Verso la Convention

Il linguaggio usato dalla Federazione nazionale degli Ordini dei medici – Fnomceo – sa di rivoluzione francese. Entro l’anno gli “Stati generali” si concluderanno con una convention (in francese nel testo?). La discussione è guidata dalle 100 tesi del sociologo Ivan Cavicchi, eloquente e incorruttibile come Robespierre.
Cribbio… E pensare che se non me le segnalava R.G., non facevo il collegamento. Adesso capisco perché

  • Siamo il Paese che ha più bisogno di medici ma anche quello che vanta il record di fughe di camici bianchi all’estero. In Europa un medico su due che fa le valigie (il 52% per l’esattezza) parla italiano. Sono 1.500 i medici con in tasca la specializzazione che emigrano ogni anno…

L’aristocrazia sceglie la via dell’esilio senza aspettare l’esito della discussione su “donne, lavoro, giovani, deontologia” e il futuro della professione.
Forse per rassicurarla, nel ruolo meno arruffapopolo del marchese di Condorcet, il 10 gennaio scorso il presidente della Fnomceo chiedeva al ministro Speranza di

  • aprire un cantiere per riformare il Ssn e superare le disuguaglianze che sono una delle piaghe della nostra sanità pubblica. 

Il ministro dovrebbe lanciare un “percorso di innovazione”:

  • Penso per esempio alla costruzione di Reti di assistenza sovraregionali per portare competenze e tecnologie nei territori più in difficoltà allo scopo di ridurre la mobilità sanitaria. Ma, a prescindere da ciò servono idee nuove che superino il modello fallimentare del regionalismo differenziato che ha ampliato le disuguaglianze.

Liberté, égalité, fraternité.

Conosco Ivan Cavicchi da quasi trent’anni, intellettuale engagé, provocatorio, colto, “fuori dal coro”. Lo leggo ogni tanto sul Fatto q., condivido le sue critiche alle privatizzazioni, alla discriminazione delle donne, alle promesse assurde dei politici, al consumismo medico-farmaceutico. Mi son tuffata nelle 100 tesi in cerca di idee riformatrici, a sostegno di una sanità pubblica più attenta, onesta, dall’efficacia monitorata di continuo e invece…

Prima viene una lunga diagnosi. La “crisi della medicina” e del suo “paradigma positivista” nasce dalla sua “razionalità clinica” sottomessa alla tecnologia, nell’interpretazione “naturalistica” dei sintomi che trascura la storia del paziente, la sua “visione del mondo”, l’economia e la cultura, l’importanza della relazione con il medico. La “clinica” suscita i sospetti e la diffidenza della società.

Non dai mesi di attesa per un esame o una visita specialistica se non ci possiamo permettere la sanità privatizzata, non dalle sanitopoli ricorrenti, corruzione, ingerenze politiche o mafiose, assenza di controlli…

Ogni gruppo di tesi è seguito da aporie e domande che invitano a riflettere. Invito spesso necessario, accompagnato da un’impressione martellante di déjà-vu. Ai tempi di Giulio Maccacaro, le critiche erano rivolte una medicina di massa, a cottimo, burocratica e disumanizzante. Poi è finita la mobilitazione per renderla più democratica, e i critici sono diventati i fautori della medicina alternativa, poi complementare, poi olistica e ora integrata. Democratica nel senso di una lotta collettiva per rendere meno patogene le disuguaglianze, il lavoro, l’ambiente, no, quello no.

La medicina quella vera è la nostra, ripete il coro alternativo. Oppressa e discriminata, ma libera, altruista, centrata sul paziente, sempre pronta a interrogarsi sulle proprie pratiche, aperta ai saperi tradizionali e a sua volta fonte di nuovo sapere sociale e culturale. Tutt’altra cosa.

Che cosa? Nelle tesi c’è scritto a pagina 298 che bisogna concordare una definizione della medicina (che equivale a definire la “malattia”):

  • Con chi stipulare un accordo per la definizione di medicina? L’interlocutore contrariamente alle apparenze non può essere la scienza come è stato sino ad ora ma deve essere la nostra società.

Sigh… la scienza è un corpo estraneo alla società.

