Pari opportunità (oncologiche)

Per rendere omaggio alle imprenditrici Mariella e Patrizia Verduci dell’omonima casa editrice “scientifica”, con l’aiuto di Elisabeth Bik e di Tiger BB8, l’infaticabile Smut Clyde recensisce articoli che medici cinesi hanno comprato su European Review for Medical & Pharmacological Science.

Avevo già accennato al tumore alla prostata equamente condiviso da pazienti di ambo i sessi, e Smut Clyde scriveva in un commento che in Cina, avviene anche per il tumore al seno. Credevo d’aver fatto il pieno.
Oggi apprendo che in Cina gli uomini hanno le ovaie…

Ma vale la pena sparare sull’ambula ERMPS? si chiede Smut C. Basata sul profitto e insieme altruista (i due direttori responsabili e parecchi redattori sono dell’Università cattolica del Sacro Cuore dopotutto…), consente ai clinici cinesi di raggiungere il tot di “pubblicazioni su una rivista internazionale” necessario alla carriera.
Le leggono solo i nettascienza che imperversano su PubPeer, ma

  • Mirabile dictu, quelle pubblicazioni saltano fuori nelle consultazioni della letteratura (sono indicizzate su PubMed), e sono in effetti citate in rassegne e sintesi sistematiche, elevate in tal modo dal campo periferico e parassitario della ricerca fantasy a quello… della scienza sperimentale. Sono poi copia-incollate da autori pigri da una bibliografia all’altra, accumulando così la credibilità di decine e perfino centinaia di citazioni. 

En passant, ho appreso pure che Camillo Ricordi del Consiglio Superiore di Sanità – i lettori ne ricorderanno l’interesse per la truffa Stamina – ha fatto la réclame a un prodotto della Verduci sul quale, a differenza di Leonid Schneider, mi esprimerò solo in presenza di un* avvocat*…

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Le mie letture del week-end non erano in tema di 8 marzo…

Science, Nature, The Economist, Connaissance des Energies – tra molti altri – hanno pubblicato articoli su Fukushima Dai-ichi “10 anni dopo” lo tsunami e il disastro della centrale nucleare. Traggono bilanci e lezioni diverse, ma tutti riferiscono che saranno necessari almeno altri trent’anni e altri $76 miliardi per rimuovere il combustibile e bonificare il sito. Molto prima, il governo e la TEPCO, che gestisce le centrali, dovranno decidere se riversare l’acqua contaminata in mare o nell’atmosfera o cos’altro farne. Da Science:

  • La TEPCO dice che esaurirà lo spazio dove stoccarla nell’estate del 2022.

Altra questione urgente, oggi più che nel 2011: sarà possibile decarbonizzare l’economia mondiale entro il 2050 senza energia nucleare? Il disastro di Fukushima è avvenuto proprio mentre si parlava di un “rinascimento del nucleare” perché le centrali in progettazione erano una cinquantina (come oggi), con una potenza molto maggiore di quelle da chiudere nel frattempo.

Stando al reportage dell’Economist, il “problema chiave” è che la fiducia dei giapponesi nel governo non è più tornata al 51% come nel 2010. La fiducia scarseggia dappertutto. Su Nature, Aditi Verma, Adi Ahmad e Francesca Giovannini scrivono che il problema più grosso sta

  • nei modi opachi, autoreferenziali e ingiusti con i quali, a lungo, il settore nucleare ha preso decisioni politiche e tecnologiche. Perciò due domande cruciali vanno poste per quanto riguarda il futuro dell’energia nucleare. La prima: il settore riuscirà a superare la disapprovazione dell’opinione pubblica? La seconda: i benefici valgono i rischi e i costi per le persone e per l’ambiente? 

Nonostante le lezioni di Cernobyl e di Fukushima, finora non è successo.

  • Di solito le aziende [statunitensi, russe e cinesi principalmente] hanno ritenuto che i nuovi paesi acquirenti non avevano nulla di interessante da contribuire alla progettazione della tecnologia e al processo di sviluppo. Così l’inclusione dell’energia nucleare è sembrata artificiosa, spinta dal desiderio di profitto e di dominio del mercato invece di essere una componente organica di una risposta collettiva a un problema sociale come il cambiamento climatico. 

Nei costi per la società più che per le aziende, c’è quello dello smantellamento delle vecchie centrali che viene poco menzionato, mi sembra. Forse perché nessuno sa quantificarlo in assenza di disastro?

In Francia i reattori dovrebbero durare al massimo 40 anni, e circa metà sono stati “fermati definitivamente”. L’ultima volta che un reattore è stato messo in rete è stata nel 1999. Alcuni sono “prorogati”, altri in naftalina, e non si sa quando sarà finito il Flamanville 3 (un EPR) che doveva entrare in funzione nove anni fa.

D’altronde per smantellare il “piccolo” HWGCR da 70 MWe di Brenillis – in funzione dal 1967 al 1979 – si sono già spesi 480 milioni di euro, al posto dei 24 milioni preventivati. Per Caorso – in funzione dal 1978 al 1986 – abbiamo già pagato 750 milioni et ce n’est qu’un début