"Dramatically"

In tempi di Covid-19 sembrava prevedibile e invece… I virologi Harvey Alter degli NIH nel Maryland, Michael Houghton ora all’università dell’Alberta in Canada e Charles Rice dell’università Rockefeller hanno ricevuto il premio Nobel per la fisiologia e la medicina. Houghton per aver identificato il virus dell’epatite C (Hcv), Alter e Rice per aver dimostrato come l’Hcv causa cirrosi e tumori del fegato:

  • un lavoro pionieristico che ha aperto la strada allo sviluppo di metodi diagnostici i quali hanno ridotto enormemente [“dramatically”] il rischio di contrarre l’epatite da trasfusioni di sangue contaminato e ha portato allo sviluppo di farmaci antivirali efficaci che hanno migliorato la vita di milioni di persone.

In realtà, l’Hcv era stato isolato nel 1989 anche da Qui-Lim Choo e George Quo, che lavorano con Houghton alla Chiron Corporation, un’azienda biotech californiana. Lo fa notare Jason Sheltzer che prevede una polemica “inconsueta”: in precedenza Houghton aveva rifiutato il premio Gaiskell perché escludeva il “lavoro pionieristico” di Choo e Quo.

Dopo fallimenti a decine, sono stati creati farmaci come il Peg-IFN (interferone Peg, dagli effetti collaterali “pesanti”), la ribavirina e altri più efficaci e meglio tollerati che  pochi sistemi sanitari possono permettersi.

Nel 2013, qualcuno se lo ricorderà penso, c’era stato un sollevamento di Medici Senza Frontiere e altre Ong contro Gilead: una singola pillola del suo antivirale sofosbuvir (Solvadi) costava mille dollari, circa $84 mila per i tre mesi della cura.
E contro Bristol Myers Squibb che vendeva una pillola di daclatasvir (Daklinza) a $750 “soltanto”. Siccome ne servivano più di una, la cura costava $142 mila.

Le Big Pharma hanno dovuto ridurre “dramatically” i prezzi dei farmaci comprati da MSF e altre Ong ($100 a pillola se non ricordo male) e da alcuni paesi poveri. MSF continua lo stesso la battaglia legale per contestare il brevetto concesso a Gilead dall’Ufficio europeo dei brevetti.
Nel mondo l’epatite B e l’epatite C, dice il comunicato stampa del premio,

  • causano oltre un milione di decessi ogni anno, è un problema sanitario globale su una scala paragonabile alle infezioni da HIV e alla tubercolosi. 

(Per l’epatite B, sono quasi trent’anni che esiste un vaccino sia pediatrico che per adulti, almeno 600 mila decessi sono evitabili.)

Tre anni fa, l’Organizzazione mondiale della sanità stimava che circa 71 milioni di persone soffrono di infezione cronica da Hcv, 399 mila ne muoiono ogni anno e soltanto il 20% delle infezioni sono diagnosticate. I test sierologici, ormai precisi e rapidi, richiedono comunque laboratori attrezzati che nei paesi poveri sono rari. E perfino in quelli ricchi le popolazioni più a rischio sono quelle più emarginate.

La trasmissione dell’Hcv somiglia in parte a quella dell’Hiv. In Italia, per esempio,

  • L’esposizione nosocomiale rappresenta il principale fattore di rischio (42,1%), seguito dall’assunzione di droghe per via parenterale (riportato dal 38,9% dei casi) e dall’esposizione sessuale, intesa come partner sessuali multipli o mancato uso del profilattico in corso di rapporti occasionali (30,6%di casi). Il 29,7% dei casi riporta un’esposizione a trattamenti estetici (come manicure, piercing e tatuaggi) mentre la convivenza con un soggetto HCV positivo rappresenta il fattore di rischio meno frequente tra quelli analizzati (26,7%).

La sterilizzazione degli strumenti “nosocomiali” o “estetici” non richiede grandi investimenti. I preservativi nemmeno. Nel caso della distribuzione o dello scambio di siringhe, gli ostacoli non sono economici ma moralistici (i drogati “se la sono cercata”).
Eppure – mi sembra – non ci sono state le stesse campagne su come prevenire l’epatite C. Inoltre i fondi pubblici e privati per la ricerca di un vaccino, iniziata anch’essa negli anni Novanta, sono molto meno di quelli per un vaccino contro l’Hiv.

Forse per una percezione errata del rischio? All’inizio l’epatite C è spesso asintomatica, quando diventa cronica resta “sotto traccia”, viene diagnosticata solo in fase acuta o quando è “fulminea”. Se è così, si spiega come mai la sua incidenza nella popolazione italiana, per esempio bis, è ancora così incerta.

La pandemia da Sars-Cov-2 ha reso “dramatically” evidente l’iniquità sanitaria mondiale e forse più accettabile l’idea di test sierologici a tappeto. Non sarebbe male se i neo-premiati approfittassero del loro momento di fama mondiale per parlarne, magari partendo da quella che conoscono meglio.

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Anche Leonid Schneider trova un po’ improbabili le scoperte di Svante Pääbo et al. sui geni che avremmo ereditato dai Neanderthal, ma raccontate da lui fanno ridere di più.