"Ma come parla?"

Fra i libri arrivati all’incirca per il mio compleanno, c’era Il Petauro Quantico di Elia Marin. E’ noto ai frequentatori di Butac per la divulgazione, alla comunità scientifica per le ricerche sui materiali che svolge all’Istituto di tecnologia di Kyoto, e a una pennuta per il tatto con il quale ne corregge gli svarioni.

Il P. quantico è un membro ideale “della tribù Pteromyni, della famiglia Sciuridae nell’ordine dei Rodentia“, si apprende all’inizio. Così è chiaro che l’autore ama le parole, le loro definizioni e il contesto nel quale servono a lenire, ferire, giocare, stupire – omissis – e imbrogliare. Alcune coppie sono familiari ai lettori dell’oca:
– Medicina?
– Alternativa!
– Moto?
– Perpetuo!
Bravi.

Il P. quantico sono 16 in realtà e in capitoli brevi con una bibliografia per soddisfare la curiosità. La sorpresa – trovo – è l’attenzione dedicata agli aggettivi. Per captare le dissonanze tra parole antiche e saperi nuovi, ci vuole orecchio. Anzi parecchi per distinguere i gradi di onestà descrittiva con i quali i locutori le usano per far leva su sentimenti, emozioni, desideri.

Il Petauro q. ci costringe gentilmente a riflettere su come parliamo di scienza, il mio mestiere. Per Ventiquattro, avevo raccontato un’equazione dell’amore, unica volta nella mia vita in cui un giornale ha accettato di pubblicare una formula matematica. Mi son sentita rivolgere la citazione di Moretti per un po’!

Era l’equazione di Gottmann sull’andamento del rapporto di coppia nel tempo, andavo sul molto facile. Elia preferisce quella di P.A.M. Dirac per l’entanglement. Capisco ma commette un P. quantico a sua volta, da quando in qua due fotoni spasimano l’uno per l’altro?

Travolto dalla passione, si dimentica di noi dummies che vorremmo tanto condividerla e restiamo frustrati. Volutamente? Qui ci andrebbe un discorso lungo sui limiti della divulgabilità e come divulgarli. Ci ho una teoria, la stessa di Elio? In radio facevo ogni tot settimane una puntata “troppo difficile”, sottinteso: certe cose bisogna studiarle, orecchietti.

A volte perfino gli studiosi ammutoliscono. Ascoltate Steven Weinberg che smette di parlare, i lunghi secondi di silenzio mentre ci pensa su e riprova a spiegare come pensa il prima del Big Bang e dello spazio-tempo.

Tolta la scuffia per un’equazione troppo bella per non esser vera, le descrizioni della materia fanno la parte del leone, se così si può dire di scoiattoli volanti e di fantasia. In due brevi paragrafi “vediamo” come un bambù ferito sopravvive al tifone e un ciliegio quasi ci lascia la pelle.

Per questo aspettavo al varco il capitolo sulle fake news, un tormentone e un esempio di immaterialità che non si addice a uno scienziato dei materiali. Invece Elia se la cava senza dare giudizi in un dégradé che va da “impossibili” a “interpretabili”, una sfumatura di probabilità via l’altra.

E’ bayesiano anche lui, grazie del regalo! Ma un saggio più confacente alla sua professione, no?

Eccolo. Si chiama La leggenda dell’uomo sintetico e sarà per un’altra volta…

3 commenti

  1. Grazie per questa splendida recensione!
    Il capitolo sulle fake news è uno dei miei preferiti, a riguardarlo adesso. Non tanto perché punti il dito sulle fake news conclamate, ma perché in questo preciso contesto storico dove gli scienziati si pugnalano a vicenda, the bias is in the eye of the beholder

  2. Cara Oca,
    quando Eco parlava già 20 anni fa della società liquida, dove non esistono valori e obbiettivi a lungo termine e ciascuno sembra muoversi in direzione casuale, nessuno lo aveva preso sul serio. Quando ha accusato la Corrida di Corrado di aver aperto la strada alla pubblica auto-umiliazione come valore, la gente aveva riso. Quella degli imbecilli e internet non è che l’ultima delle sue profezie sul futuro imminente che si è realizzata. La gente non si vergogna di nulla, purché possa guadagnarci qualcosa (basta la fama). Anche gli scienziati.

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