I complotti di Big Sugar

Un anno fa, il Journal of the American Medical Association pubblicava “Sugar industry and coronary heart research: a historical analysis of internal industry documents” (accessibile qui) in cui  Cristin Kearns et al. “rivelavano” che una rassegna della letteratura biomedica commissionata a tre ricercatori di Harvard dal Sugar Research Council nel 1965 e uscita sul New England Journal of Medicine nel 1967, sottovalutava deliberatamente i rischi associati al consumo di zuccheri e altrettanto deliberatamente nascondeva i finanziamenti ricevuti per la rassegna.

L’ignobile complotto era ripreso dai media anche in Italia, senza notare (agg. 9/9: salvo eccezione) che all’epoca le riviste non chiedevano di indicare le fonti di finanziamento (6,500 dollari in totale), e che “i documenti interni” erano una breve corrispondenza tra un membro della commissione scientifica del Sugar Research Council e uno dei tre ricercatori, per concordare ambito e tempi della rassegna. Dopo averne citato le frasi a loro avviso più sospette, Kearns et al. concludevano

non esiste alcuna evidenza diretta che l’industria zuccheriera abbia scritto o modificato il manoscritto della rassegna per il NEJM, l’evidenza che abbia influito sulle sue conclusioni è circostanziale.

Non avevano potuto sentire i tre ricercatori, “tutti morti”, e non sapevano quali altre influenze potevano esserci state sulle linee guida per la nutrizione, ma non dubitavano che quella rassegna fosse stata determinante.

L’evidenza circostanziale è nota, non solo ai lettori delle riviste biomed. Dalla fine degli anni Cinquanta, per consenso quasi unanime, il nemico numero 1 era il colesterolo, i.e. il livello di lipidi nel sangue e il consumo di grassi saturi. Un’occhiata su PubMed e il fatto che la rassegna sia stata citata soltanto 106 volte dimostrano piuttosto che il Sugar Research Council ha sprecato $6,500 e che i tre di Harvard erano dei conformisti…

Modello Climategate
“Datemi sei righe scritte dal più onesto degli uomini e ci troverò di che farlo impiccare.”
Non tutte le riviste in open access sono indecorose o spennapolli, il numero di settembre di Critical Public Health potrebbe essere peggiore dei precedenti, ma il “short report” di Gary Sacks et al. sembra scritto per il Daily Fail come si vede dal titolo e dall’abstract:

How food companies influence evidence and opinion – straight from the horse’s mouth

The tactics used by the food industry to influence public policy have been well documented, but there is little direct evidence of the rationale behind food industry actions and their level of support from within individual companies. This paper provides an analysis of an email exchange (from 2015) between former senior executives of Coca-Cola to gain insider insight into ways in which the food industry seeks to influence policy-makers as well as scientific evidence and opinion with respect to nutrition and non-communicable disease (NCD) prevention. The results provide direct evidence that senior leaders in the food industry advocate for a deliberate and co-ordinated approach to influencing scientific evidence and expert opinion. The paper reveals industry strategies to use external organisations, including scientific bodies and medical associations, as tools to overcome the global scientific and regulatory challenges they face. This evidence highlights the deliberate approach used by the food industry to influence public policy and opinion in their favour.

Sotto, il nulla.
Lo scambio consiste in una mail (una) mandata da Michael Knowles ad Alex Malaspina, entrambi in pensione, girata da Malaspina a ex-colleghi e citata da Sacks et al. con opportune omissioni. Le associazioni scientifiche, scrive Knowles, potrebbero contrastare certe bufale mediatiche, avvalendosi di “consensus studies” indipendenti e accuratamente peer-reviewed.

I giornalisti, di Bloomberg compreso, non hanno letto la mail… Zucchero e dolcificanti causeranno il diabete e Big Food sarà l’incarnazione di Satana, ma quel “paper” rivela semmai il complottismo degli autori e gli interessi dei loro datori di lavoro (“modello Climategate” viene dall’articolo di Science).

Per un’analisi di fino rimando a quella di Katherine Rich(h/t Retraction Watch)

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Legge di Moore, cont.

