Con l’aiuto di “redattori nazionali”, Pietro Genovesi, Lucia Carnevali dell’ISPRA e dell’IUCN di Roma, e altri ricercatori basati in Danimarca, Australia e Nuova Zelanda spiegano su Nature Science Data come hanno controllato l’affidabilità dei dati disponibili e come hanno compilato un Global Register of Introduced and Invasive Species (GRIIS) in 198 paesi per
Animalia, Bacteria, Chromista, Fungi, Plantae, Protista (Protozoa), as well as Viruses.
(I cromisti sono un insieme un po’ eterogeneo (trovo) di eucarioti “colorati”.)
Il Registro è un data-base open source e open access, che ogni paese può completare usando una propria “check-list” per determinare l’impatto delle singole specie e poi decidere quali contrastare per prime. Come esempi concreti, hanno scelto il risultato delle check-list per 20 nazioni o isole dagli ecosistemi molto diversi. Nell’isola di Pasqua elencano 118 “alieni”; nello Yemen-Soqotra 122, quasi tutte piante e in maggioranza alimentari.
Ce n’est qu’un début:
No alien and invasive species list or database is accurate or complete and should rather be regarded and appreciated, at least in the case of GRIIS, as an evidence-based information repository designed for the purpose of improving and monitoring change in alien and invasive status and properties. A shortage of country taxon specific editors to review draft checklists is a recurring problem, as well as response times for the reviews.
Anche i musei di storia naturale lamentano la carenza di “taxon specific editors”, d’altronde sono tenuti a stecchetto, come potrebbero formarli e retribuirli? La IUCN da sola mica può fare miracoli.
Per identificare gli invasori alieni, bisogna distinguerli dagli autoctoni che spesso sono invasori arrivati prima. Guarda caso, Anna Maria Mercuri e altri archeobotanici della Sapienza e dell’università di Modena-Reggio Emilia hanno analizzato resti di piante e semi raccolti a milioni nel sito archeologico di Takarkori, in Libia sud-occidentale.
Su Nature Plants – bella rivista, peccato che pochi paper siano in open access – scrivono che in mezzo al Sahara “verde” tra 10 e 4 mila anni fa, dei cacciatori-raccoglitori e dei pastori hanno “coltivato” e conservato cereali selvatici:
The success of a number of millets was rooted in their invasive-opportunistic behaviour, rewarded during their coexistence with people in Africa. These wild plants were selected for features that were precious in the past but pernicious for agriculture today.
Da autoctoni preziosi, Panicum, Sorghum, Echinochloa selvatici sono diventati invasori, “male erbe”.