Nel loro tempo libero

Da mesi non spettegolavo più sui miei climatologi preferiti. James “avanzo di galera” Hansen ha quasi finito Sophie’s Planet, la sua autobiografia – Sophie è la sua nipotina. Nella bozza del capitolo 46, è arrivato alla militanza ambientalista sotto il governo Obama, alla frustrazione per le battaglie legali contro Big Oil & Coal e il governo perse dai giovani, in barba alla Costituzione a suo avviso, e alla decisione di lasciare il Giss-Nasa di cui era direttore:

  • Decisi di dimettermi dal governo. Volevo iniziare un altro processo questa volta più simile a quello che descrivevo in “Sophie contro Obama”, e concentrarmi sulla protezione delle leggi uguale per tutti, come nel caso dei diritti civili. Mai avrei anche scritto il libro Sophie’s World per aiutare il pubblico e i giudici a capire il cambiamento climatico e le azioni necessarie per stabilizzare il clima perché resti ospitale per la gente e altre forme di vita. 

La settimana scorsa ha scritto a Boris Johnson che ospiterà la COP26 a Edimburgo in novembre, e ha la scelta di proporre obiettivi blandi e rasserenanti oppure azioni vigorose ed efficaci, e potrebbe cominciare a dare il buon esempio non aprendo nuove miniere di carbone in Gran Bretagna. (Jim ha avuto un ripensamento sul grafico, appena la lettera è stata citata dal Guardian e dalla BBC…)

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Gavin Schmidt, il “giocoliere occasionale”, che dirige il Giss-Nasa da quando Hansen si è dimesso è appena stato nominato Senior Climate Advisor dell’intera Agenzia. Il nuovo capo della NASA non è ancora stato “confermato” dal Senato e per adesso è un incarico temporaneo, comunque dovrà

  • Promote and engage in climate-related investments in the Science Mission Directorate’s Earth Science Division.
  • Promote aeronautics and other technology initiatives focused on reducing carbon dioxide emissions and broad climate impacts.
  • Demonstrate and communicate the societal impacts and breadth of NASA investments related to climate.
  • Foster communication and coordination within and outside the science community at NASA.
  • Actively engage in amplifying the agency’s climate-related research and technological development.

Dubito che gli resti molto tempo per scrivere su Real Climate. Il suo ultimo post è una rassegna delle scommesse fatte prima con altri scienziati scettici e poi con negazionisti che le perdono e spesso rifiutano di pagarle alla buona causa scelta di comune accordo.

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Come rari habitués ricorderanno, Raymond Pierrehumbert a.k.a. Raypierre è un belga colto e spiritoso in parecchie lingue, suona la fisarmonica, è l’autore dell’indispensabile manuale Principles of Planetary Climate, ed è a capo di un gruppo di ricerca sul clima della Terra e di altri pianeti all’università di Oxford. Anche per lui, il 20 gennaio dev’esser stato un sollievo perché all’inaugurazione di Joe Biden e Kamala Harris ha dedicato “Da dawn day”, una ballata delle isole Shetland.
(Se non vi piace la fisarmonica, andate a 0:50″ circa per leggere la didascalia – riguarda un progetto contro il quale il suo amico Jim aveva protestato, finendo in manette.)
Nell’orario di lavoro, presumo, ha scritto una “Prospettiva sulla differenza tra l’effetto serra delle emissioni di CO2, da ridurre con urgenza a “net zero”, e quelle del metano agricolo, con le soluzioni già esistenti per ridurre da subito le seconde anche se non proprio a “net zero”. Sintesi di Michelle Cain, una degli autori.
Fa parte di cinque articoli di cui quattro da far girare nelle Ong prima della COP, secondo me – sono usciti su un rivista di Frontiers, ma con peer-reviewers di tutto rispetto.

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A proposito di “zero netto” per le emissioni di CO2, ci sono due paper in open access – per una volta – di Nature Climate Change sulle tecnologie “immature” per la rimozione della CO2 (CDR) dall’atmosfera da dispiegare su scala mondiale tra il 2050 e il 2100 per restare “ben al di sotto” di un aumento di 2° C rispetto a metà Ottocento come da Accordo di Parigi. (La Francia è già a +1,7° C stando all’ultimo rapporto Drias di Météo-France). Meritano. Il primo è dell’economista Oliver Geden, non fra i miei autori preferiti, e del bravo Glen Peters di Cicero:

  • Most, if not all, discussions of CDR have been at the global level. This is an unhelpful abstraction, as individual actors must deliver CDR. 

Ma come si misura? Chi controlla che le riduzioni siano effettivamente dovute alle nuove tecnologie e non ad altri interventi?

C’è da dubitare anche delle misure delle emissioni locali. Su Nature Communications, Kevin Gurney et al. calcolano che nei loro “self-reported inventories” 37 città americane su 48 hanno sottostimato del 29,1%  – circa, salto i CI – le proprie emissioni annue da carburanti fossili, abbassando del 18,3% il totale.

Per stimare quelle reali, usano il metodo del Vulcan Project che sarebbe molto più affidabile.  h/t Glen Peters che ha misurato la riduzione a Oslo dal 2016 al 2020. Le emissioni dovevano diminuire di metà, idealmente, ma il calo è stato del 2,5%.