Seguono proposte di ridefinizione della medicina come conoscenza delle conoscenze (di un “multiverso”), della malattia e del malato come complessità. Insieme al medico, il malato è il soggetto della scelta fra le cure possibili, una scelta che si basa anche su valori e credenze, che richiede la consapevolezza di altre scelte, valori e credenze possibili.

Neanche questo è nuovo. Idealmente l’égalité sarebbe la regola nei rapporti tra medico e paziente, e la differenza di potere non avrebbe alcun effetto; ogni scelta sarebbe “concordata”, “informata”, “conveniente”, “preferenziale” nei limiti di quelle disponibili, al contempo “razionale e ragionevole”, pragmatica ed efficace.

Nelle proposte successive, il medico è definito come “l’autore” della cura e “prima ancora” della relazione con il malato. Tesi 99

  • Il concetto di libertà di scelta si oppone a quello di obbligatorietà e pone un problema epistemico nuovo, quello del rapporto tra evidenze scientifiche e opinioni personali del malato. 

Nuovo? Non nelle democrazie, almeno.

  • Se consideriamo l’evidenza scientifica non come una verità apodittica ma come una verità probabile, in questo caso la libera scelta normata dal consenso informato favorisce l’alleanza tra le verità scientifiche del medico e le opinioni del malato.

“L’evidenza” è – per semplificare – un insieme di ipotesi e teorie confermate, aggiornate e smentite da misure e osservazioni. Resta tale anche se le opinioni del malato contrastano con la “verità scientifica” del suo medico, e dubito che sostituirla con “verità probabile” basti a favorire un’alleanza. (Non faccio testo, cmq se qualcuno mi parla di “verità probabile”, scappo.)

L’obbligatorietà è un concetto legale, non vale solo per i medici. Riguarda la nostra partecipazione a beni comuni (le tasse) o la nostra prevenzione di un danno individuale o collettivo (“Lo stato siamo noi”). Mi sembra sacrosanto discuterne, verificarne i benefici o meno, mobilitarci quando una legge ci sembra sbagliata. Come succedeva con quella sui vaccini mentre Fnomceo preparava gli Stati generali.
Che coincidenza.

Sembra impossibile che le posizioni di Ivan Cavicchi sui vaccini e le medicine alternative fossero ignote a chi – il Comitato centrale di Fnomceo? – gli ha chiesto di preparare le 100 tesi da dibattere, perché erano anticipate nei suoi libri, e per chi avesse fretta in

  • “C’è nell’aria qualcosa di epocale”, in Homeopathy and Integrative Medicine, vol. 1, pp.4-6, marzo 2010, un attacco alla medicina scientifica e un elogio di quella post-scientifica. Il “qualcosa di epocale” nell’aria gli “pare un ritorno alle visioni anticipatrici, olistiche, relazionali della clinica omeopatica, anche questa pre-moderna”. Era per il numero inaugurale della rivista della Società italiana di omeopatia e medicina integrata (Siomi)
  • e nei numerosi attacchi contro chi osava dubitare dell’efficacia del “metodo” Di Bella e della truffa Stamina (h/t M. Balzarini)

Nel 2010 di “epocale” semmai, c’era il crollo dei consumi omeopatici e il boom della loro promozione in rete, nei master universitari e nei corsi di formazione obbligatori. Per l’autore, quelle tre pagine anticipavano una nuova carriera. Per esempio:

  • dal 2012 insegna al master in Fondamenti della medicina integrata dell’università di Siena, con la direttrice scientifica della rivista nonché presidente della Siomi
  • dal 2017 su un sito pro-omeopatia (e pericolosamente inaffidabile) scrive articoli in difesa degli omeopati radiati dall’Ordine, contro l’obbligo vaccinale, e che mettono in dubbio l’efficacia dei vaccini
  • nel 2017 era relatore al convegno per l’apertura del 71° Anno Accademico di Studi Hahnemanniani a Roma e
  • nel 2018 alla Giornata Mondiale dell’Omeopatia a Milano
  • mesi dopo sul Quotidiano Sanità chiedeva un’offerta più ampia di medicine non convenzionali, in nome della libertà di scelta dei cittadini – ai quali il consumismo è passato, presumo
  • l’anno scorso alla Statale di Milano, interveniva sullo stesso tema a un convegno promosso dalla Società Antroposofica in Italia, dalle scuole Waldorf Milanesi e dalla Fondazione Antroposofica Milanese
  • ecc.

