Il normale vecchio e nuovo

Circa dieci anni fa, i climatologi hanno cominciato a usare “the new normal” per descrivere eventi meteo da record, nel senso di mai registrati prima. Si erano messi a fare “studi di attribuzione” per cercare di distinguere l’influenza sulla variabilità naturale – “the old normal” – dei cambiamenti indotti dalle emissioni di gas serra.

Nel 2019 il normale nuovo è stato globale. Si è esteso a tutti i continenti abitati (e all’Antartide senza causare vittime), dice il rapporto annuale di Christian Aid sul costo dei disastri climatici. Per l’Australia ci sono soltanto i costi delle alluvioni, ma saranno probabilmente superati da quelli degli incendi in corso:

A map from researchers in Western Australia shows hundreds of bushfire hotspots across the nation as of Friday, Dec. 20, 2019.

BOM – Fire alerts December 20th 2019

Come nel normale vecchio, i danni materiali sono maggiori nei paesi ricchi, USA e Giappone per primi, e le vittime sono quasi  tutte nei paesi poveri: India e Africa sub-sahariana.

Nonostante l’ambiguo insuccesso della COP25 – per dirla con Stefano Caserini – alcuni ricercatori trovano motivi di speranza nelle mobilitazioni dei giovani e nel fatto che esistono già soluzioni alla crisi. Michael Mann la vede così

  • La buona notizia è che gli impatti del cambiamento climatico non sono più negabili. La cattiva notizia è che gli impatti del cambiamento climatico non sono più negabili.

Li nega Franco Battaglia al quale l’esistenza di alternative al carbone e di giovani che non la pensano come lui fanno venire l’orticaria. Se n’è lamentato sul blog del suo ammiratore Nicola Porro, vice-direttore vicario del Giornale, segnala uno dei Climalteranti che si sacrifica e lo legge lui.

Fra simili “regali di Natale”, un altro manda la rubrica di Piergiorgio Oddifreddi intitolata “L’importanza dell’origine“. Accusa chissà chi di non indicare il punto di riferimento “quando si parla di aumento della temperatura globale”:

  • L’IPCC indica nei suoi rapporti la «seconda metà dell’Ottocento».

A me viene l’orticaria perché i suoi rapporti indicano i vari punti di riferimento (“base-lines“).

  • Il motivo è che solo a partire dal 1850 circa esistono dati attendibili per l’intero pianeta sulle temperature sia terrestri sia marittime. 

Macché, il motivo è che gli enti che misurano le temperature detti uff. meteo usano ciascuno il proprio.

  • Si possono così osservare nel dettaglio le fluttuazioni alla breve o alla lunga delle medie planetarie, e rappresentarle con curve che diventano via via più lisce localmente, e mostrano un chiaro andamento globale crescente.

Com’è noto, le curve locali mostrano più fluttuazioni delle medie planetarie.

  • Il trattato di Parigi del 2016 parla invece ambiguamente di «livelli preindustriali» della temperatura terrestre, lasciando supporre che la temperatura media sia rimasta più o meno costante fino al 1850 circa, e che le sue uniche variazioni siano state prodotte in seguito dall’industrializzazione: di qui la confusione degli slogan ambientalisti, che chiedono ingenuamente di «salvare il pianeta».

Il “trattato del 2016” nel senso dell’Accordo del 2015 lo lascia supporre solo a lui, e lo slogan sarebbe ingenuo perché

  • durante i suoi quattro miliardi e mezzo di anni di storia la temperatura della Terra è cambiata selvaggiamente, come si può dedurre dagli anelli dei tronchi e dei coralli, dai carotaggi dei ghiacci, dalle perforazioni geologiche, dai sedimenti oceanici e così via.

Ma guarda, il vecchio meme bigoilista. Come sanno anche i bambini, 4,5 miliardi di anni fa sulla Terra non esistevano né alberi, né coralli, né ghiacci né oceani. Oddifreddi non sarà mica creazionista versione “il primo giorno Dio creò il fotone e la luce fu”?

  • Per esempio, nell’ultimo millennio ci sono stati due periodi climatici opposti. Da un lato, un surriscaldamento tra il 900 e il 1200 circa, con temperature paragonabili al cosiddetto «Periodo caldo romano», compreso tra il 250 prima e il 400 dopo la nostra era: quello, cioè, che permise ad Annibale di attraversare le Alpi con gli elefanti.

Ussignùr… Quel periodo era così caldo che bastò un “inverno padano” a far morire di freddo 36 dei 37 elefanti di Annibale, ricordava Claudio Della Volpe su La Chimica e l’Industria quattro anni fa, e prima di lui Polibio, Tito Livio, Plutarco e di sicuro altri storici.

  • Dall’altro lato, una «piccola era glaciale» tra il 1400 e il 1850 circa, quando i ghiacciai raggiunsero la loro massima estensione: il riscaldamento dell’era industriale è dunque relativo a un periodo precedente molto freddo.

Bella confusione tra clima locale e clima globale.

  • Allargando ancora lo sguardo all’indietro, negli scorsi 500.000 anni le ere glaciali si sono susseguite a intervalli di circa 100.000 anni, e nel mezzo le temperature erano molto superiori a quelle odierne.

Rispetto gli scorsi 500 mila anni, la differenza è che senza le emissioni industriali di gas serra il pianeta avrebbe continuato ad avviarsi lentamente verso un’era glaciale.

