Cari orecchietti di radiopop,
dalle 12.50 alle 13.30 ospitiamo Michele e Giacomo, gli studenti di Agraria alla Statale membri del nostro “comitato scientifico”. Parleranno dei costi ambientali della sicurezza alimentare cinese, in tema con l’Expo, gli Scopi dello sviluppo sostenibile approvati dall’Onu un mese fa e il vertice COP21 sul clima che si terrà a Parigi tra un mese (agricoltura e allevamenti emettono gas serra – nota 1).
Ci sono montagne di ricerche in merito, in Cina ovvio, e fuori perché i suoi istituti collaborano con enti di ricerca in decine di paesi – anche con gli Stati Uniti nonostante entrambi facciano i gradassi con le navi da guerra davanti alle isole che l’esercito cinese si sta costruendo in acque territoriali altrui.
I dati non mancano. Dalla sicurezza alimentare della Cina (ricorrente nelle riviste scientifiche) dipende quella di molti altri paesi. Abbiamo parlato del land grabbing che aziende cinesi statali e private praticano su scala industriale in Africa, non delle importazioni crescenti di riso, soia, carni che trasferiscono l’impatto ambientale nei paesi esportatori.
Quando la Cina ha il raffreddore, il mondo starnutisce. L’economia “decelera” non si sa bene di quanto, le statistiche ufficiali sono poco credibili. Quando i raccolti vanno male, come rischia di capitare con il Niño “Godzilla” che dovrebbe durare fino a metà dell’anno prossimo, la Cina aumenta di botto le importazioni e i prezzi mondiali del cibo.
Il riscaldamento globale limita già la resa del riso che ha bisogno di temperature notturne più basse di quelle attuali, con il Niño se le scorda, per non parlare degli “eventi meteo estremi” che lo accompagnano: alluvioni, tempeste e incendi che provocano inquinamenti mostruosi nel Sud-est asiatico.
Chinese people will consume 50 billion kg more food in 2020 than in 2010.
Oltre agli starnuti a breve, ci sono brividi per il lungo termine. Il Partito ha appena abolito la politica del figlio unico, alcuni osservatori si aspettano una ripresa del boom demografico (ho dubbi, ma saranno per un’altra volta). Oggi la Cina ha il 18% della popolazione totale, ma il 7% delle terre coltivabili, manca l’acqua, i suoli sono contaminati ed erosi e l’inquinamento onnipresente.
Su scala globale, le rese agricole dovrebbero aumentare del 1,5-1,75% ogni anno per tenere il passo con la demografia, per ora aumentano dell’1,2% e non c’è alcuna rivoluzione verde in vista.
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In apertura della puntata, breve rassegna di news scientifiche, inclusa una per Gianmarco Bachi che se gli toccano la carne rossa pazienza, ma la pizza… organizza la rivolta. In chiusura se c’è tempo, segnaliamo una ricerca che ci è piaciuta, e non solo perché ci hanno partecipato degli ascoltatori.
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Fonti utili oltre a quelle linkate sopra:
- China ag. org, news ufficiali, per esempio sulle preoccupazioni del governo per il Niño, o sull’inquinamento dell’acqua da parte della Coca Cola accusata di truccare i dati. A proposito di impatto ambientale: ci vogliono da 340 a 620 litri d’acqua potabile per produrre 1 litro di bibita gasata. Se ci pensate, secondo me vi va di traverso.
- USDA, il ministero dell’agricoltura americano e quello australiano per le proiezioni fino al 2020 dei consumi alimentari in Cina
- le statistiche della FAO (una miniera, ma bisogna scavare) e della Banca Mondiale
- IFPRI, “discussion papers” e rapporti come “Growth, Inequality and Poverty in Rural China” con raccomandazioni adottate – solo in parte – negli ultimi due piani quinquennali. Per news concise, è meglio il suo Portale sulla sicurezza alimentare
- La Commissione Europea è un’altra miniera in cui scavare. “Ruolo della Cina nel mercato agricolo globale” sintetizza molti dati in pochi grafici. Ci sono ricerche analoghe più recenti, del WTO in particolare, ma a pagamento…
- CGIAR, sugli investimenti cinesi in ricerca agronomica
- The Diplomat sulla scarsità d’acqua, e il blog China Power
- The Economist che oggi per es. critica l’inefficienza del principale programma “anti-povertà”
Nota 1: l’UNFCCC ha appena pubblicato un rapporto sull’effetto delle riduzioni di gas serra (INDC) promesse entro il 2030 da 146 dei paesi firmatari della convenzione:
“The INDCs have the capability of limiting the forecast temperature rise to around 2.7 degrees Celsius by 2100, by no means enough but a lot lower than the estimated four, five, or more degrees of warming projected by many prior to the INDCs,” said Ms. Figueres.
E tra gli ospiti c’era anche Marco.
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Streaming durante, podcast dopo, fesbùc di Filippo sempre; per correzioni, rimproveri, suggerimenti – non chiedeteci di parlare di cure mediche, per favore, non ne sappiamo nulla – scrivere a oche at radiopopolare.it