalcolisti, non è il trovare il termine più piacevole ma dare spiegazioni scientifiche al fenomeno.
    e su ciò c’è decisamente concordanza tra gli addetti ai lavori che l ‘ “accelerazione negativa” delle T all’ inizio di questo secolo rispetto alla fine del precedente (semplificando un po’ brutalmente) sia appropriatamente imputabile alla variabilità naturale interdecadale e con alta probabilità non indica alcun cambiamento significativo sul trend di fondo del GW.

  11. @oca: oops, ho sbagliato link … saranno tutte queste sardine che si dibattono
    od un meritato contrappasso.
    Ecco quello corretto.
    http://onlinelibrary.wiley.com/doi/10.1002/2014GL061541/abstract
    … però anche quello linkato per errore non era male
    perché gli antiglobalcolisti non anonimi nel loro “eccesso di difesa” dovrebbero tenere presente che
    “Some studies and the IPCC 5AR suggest that the recent 15-year period (1998-2012) provides evidence that models are overestimating currente T evolution”
    per poi precisare che “such comparison are not evidence against model trends because they represent only one realization where the decadal natural variability component of the model climate is generally non in phase with observations”
    invece che cherrypiccare i dati recenti per negare l’ andamento recente delle T superficiali.

    1. alberto,
      Se per lei lo slowing è un’ accelerazione, vuol dire che ragiona da antagonista degli agrimensori.
      @oca: mi pare che a furia di frequentare i globalcolisti lei “ragioni” in maniera simile, semplicemente invertendo gli “occhiali della mente”.

      Sembra che lei non legga le mie risposte a suoi commenti. Le ricopio:
      09/12/2014 alle 17:41
      alberto,
      ma la variabilità era prevista già nei modelli degli anni ’60. Se lo slowdown fosse iniziato nel 2000, la media 2001-2010 non sarebbe stata superiore a quella del decennio precedente. (link che non si apre al grafico del WMO)
      10/12/2014 alle 15:10
      alberto,
      (a parte che non so perché lei pone arbitrariamente l’ inizio dello “slowdown” al 2000)
      ora il link dovrebbe funzionare – non pongo niente, i dati della WMO sono decennali.
      10/12/2014 alle 18:32
      alberto,
      appunto, quel grafico mostra un’accelerazione – non uno slowdown – nel periodo 2001-2010 rispetto ai due decenni precedenti.
      Nel post invece, a proposito della tabella riassuntiva chiesta da agrimensore g, volevo rimandare a quella del FAR-IPCC; il link dovrebbe essere quello giusto.

  12. @alberto
    tamino, le ricordo, è anche un valente statistico. Non so se, come molti che conosco, si sia formato nel ramo della fisica dell’atmosfera o delle geoscienze e abbia necessariamente dovuto passare anche dalla statistica, o altro. Non ho tutto il tempo di questo mondo per indagare e personalmente non lo conosco. Presumo però che di statistica se ne intenda.
    Rahmnstorf, nel caso, le confà di più?
    Poi concordo con lei sul fatto che una (delle tante) e più attuali “sfide” (mi scusi il termine antipatico, abusato e abbastanza improprio, ma è per comodità di intesa) dell’odierna ricerca in climatologia e nelle scienze atmosferiche sia proprio la ricerca più approfondita delle cause della variabilità interna che portano a ricorrenti fasi di amplificazione risp. di contenimento che si sovrappongono ai trend termici di fondo, fasi che si inseriscono appieno nelle normali fluttuazioni (pluriennali e interdecennali, in questo caso) a cui soggiace un sistema complesso, altamente non lineare e caratterizzato da equilibri dinamici come il sistema climatico. “Sfida” perché ha anche (e in primis, direi) finalità di proiezioni a corto-medio termine (da pochi anni fino ad uno-due decenni), obiettivo molto importante ma difficile da raggiungere visto quel che si diceva prima a proposito della variabilità libera di un sistema complesso come quello climatico (vedi: rumore di fondo). Attuali perché una di queste fasi è per l’appunto quella di cui si parla, che fra l’altro ha anche prodotto una serie di ipotesi (con)causali interessanti (sia inerenti fattori forzanti esterni: vulcani, minimo solare protratto, produzioni di aerosol asiatici; sia inerenti fattori associati alla variabilità interna e ai conseguenti mutamenti dei flussi di energia: ENSO, IPO, circolazione atmosferica e pattern associati quali AO e NAO…). Attuali anche perché, per es., così facendo i modelli possono imparare di più e sbagliare un po’ di meno; dunque essere un po’ più utili.
    “e su ciò c’è decisamente concordanza tra gli addetti ai lavori che l ‘ “accelerazione negativa” delle T all’ inizio di questo secolo rispetto alla fine del precedente (semplificando un po’ brutalmente) sia appropriatamente imputabile alla variabilità naturale interdecadale ”
    Certo, ma ricorderei che è la stessa variabilità naturale interna che ha prodotto la grande anomalia del 1998, anomalia responsabile numero uno dello “slowdown” successivo (noti le virgolette…).