  • Questi cambiamenti climatici furono causati da eventi naturali, mentre quelli odierni sono in buona parte antropici. Tuttavia, la storia mostra che essi non mettono affatto in dubbio la sopravvivenza del pianeta: semplicemente, perturbano le condizioni atmosferiche…

“Atmosfera” nel senso di biosfera, gli ambientalisti sono così ingenui da credere di non averne una di ricambio.

I Climalteranti sono un po’ stupiti: di solito Le Scienze è affidabile. Il Foglio no. Qualche pilastro del Patto per la scienza – a condizione che non abbia nulla a che fare con il clima – si scandalizza perché metà delle sovvenzioni pubbliche per il 2018 sono state sospese a quel quotidiano “colto”, “libero” e “fuori dal coro”. Tony Scalari non riesce a scandalizzarsi. Caserinik nemmeno:

  • Ha ragioni da vendere @tonyscalari : Il Foglio è stato uno dei giornali che più ha disinformato sul tema del cambiamento climatico, spargendo falsità e livore per rallentare le politiche sul clima.

Prima di convertirsi al globacoolismo, Il Foglio era creazionista come il suo boss Giuliano Ferrara convertitosi dal comunismo al catto-fondamentalismo (era misogino anche prima).

Oltre ai pensieri anti-evoluzionisti di Giuseppe Sermonti, pubblicava il lamento di Roberto de Mattei, fautore di una Creazione 40 mila anni fa il quale – da vice-presidente del CNR e docente di storia così come l’intendono all’università dei Legionari di Cristo – si sentiva un “perseguitato”: a Telmo Pievani, Margherita Hack e un paio di blogger era sembrato strano che il CNR pagasse un libro con gli atti di un convegno di antisemiti, omofobi, misogini e invasati (creazionisti ça va sans dire) che de Mattei aveva fatto uscire da un editore compiacente dopo averli pubblicati nella propria rivista.

Durante “l’Inquisizione darwinista” contro il povero de Mattei, Il Foglio aveva perfino pubblicato il lamento esilarante di Francesco Agnoli, non so perché l’abbia cancellato. L’ha salvato la Wayback Machine, sempre sia lodata.

Sulle sovvenzioni pubbliche per la stampa c’è da discutere a lungo – i francesi lo fanno dai tempi del Directoire – ma va riconosciuto che Il Foglio si sta avviando lentamente fuori dall’Ottocento.

4 commenti

  1. Beh, ma mi sembra che con la chiusa:
    “Questi cambiamenti climatici furono causati da eventi naturali, mentre quelli odierni sono in buona parte antropici. Tuttavia, la storia mostra che essi non mettono affatto in dubbio la sopravvivenza del pianeta: semplicemente, perturbano le condizioni atmosferiche, rendendole più adatte ad alcune specie e meno ad altre.
    Se la nostra è così stupida da suicidarsi, forse merita appunto di scomparire, ma la Terra rimarrà indifferente, e farà semplicemente posto a qualcun altro più adatto.”
    attribuisca comunque il riscaldamento attuale alle attività umane, ovviamente la formazione che ha potuto farsi in materia per scrivere una paginetta è alquanto limitata.
    P.S.: L’ultimo periodo è sostanzialmente uguale alla conclusione di un mio tema in terza superiore sull’inquinamento atmosferico che scrissi 52 anni addietro.

    1. Bernardo,
      dubito che in terza superiore eri così cinico, comunque la chiusa è in contraddizione con l’attacco agli ambientalisti – che va tanto di moda fra alcuni signori di una certa età.
      Saranno tutti quanti degli ingenui per via di uno slogan – su migliaia… – ma sono proprio quelli che non intendono suicidarsi né lasciarsi “suicidare” insieme ad altre specie da gente abbastanza anziana e privilegiata da non subire le conseguenze delle proprie scelte.

  2. Ma Odifreddi…s’è raffreddato i neuroni?
    Suppone lucciole per lanterne e – da buon logico come è – ignora l’elementare nesso causale che se in passato “la temperatura della Terra è cambiata selvaggiamente” un motivo ci sarà e qualsiasi esso sia, il solo fatto che ci siano state queste ampie variazioni vuole appunto dire che il clima è sensibile ai forcing radiativi; difatti i cicli glaciali sono uno dei metodi con cui si stima la sensibilità climatica.
    Gli ricorderei, inoltre, che “le perturbazioni delle condizioni atmosferiche” apportate dai cambiamenti climatici “odierni e in buona parte antropici” sono solo all’inizio, ci vogliono millenni per raggiungere l’equilibrio e quella che vediamo oggi è solo la risposta rapida transiente, mentre dal paleoclima invece si inferisce quella di equilibrio. Altro che semplice perturbazione atmosferica…
    Se il clima del passato fosse stato stazionario nonostante le variazioni nella CO2/cicli orbitalici etc. allora vorrebbe dire che ci sono forti feedback negativi a mitigare le variazioni di temperatura, cosa vera solo nel mondo delle ipotesi più fantasiose.
    Mah…leggo di tanto in tanto Le Scienze e la rivista mi sembra molto affidabile, ma quello di Odifreddi mi sembra un articolo davvero buttato lì quasi a voler segnalare che anche lui sul tema vorrebbe tanto esserci, ottenendo però l’effetto di…farci.
    Buon anno!

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