Per il futuro della professione medica, il modello non fallimentare sarà quello della Regione Toscana?

9 commenti

  1. >>Sigh… la scienza è un corpo estraneo alla società.
    Eh, pare proprio di sì, ripensando anche a certi passaggi dello statement “apocalittico”, ad esempio a quel “political antagonism toward science and a growing sense of government-sanctioned disdain for expert opinion, creating fear and doubt regarding well-established science about climate change and other urgent challenges.”
    E naturalmente sappiamo chi e cosa prospera in situazioni del genere…

  2. Aggiungo che Cavicchi si spese a favore della truffa Stamina, almeno dalle pagine del suo blog sul Fatto Quotidiano, contro la “medicina scientista” che dava contro al povero Vannoni.
    È assurdo che la FNOMCeO si affidi a una figura del genere per un lavoro così importante.

  3. Quello che lascia basiti in questa situazione è non solo il comportamento dell’ Ordine che affida le tesi di un tanto importante riassetto dell’ Ordine stesso a Cavicchi, ma anche il silenzio su quanto sta accadendo di tutti coloro che si battono da tempo contro le pseudoscienze siano essi singoli o patti per la scienza di varia natura.
    Se, come temo, ci sarà una ulteriore legittimazione delle CAM ,a Stati Generali conclusi, vorrò vedere cosa scriveranno costoro se si batteranno cioè il petto per un colpevole silenzio quando invece ci sarebbe stato da “urlare” o se invece…

  4. mi dispiace arrivare in ritardo su questa conversazione. avrei molte cose da dire ma, a proposito di democraticità delle CAM, mi limito a segnalare due circostanze: tra il 1997 e il 1999 un progetto italiano di cooperazione medica internazionale portò la medicina omeopatica in un SSN cubano messo in ginocchio dall’embargo; in ambito veterinario in due anni furono formati 500 medici veterinari omeopati divenuti poi operativi negli allevamenti (monitorati dalla sanità statale) di polli e di maiali, medici che hanno ottenuto risultati importanti per la prevenzione delle infezioni in uno scenario di grave carenza di antibiotici (io fui la docente formatrice del primo gruppo di dirigenti veterinari del SSN); in India esiste un ministero della Medicina omeopatica che gestisce realtà in prima linea come un ospedale oncologico che di recente ha pubblicato i risultati dei primi 10 anni di attività. Non pariamo di scenari di nicchia per un’utenza affetta da snobismo (notai che i maiali cubani vi erano del tutto refrattari). Parliamo invece di una medicina dotata di piena dignità che le deriva da risultati ottenuti sul campo, capace di essere operativa in situazioni emergenziali con costi estremamente contenuti se gestita correttamente in ambito pubblico. Una medicina rispettosa dell’ambiente, che non inquina in fase di produzione e che non lascia residui tossici. In tempi di pandemia sarebbe davvero positivo abbandonare attitudini mentali rigide e preconcette, e valutare con onestà intellettuale ogni risorsa che possa contribuire alla salute della comunità. Per inciso, l’Omeopatia veterinaria (contemplata dalla comunità europea come una risorsa fondamentale per la zootecnia biologica) è da sempre schierata contro gli allevamenti intensivi, che rappresentano un importante fattore di rischio nella propagazione delle zoonosi (cfr tra i tanti Big farms make big flu di Rob Wallace). Vorrei precisare infine che praticare queste scelte non è certamente una prerogativa di chi desideri assicurarsi una confortevole carriera, dal momento che la disinformata ma pervicace campagna dei media sull’argomento mette quotidianamente a repentaglio la possibilità stessa di lavorare per chi opera in tale ambito. Io lo faccio dal 1986 in ogni singolo giorno della mia vita. Di sicuro Lei sarà felice di sapere che la mia resilienza è sempre più affaticata, ma ho superato le 200mila prescrizioni omeopatiche e tutti gli animali che ho aiutato sono la mia ancora di salvezza.

