Memo per il Presidente

Dal suo discorso di stamattina, il presidente incaricato Conte non sembra aver letto l’editoriale di Nature uscito ieri online. E’ indirizzato al presidente Mattarella e ricorda che nel rassegnare le dimissioni Conte aveva parlato

  • della necessità di investire di più in ricerca e di creare un’agenzia nazionale della ricerca. 

L’editorialista sembra pensare che fosse aria fritta perché si appella al presidente della Repubblica

  • Mattarella, un ex ministro dell’istruzione, può e dovrebbe avere un ruolo d’appoggio vitale. Come capo dello stato, non ha un’autorità esecutiva, ma ha una vera autorità morale. 

Chissà se nella rassegna stampa presidenziale c’è qualche rivista scientifica.

Andrea Idini segnala l’articolo di Richard Van Noorden e Dalmeet Singh Chawla “Hundreds of extreme self-citing scientists revealed in new database“. Recensiscono il paper di John Ioannidis et al. su PLoS Biology che identifica i 250 scienziati su 100 mila che citano di più i propri papers e quelli dei loro coautori (le cosiddette “citation farms”) quasi tutti privi di autorevolezza scientifica.

Resta da capire quali citazioni sono motivate e quali servono unicamente a gonfiare l’indice bibliometrico – uno degli incentivi reputazionali dalle conseguenze perverse di cui parlava Lucio Picci.

Il paper ha fatto discutere parecchio – una specialità di Ioannidis – però mostra che è facile truccare il proprio cv e che lo fanno in pochissimi.

L’altro paper di cui si parla molto perché scombussola il nostro albero genealogico è quello di Yohannes Haile-Selassie et al. di cui due ricercatori di Bologna. Hanno studiano un bel cranio di Australopithecus anamensis e lo fanno risalire a 3,8-3,9 milioni di anni fa. Se la datazione è giusta, gli A. anamensis sono convissuti in Etiopia per circa 100 mila anni con gli A. afarensis come Lucy. Recensione di Colin Barras.

Su un tema affine, la paleogenetica umana, rif. il commento di Keolu Fox e John Hawks, “Use human remains more wisely“.

Era stato anticipato online il 7 agosto, ma non avevo letto il paper di Amina Schartup di Harvard et al. sulle concentrazioni di metilmercurio nel merluzzo atlantico, aumentate del 23% tra il 1970 e il 2000. Con un modello, stimano che siano aumentate del 56% nel tonno atlantico (Thunnus thynnus) per via di una temperatura marina più calda. Il mercurio e il metilmercurio sono tossici e si concentrano (“bioaccumulano”) nelle specie predatrici, l’ultima delle quali siamo noi. Se ne conoscono i danni, ai feti in particolare, dalla fine degli anni Cinquanta dopo il disastro di Minimata, in Giappone.

Molti paesi hanno adottato regole più severe, ma senza controllare che siano rispettate per non scontentare le lobby. Nel loro modello infatti,

  • l’aumento di metilmercurio nei tessuti [di merluzzo e tonno] supera la riduzione del 22% che nel modello doveva essere conseguita dalla fine degli anni Novanta come risultato di una minor concentrazione nell’acqua di mare…

Non prevedono miglioramenti, d’altronde soltanto 113 paesi hanno ratificato la Convenzione di Minimata, in vigore dal 2017.

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Sui PNAS dell’altro ieri, Caterina La Porta e Stefano Zapperi, del Centro per la complessità e i biosistemi alla Statale di Milano, e altri 17 colleghi hanno risposto alla domanda di Darwin (parafrasi) “Come cavolo fa la Drosera capensis – una pianta carnivora tentacolare – ad arrotolarsi in quel modo per trattenere la preda e digerirla viva?”
Esperimenti biochimici e meccanici serissimi spiegano il come e il perché di ogni deformazione microscopica e asimmetrica di quelle foglie appiccicose, ma la descrizione è divertente. Vien da mimare le loro mosse “macroscopiche” ogni volta che prendono una “goccia di 10 microgrammi di latte bovino” per un moscerino…

Il finale è dedicato a chi costruisce robot “bio-ispirati” che hanno bisogno di imitare queste deformazioni reversibili. Finito il pasto, “l’architettura” dei tentacoli digerenti torna simmetrica. In natura è normale, scrivono gli autori, basti pensare a

  • certi animali dotati di uno scheletro idrostatico come i lombrichi, che piegano il proprio corpo combinando un irrigidimento locale e la ridistribuzione della pressione del fluido interno. 

Con modelli al computer, simulano metamateriali con le stesse proprietà. Gli attuatori e i sensori da incorporarci esistono già e funzionano senza fonti di energia, ma chissà se la souplesse di quelle strane foglie è scalabile alle dimensioni di robot da mandare, per citare i loro esempi, in fondo al mare o in ambienti fortemente radioattivi come le centrali nucleari.

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