  13. alberto
    come ricorda steph, tamino è uno statistico che di “mestiere” analizza serie temporali e ha anche pubblicato sulle serie di anomalia di temperatura. E’ anche uno dei forsi pochi statistici che fa sempre prevalere la fisica alla statistica, come ha ripetutamente affermato e mostrato nei suoi lavori.
    Non è nemmeno vero che non ha detto nulla di originale. Benché la si può inserire nel filone “della corretta ipotesi nulla”, per quanto ne so nessun altro ha mai fatto l’analisi della differenza fra i trend. Certo, nulla di eclatante da pubblicare su rivista ma, come dicevo, uno dei numerosi modi per andare oltre la non significatività dei trend a breve.
    Poi come si fa a dire che è “meglio” l’analisi di Lovejoy, quella sulla causalità di Granger o l’analisi dei breakpoint? Si guarda (statisticamente) la stessa cosa da diversi punti di vista e, non casualmente, la conclusione è inesorabilmente la stessa.

  14. @all: veramente un aspetto buffo della storia è che il post di Tamino lo avevo letto prima che venisse citato da Riccardo e concordavo abbastanza sulle sue conclusioni come già spiegato in precedenza.
    Ossia nel senso che se consideriamo il trend di lungo periodo (oltre i 30 anni per fissare le idee) il cosiddetto hiatus d’ inizio secolo diventa trascurabile.
    Tra l’ altro senza essere un valente statistico ma giochicchiando con le medie mobili (quelle asimmetriche dato che si deve considerare la fine della serie delle T medie annuali ad oggi, anche se sarebbe più giusto considerare quelle simmetriche ma per esse c’è il problemuccio che non sappiamo le T da qui al 2017) ero arrivato indipendentemente a conclusioni simili (ma non identiche). Basta prendere i dati di una serie “ufficiale”degli ultimi 50-60 anni (vabbè io sono partito dal 1880 per vedere tutto l’ andamento) metterli su un grafico excel e poi plottare a ripetizione le medie mobili partendo da 2 anni su su fino a 30 e passa. Si vede bene che lo slowdown piuttosto netto (con cambiamento di slope circa al 2006) per anni di mediazione bassi man mano diminuisce e diventa appena visibile intorno ai 15 anni per poi scomparire oltre i 30. Oplà.
    Ovviamente il significato fisico (soprattutto quantitativo) è molto più difficile da trovare, e su quello ci stanno lavorando (bene, imnho) fior di climatologi.
    Però segnalo all’ oca (della quale ho letto i post ma che ipotizzo abbia letto piuttosto superficialmente i link, pure i suoi, messi agli articoli, soprattutto a quelli scientifici)
    1) l’ onestà intellettuale di Tamino che scrive “I seem to be ONE OF VERY FEW who has said all along, repeatedly and consistently, that I’m not convinced there has been what is sometimes called a “pause” or “hiatus,” or even a slowdown in the warming trend of global temperature — let alone in global warming” (il che torna, Tamino è uno statistico, non un climatologo, questi come Cowtan e Way, o Ridley & other, lavorano proprio per dare giustificazioni quantitative allo hiatus, in vari modi, e con lavori peer-reviewed non scrivendo su blog)
    2) se lei oca guardasse il trend “taminiano” scoprirebbe che nemmeno il bravo (preciso: non è ironico) Tamino ha individuato l’ accelerazione (di tipo antiagrimensorista non c’è che dire) nell’ aumento delle T medie superficiali da inizio secolo, visto che la pendenza da lui plottata nel periodo è praticamente identica alla pendenza della (quasi) retta che parte dal 1980 circa.
    N.B: suggerirei (sempre immodestamente…) ai bravi bloggaroli e ai divulgatori climatici di fare molta attenzione alle parole:
    un conto è attribuire il concetto di slowdown (o come cavolo preferite chiamarlo) all’ andamento delle TEMPERATURE medie superficiali annuali di inizio secolo rispetto all’ andamento di fine secolo precedente (in questo caso la decelerazione nel breve periodo è reale è percepibile)
    un altro è attribuire lo slowdown al GW, ossia al CALORE intrappolato nel sistema terrestre (oceani+terre emerse+atmosfera) perché in questo caso non solo non esiste per trend di lungo periodo, ma nemmeno per trend di breve periodo!
    Eccheccavolo.

    1. alberto,
      nei loro papers, Foster e Rahmstorf usano la statistica per identificare i meccanismi fisici – per es. l’ENSO – che causano le fluttuazioni attorno al trend. Cowtan & Way fanno strumenti statistici per calcolare il trend. Ridley ha studiato zoologia, ma fa il giornalista e il “bloggarolo”. Con la sua definizione, chiunque si occupi di clima è uno statistico.
      2) se lei oca guardasse il trend “taminiano” scoprirebbe che nemmeno il bravo (preciso: non è ironico) Tamino ha individuato l’ accelerazione (di tipo antiagrimensorista non c’è che dire) nell’ aumento delle T medie superficiali da inizio secolo, visto che la pendenza da lui plottata nel periodo è praticamente identica alla pendenza della (quasi) retta che parte dal 1980 circa.
      Il grafico del WMO mostra un’anomalia 2001-2010 maggiore della 1991-2000 che a sua volta è maggiore della 1981-1990, esattamente come la tendenza calcolata da tamino con la sola serie NASA-GISS per il 1970-2014. Non vedo come potrebbe essere altrimenti, la differenze tra la media delle serie e la NASA-GISS è minuscola.
      suggerirei (sempre immodestamente…) ai bravi bloggaroli e ai divulgatori climatici di fare molta attenzione alle parole
      grazie del suggerimento, ma l’aveva già detto Riccardo ed è proprio quello che Steph, Riccardo, io e gli altri di Climalteranti facciamo da anni.

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