"Fidarsi, ma verificare"

Dubito che John Ioannidis venga mai candidato a un premio Nobel per la medicina o la fisiologia, eppure nel 2005 su PLoS Medicine, ha pubblicato una “scoperta” fondamentale:

Non parlava di frode à la Andrew Wakefield, ma di incompetenza – statistica innanzitutto – e delle misure di prevenzione. Sono state ignorate fino a una serie di scandali così clamorosi da finire in prima pagina dei quotidiani più distratti, spesso con un po’ di Schadenfreude. Anche gli scienziati erano incompetenti, se non qualcosa di peggio, gli onesti “si fidavano” invece di verificare se i risultati erano replicabili. E nessuno faceva carriera o riceveva finanziamenti per replicare alcunché.

Gli onesti organizzavano squadre di pulizia, PubPeer, Retraction Watch, miglia di blog (alcuni in Cina, ci vuol coraggio…), per supplire al sistema di “autocorrezione” andato in tilt. Le raggiungeva l’industria biomed e rivelava che le terapie promesse dagli articoli più citati non esistevano, i risultati in vitro e negli animali erano irriproducibili.

Risultati immagini per The Economist Unreliable research
Gli enti di ricerca negavano o condonavano manipolazioni di dati e immagini, pagamenti a riviste e conferenze pseudo-scientifiche, indici bibliometrici truccati, conflitti d’interesse ecc.
Se possono, continuano a farlo. In USA forse un po’ meno perché famose università hanno dovuto patteggiare multe milionarie per reati di frode e truffa finanziaria, come volgari Big Pharma, e risarcire i pazienti arruolati abusivamente negli esperimenti clinici.

Sarà vero che l’interesse dei media (seri) per gli scandali discredita la ricerca biomed, ma al contempo dovrebbe valorizzare il lavoro degli onesti che li scoperchiano, o aiutano i giornalisti a farlo. Da circa dieci anni Nature, Science, Cell, Proc. Royal Soc., BMJ, NEJM e altre riviste scientifiche lo valorizzano e partecipano alle pulizie,  anche se controvoglia.

Per esempio, richiedono che il protocollo di un esperimento sia preregistrato, in cambio dopo una peer-review s’impegnano a pubblicarne i risultati positivi o negativi. Per quelli clinici, la pre-registrazione è obbligatoria negli Stati Uniti dal 2000, nella UE dal 2001, nei paesi membri dell’OMS dal 2006. Lo sarebbe anche la pubblicazione dei risultati
Peccato che la norma sia così poco rispettata, scrive Ioannidis su Nature-Human Behaviour di ottobreIn psicologia – la disciplina meno affidabile di tutte –  in parte funziona, aggiungono Chris Allen e David Mehler in un preprint su PsyArXiv, commentato da Matthew Warren per Nature.

  • The pair identified 296 discrete hypotheses across [113] studies, and found that, overall, 61% of these were not supported by the results that those studies later published.

Un miglioramento, ma

  • For studies that sought to replicate previous findings, the percentage of null results was slightly higher, at 66%, whereas this figure stood at 55% for original research.

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Oggi, Science dedica un supplemento alle ritrattazioni, perché Retraction Watch ha appena pubblicato un data-base facile da usare. Trascura le riviste predone che garantiscono di non ritrattare nulla, quindi i dati sono molto ottimisti. Ma il supplemento vuole confortare gli onesti:

  • Our analysis of about 10,500 retracted journal articles shows the number of retractions has continued to grow [from fewer than 100 annually before 2000 to nearly 1000 in 2014], but it also challenges some worrying perceptions that continue today. The rise of retractions seems to reflect not so much an epidemic of fraud as a community trying to police itself.

La comunità potrebbe fare di meglio,

  • most of the 12,000 journals recorded in Clarivate’s widely used Web of Science database of scientific articles have not reported a single retraction since 2003.