  5. @ Barbara Rigamonti
    in India esiste un ministero della Medicina omeopatica che gestisce realtà in prima linea come un ospedale oncologico che di recente ha pubblicato i risultati dei primi 10 anni di attività.
    Be’… in India non esiste un ministero dedicato esclusivamente alla medicina omeopatica.
    Per essere precisi, in India esiste il Ministero dello AYUSH, un ministero parallelo a quello della salute dove le lettere dell’acronimo rappresentano Ayurveda, Yoga, Unani, Siddha e Omeopatia (Homoeopathy, in inglese).
    Uno zibaldone di discipline mediche che e’ alquanto eterogeneo e che ha in comune (con la possibile e parziale eccezione proprio dell’omeopatia che, paradossalmente, tra le altre spicca per essere, almeno cronologicamente, moderna) il richiamo a discipline mediche tradizionali, le concezioni teorico/filosofico/religiose estranee alla medicina basata sull’evidenza e, mi sembra, una certa allergia alla pretesa di quest’ultima di non accontentarsi delle concezioni di cui sopra e di voler verificare concretamente l’efficacia delle singole terapie.
    Tale ministero e’ stato istituito in maniera indipendente dal Ministero della Salute (in precedenza era un dipartimento di quest’ultimo) nel 2014, dopo la vittoria alle elezioni del Bharatiya Janata Party, partito induista, nazionalista, conservatore e pesantemente tradizionalista.
    Partito che ha anche introdotto l’astrologia vedica nel curriculum dei college indiani.
    Non prenderei l’esistenza di tale ministero come prova della scientificita’ dell’Omeopatia.
    Semmai il contrario.
    Non pariamo di scenari di nicchia per un’utenza affetta da snobismo
    Forse abbiano definizioni differenti di “nicchia” ma… a me sembra che si possa parlare proprio di scenari di nicchia.
    Parliamo invece di una medicina dotata di piena dignità che le deriva da risultati ottenuti sul campo
    Parliamo invece di una medicina che, contrariamente a quello che affermano i suoi sostenitori, non ha dimostrato un’efficacia superiore a quella di un placebo.
    Una medicina rispettosa dell’ambiente, che non inquina in fase di produzione e che non lascia residui tossici.
    Non rilascia residui tossici poiche’ e priva di principi attivi.
    E, quindi, se e’ pur vero che e’ rispettosa dell’ambiente, e priva di effetti collaterali, e’ anche, per il medesimo motivo, assolutamente priva di efficacia intrinseca (oltre a quello dell’effetto placebo, ovviamente).
    In tempi di pandemia sarebbe davvero positivo abbandonare attitudini mentali rigide e preconcette, e valutare con onestà intellettuale ogni risorsa che possa contribuire alla salute della comunità.
    Proprio quello che vorrebbero anche i sostenitori italiani della medicina tradizionale cinese che, sulla base di notizie non provate e amplificate dal forte sostegno politico da parte del governo di Pechino — analogo a quello del governo indiano per le medicine tradizionali di cui sopra — cercano di convincerci ad abbandonare le pratiche della medicina scientifica e a somministrare immediatamente, senza verifiche sperimentali degne di questo nome, medicine di dubbia (a voler essere generosi) efficacia.
    Se per “abitudini mentali rigide e preconcette” lei intende la pretesa della medicina basata sull’evidenza di non accontentarsi di osservazioni individuali per accettare una terapia come efficace, mi dispiace ma non sono d’accordo.
    Se c’e’ qualcosa di buono che ha fatto la medicina negli ultimi decenni — tanto da allontanarsi dalla superstizione e divenire autenticamente scientifica — e’ stato proprio lo sviluppo di metodologie per verificare l’efficacia di una terapia, utilizzando trial a doppio cieco e prendendo in pratica considerazione l’influenza dell’effetto placebo.
    Ben venga l’integrazione, nella medicina basata sull’evidenza, di terapie derivanti dalle varie medicine piu’ o meno tradizionali, qualunque sia la tradizione e/o l’ispirazione teorica/filosofica/religiosa sottostante.
    Ma a patto di integrare le singole terapie, non le relative ispirazioni, e solo dopo averne concretamente e rigorosamente verificato l’efficacia tramite la metodologia scientifica che si e’ sviluppata negli ultimi decenni.
    In tempi di pandemia e’ ancora piu’ importante del solito mantenere la barra dritta e vigilare sul rispetto della metodologia di verifica.

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