Con l’aumento delle conoscenze e dei ricercatori, scrivono gli economisti Nicholas Bloom et al. in un white paper sul sito di Stanford, dal 1930 le idee nuove diminuiscono, il loro costo aumenta e in media globale la produttività della ricerca, nel senso del suo contributo alla crescita economica, cala del 5% all’anno:

A good example is Moore’s Law. The number of researchers required today to achieve the famous doubling every two years of the density of computer chips is more than 18 times larger than the number required in the early 1970s. Across a broad range of case studies at various levels of (dis)aggregation, we find that ideas — and in particular the exponential growth they imply — are getting harder and harder to find. Exponential growth results from the large increases in research effort that offset its declining productivity,

I case studies sono statunitensi: semiconduttori; rese agricole rispetto a spesa per fertilizzanti e fitofarmaci; mortalità rispetto a ricerca e sviluppo di nuovi farmaci; dati Compustat  sulle aziende quotate in borsa.

The evidence presented in this paper concerns the extent to which a constant level of research effort can generate constant exponential growth, either in the economy as a whole or within relatively narrow categories, such as a firm or a seed type or a health condition. We provide consistent evidence that the historical answer to this question is no.

Di economia non so niente, non sarò io a criticare l’equazione di Solow. Mi sembra una “risposta storica” un po’ locale. Quale risultati si otterrebbero per mortalità vs ricerca biomed dove esiste un sistema sanitario nazionale che magari investe in prevenzione (evidence based, mica acqua biofotonizzata et similia)? O con case histories cinesi o brasiliane o…? O se invece della spesa in ricerca e sviluppo si usasse la formazione di oligopoli dal 1960 in poi? Ecc. ecc. (h/t The Economist)

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È uscito Nature Ecology & Evolution di settembre, per ora ho letto

il paper sulla pleiotropia dei geni e l’evoluzione del “body plan” di otto cordati da mezzo miliardo di anni;

quello sui panda che, i ricercatori cinesi dicono con parecchie circonlocuzioni, l’IUCN ha spostato affrettatamente dalla categoria “a rischio di estinzione” a quella di “vulnerabili”;

quello di O’Brien et al. sulla biodiversità necessaria alle foreste tropicali per resistere alla siccità:

we report the response of experimental monocultures and mixtures of tropical trees to simulated drought, which reveals a fundamental shift in the nature of interactions among species. Weaker competition for water in diverse communities allowed seedlings to maintain growth under drought while more intense competition among conspecifics inhibited growth under the same conditions.

Poi studio “A biologist’s guide to Bayesian phylogenetic analysis“, ma è raccomandato a priori, pun intended.

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Ai negaioli dell’effetto serra dei gas serra, segnalo che tre biologi spiegano su Science Nordic un loro paper uscito su Climatic Change nel dicembre scorso:

No evidence of publication bias

My team and I analysed more than 1,100 published results from the field of climate change science and found no evidence of under-reporting or missing results—even results that were not statistically significant or showing no positive effects were reported.

It is important to stress that we are not climate scientists. Rather, in this instance, we functioned as scientists holding climate scientists to account and tested to see if the reporting practices by the climate research community is sound.

Although climate change scientists tend to highlight their most interesting results in the abstract of their articles, a truth that is unlikely unique to climate science, we can be confident that the theory of climate change is built on a solid foundation of science that gives credence to positive, neutral, and negative experimental results.

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Rimmel

“The Limbic Chair activates the Limbic System of our brain” http://www.limbic-life.com/why-limbic/  This is not a joke. I repeat: this neurochair is real.

Tks neuroskeptic, il sedile vibrante che attiva il sistema limbico e migliora il benessere psico-fisico mi mancava…

4 commenti

  1. “We designed the Limbic Chair to allow you to sit like you are weightless, using touchand movement in a way that makes you feel light, free, and happy.”
    Ewwww. C’è una mano robotica dentro la sedia che ti tocca? 😀
    Mi mette ansia, altro che sentirsi leggeri, liberi, e felici.

    1. Il tuo articolo è giusto, Stefano, era l’epoca della lotta ai grassi – con varianti locali, in Francia sconsigliavano l’olio d’oliva… – e Big Sugar ne ha approfittato per aggiungere corn sugar dappertutto.
      Sfugge anche a me, ma per una volta sono d’accordo con una lobbista: se la pistola fumante è quella lettera, servono più consulenti come Michael Knowles.

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