9 commenti

  1. Nib so se la “perspective” di Raypierre potrebbe essere utile al commentatore Francesco su Climalteranti…

    1. Mah… Forse gli converrebbe leggere prima il cap. 2 del rapporto speciale IPCC sull’uso del suolo, tanto per aggiornarsi un po’. Le stime di Pimentel et al. sono del 2004, quelle della FAO 2010 sono state corrette da 18% al 13,5%.
      Sembra un po’ disinformato, nessun articolo scientifico attribuisce all’agricoltura il 50% del GW (o delle emissioni di CO2 equiv. se è per quello).

  2. Oca: prima di dare del disinformato a me, vada su “Climateranti” e si legga l’articolo del 5 Luglio 2017 ” Il consumo di carne, i cambiamenti climatici e la salute” e già nelle prime righe trova che nel libro Cowspiracy gli allevamenti vengono accusati di essere responsabili per il 51% dell’AGW.

    1. Francesco,
      Il titolo dell’ANSA è fuorviante, ma la notizia inizia così:
      Aumentano a forte ritmo nel nostro pianeta i gas ad effetto serra emessi dal bestiame, responsabili di circa il 10% delle emissioni ad effetto serra globali.
      Di quel 10% (in realtà, il 9% nell’articolo scientifico citato dall’ANSA),
      il 74%… è causato dai bovini… Le pecore contribuiscono per il 9%, i bufali il 7%, i maiali il 5% e le capre il 4%.
      Il film Cowspiracy è una montagna di falsi e bufale.
      vada su “Climalteranti” e si legga l’articolo del 5 Luglio 2017
      Lei è sicuro di averlo letto? Insieme ad Stefano Caserini e Marco Biot, scrivevo:
      Assunzioni estreme su alcuni dati possono portare a stime poco credibili, come quella contenuta nel documentario Cowspiracy, in cui tramite diverse ipotesi molto discutibili si arriva ad attribuire agli allevamenti il 51% delle emissioni globali, addirittura più di quelle dovute ai combustibili fossili.
      Su questo blog ero stata meno diplomatica.

  3. Ocasapiens: mi scuso se ho dubitato. Nei miei precedenti commenti, mi riferivo appunto alla lunga serie di numeri (il 51% ed il 74% li citavo anche io come casi limite) lanciati per accusare l’agricoltura in generale e l’allevamento ed i ruminanti in particolare. Purtroppo questi numeri vengono rimbalzati su mille altri articoli e a forza di leggerli diventano “verità”. Per aver partecipato a centinaia di dibattiti, conferenze e presentazioni del mio libro, li ho sentiti citare spesso. Anche gli assurdi dati di Pimentel sul consumo di acqua, nonostante siano datati, li ho letti e sentiti decine di volte. Non ho mai negato che le attività agro-zootecniche contribuiscano, come tutte le attività umane, all’attuale preoccupante AGW. Credo che però sia necessario distinguere tra le attività di base (produzione di concimi e coltivazione vera e propria, con consumo di combustibili fossili (purtroppo i trattori a metano o elettrici non li hanno ancora inventati) ed il resto. Per non parlare poi delle alternative, (Bio, ecc) che alla prova dei fatti si rivelano spesso più impattanti. Ripeto ancora una volta: se fosse vero che il metabolismo dei ruminanti, o le fermentazioni anaerobiche delle risaie (come pure le paludi, le termiti ecc) AGGIUNGESSE continuamente poco o tanto gas climaterante all’atmosfera, nel corso di milioni o anche solo migliaia di anni non avremmo potuto più respirare. Faccio poi il ragionamento contrario: se certe pratiche agricole o i soli bovini, contribuissero veramente per quel 10-13,5- 18-20-30-51% all’ Effetto Serra, perché preoccuparsi tanto. Basterebbe tutto sommato poco per abbassare l’AGW. Indennizziamo tutti gli allevatori di bovini (la vedo un pò dura con le vacche sacre indiane!) e li ammazziamo tutti o almeno la metà. Poi convinciamo asiatici, africani e padani a rinunciare a riso basmati e risotti sostituendoli con baguette e brioches e nel giro di pochi anni si inverte radicalmente l’AGW. Mi dispiacerebbe per i risotti, ma personalmente, come allevatore di struzzi (erbivori monogastrici più efficienti dei ruminanti nella produzione di carne rossa) ne avrei molti benefici.

    1. Francesco,
      le stime di Pimentel si riferivano a bovini americani allevati principalmente a mais (farine, milled, steam-rolled ecc.), e non mi sembra che siano state contestate. Oggi l’irrigazione è un po’ più efficiente, ma nella Corn Belt il livello delle falde continua a calare.
      In India il calo è ancora più preoccupante.
      Per parlare seriamente dell’impatto delle varie pratiche agricole sull’ambiente, secondo me conviene leggere riviste scientifiche. Così si vede che le emissioni di CO2, metano e N2O da attività agricole sono già distinte da quelle del resto della filiera alimentare.
      Siccome quelle agricole – allevamenti compresi – sono circa il 14% del totale (il 10% nella UE), prevalentemente metano e N2O, si vede pure che non contribuiscono per un 14% all’AGW e perché non ha senso azzerarle.

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