Nessuno crede che i loro redattori siano infallibili. Lo “stigma” associato alle ritrattazioni le rende più rare, dice Jeffrey Brainard. Non sarebbe difficile chiamarle “withdrawals”, “recalls” o un sinonimo quando contengono errori in buona fede.
Il data-base di Retraction Watch comprende gli abstract di presentazioni alle conferenze. Alison McCook ha trovato una sorpresa:

  • Over the past decade, one publisher—the Institute of Electrical and Electronics Engineers (IEEE) in New York City—has quietly retracted thousands of conference abstracts. Most of the abstracts are from IEEE conferences that took place between 2009 and 2011. The 2011 International Conference on E-Business and E-Government alone resulted in retractions of more than 1200 abstracts. In all, IEEE has retracted more than 7300 such abstracts. Most of the authors are based in China, and their papers covered topics as diverse as physical sciences, business, technology, and social sciences

Se non per lucrare sulla quota di iscrizione, perché l’IEEE “sponsorizza” 1700 conferenze/anno in materia che non c’entrano con l’ingegneria? Dal 2012 filtrerebbe il “pattume”, ma ci credo poco. Nel 2014 a Bari, l’IEEE-Italia sponsorizzava questa roba prima che una cronista chiedesse il perché al suo nuovo presidente.

Alison McCook indaga anche sulle “ricadute per i co-autori“. Nel caso di ritrattazioni per disonestà scientifica, stando il sottotitolo, “possono subire danni alla carriera”, ma gli intervistati dicono il contrario.
In realtà, sono danneggiati i pazienti. Adam Marcus, di R.W., racconta le frodi di Joachim Bold, l’anestesiologo tedesco, sulla sicurezza di una soluzione endovenosa:

  • Boldt had likely fabricated data, ignored ethics rules, and committed other kinds of misconduct in 98 articles he published with co-authors. All but two are now retracted. […] Although proving that particular patients suffered or died because of the misconduct would likely require expensive, large-scale studies, [Christian Wiedermann] says, “Logic dictates that, shamefully, patient harm must undoubtedly have resulted from Boldt’s actions.”

Se credete che sia stato denunciato alla magistratura dal suo ospedale, dal suo Ordine o dall’equivalente locale dell’ISS che lo finanziava…

  • German authorities reportedly considered bringing criminal charges against Boldt but have not.

Come Leonid Schneider ha scoperto a sue spese, i tribunali tedeschi condannano per “diffamazione” chi osa mettere in dubbio l’affidabilità dei dati pubblicati da medici.
Ivan Oransky di R.W. rende omaggio ai volontari, in particolare a uno in Romania, prima in classifica per le ritrattazioni di articoli, in funzione dei fondi per la ricerca dal 2003 a 2016 (un’approssimazione per il numero di ricercatori), mentre l’Iran è primo per il rapporto ritrattazioni/pubblicazioni:

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Imagine”

Da quanto scrivono le riviste, saremmo in tanti a pensare che le squadre di pulizia meritino elogi invece di querele come quella – per certi versi comica – di Giorgio Zauli, il rettore dell’università di Ferrara contro Leonid Schneider. Da come agiscono, siamo in pochi.
Nell’editoriale di Science, il direttore Jeremy Berg trova che nel mondo attuale la realtà dei fatti e l’importanza della ricerca scientifica e del “giornalismo responsabile” sono messe in discussione con “distressing frequency”:

  • we should continue to call out statements put forward that are factually incorrect with reference to the most pertinent evidence. Without taking these steps forcefully, we risk living in a world where many things do not work as well as we need them to.

Ma parla delle “affermazioni fattualmente scorrette” dei politici, non quelle degli scienziati e delle loro riviste (ennesima bufala comprata da Frontiers, l’editore-pilastro dell’open access obbligatorio nella UE a partire dal 2020 se passa la “strategia S”…).
Meno male, Leonid non si lascia intimidire da un rettore

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Hilarity ensues, passim
Il 23 ottobre Marcello Foa, diventato presidente della RAI grazie alle allucinazioni complottiste, il fantascientifico Penny e il suo amico Claudio Messora, proprietario di Byoblu, un raccoglitore di materiale altrui in barba al copyright, hanno lodato il proprio “giornalismo indipendente” a Libropolis. In un suo intervento, Messora ha di nuovo minacciato Butac di querela perché Byoblu è nella sua “black list”.
Secondo Messora infatti, Google AdSense avrebbe usato la black list di Butac per “demonitazzarlo”, cioè toglierli pubblicità.

Meno male, Butac non si lascia intimidire.