C'era una volta la Città delle dame

Sergio Bologna, come balla il rock lui… come non detto, è un legame indimenticabile, ma se comincio a digredire adesso, sto qua fino a domani. Rifaccio.

Sergio Bologna è un amico appena ritrovato grazie a Pat Carra, l’amica vignettista delle Erbacce. Da storico del movimento operaio è diventato un famoso esperto di logistica, dei viaggi di genti e merci nell’economia globale, il cacio sui miei maccheroni.

Gli chiedo cosa pensa della situazione a parte “ve l’avevo detto io”.
“No, questa non l’avevo detta.” Scusa, ma i container dei virus siamo noi e i nostri animali. E’ d’accordo. Questa l’aveva detta Ilaria Capua nel 1998 e non ha più smesso di ripeterlo. Aspetta, dice, “la veterinaria, sì, sì, ho capito, La salute circolare“.
Bravo, e prima “One world one health”. E prima ancora l’aveva detto Rachel Carson che ha ispirato il rapporto “Our common future” di Gro Harlem Brundtland, e poi Nancy Cox che ha diretto i Centers for Disease Control di Atlanta. Via a snocciolare le mie mitiche.
Tutte donne, interrompe Sergio, forse con un filino di ironia. Rettifico subito, femminista sì but let’s be fair: molti uomini le hanno derise e insultate – ridigredisco, ma è paziente – però altri le hanno ascoltate e aiutate. Mi trattengo a fatica dal digredire su Kathy Sebelius, segretaria della sanità di Obama e meno male, o negli Stati Uniti l’influenza suina avrebbe fatto ancora più di vittime.

Soltanto lo sforzo per trattenermi può avermi fatto dimenticare i governanti di paesi del terzo mondo che mandavano studenti a fare il dottorato con Ilaria, a Legnaro. Erano un po’ disorientati in quel paesino della provincia padovana, venivano da quartieri pieni di grattacieli e negozi delle grandi marche…

Non mi fa dimenticare quel senso che proviamo io e Pat, come se il patriarcato e il suo sistema economico stesse scricchiolando. La folle idea che la pandemia è la sua guerra di Troia e fuori dalle mura non ci son mica mezzi calzini come l’iroso Achille, il furbastro nessuno, l’assassino della figlia e i loro mirmidoni.

Dentro le mura e la folle idea, c’è l’intuizione rivoluzionaria di femministe italiane: l’affidamento. Gli uomini lo conoscono benissimo, ma l’hanno svilito finché s’è ridotto all’old boys’ network, a un baratto, oggi un favore a me domani uno a te poi tutti a dividerci la torta. Per noi significa riconoscere, darsi, ascoltare una maestra: Le Troiane, visto che Cassandra capisce meglio e prima quello che accade, le danno retta e credito.

Fatto questo, mentre lei osserva la situazione storica da una nicchia nelle merlature, loro si organizzano per difendere i propri figli dai patriarchi inferociti invece di ucciderli – i figli,  intendo, i patriarchi si mangiano vivi come le ostriche – e inondar il giaciglio con fiumi di lacrime.

Saranno sconfitte, ovviamente, ma ci avranno provato. Qualche figlia sopravvissuta se lo ricorderà.

E’ questo passaggio del testimone che mi ha colpita (che acume, raga*! Come si vede dal titolo del post colpisce le donne da sei secoli…). Non sarò mai Christine de Pizan, approfitto solo di un mese di pandemia e di semi-intellettuali che citano Boccaccio, per ricordarla con affetto.

De mon mieux.

Nella Città delle dame nobili di spirito, c’era una volta una giovane veterinaria, una “funzionario dello stato” diceva. Inventò la strategia DIVA e la commissaria europea le affidò una commissione per vedere come applicarla e prevenire le stragi di polli.
E’ il 1998 e guarda un po’ te il caso, da gennaio l’ex prima ministra norvegese Gro Brundtland è direttrice generale dell’Organizzazione mondiale della sanità umana, proprio mentre l’Organizzazione mondiale della sanità animale si accorge della funzionario. La giovane non ha ancora la celebrità dei grandi inglesi che  però ne dicono meraviglie e pubblicano paper importanti insieme a lei…

Il concetto di più salute per tutti sta conquistando terreno, i centri di ricerca britannici sulle zoonosi fanno la ola nella curva nord-ovest, Go girls!

Lungi da me insinuare che per tenerci in salute nel millennio neonato una mafia femminile pestasse con le Manolo Blahnik certi calli in mocassini Gucci en crocodile véritable che andavano di moda nelle agenzie Onu di Ginevra.

Anche perché nel 2007 Margaret Chan diventa direttrice generale dell’Organizzazione dell’umana salute. Veniva da una Hong-Kong meno inquieta di oggi, eppure non aveva fiatato mentre per mesi il governo cinese diceva che il coronavirus del 2002-2003 era uno pneumococco. E sbatteva in galera la biologa-giornalista del settimanale più venduto di Guandong, rea di aver smentito il Cicì del Picicì.

Non fiata mentre Ilaria si sgola. Così sospetto che la perfida le metta i bastoni tra le ruote per non perdere finanziamenti cinesi. “No, è brava e onesta.” L’a priori bayesiano di Ilaria è che tutti sono come lei fino alla cocente delusione e gli occhi della mia principessa troiana si riempiono di lacrime.

Ma se nei tre anni successivi c’è una brutta influenza aviaria e l’Oms continua ad autorizzare soltanto una manciata – ok, erano due manciate, che pignoli che siete – di laboratori di virologia umana nel mondo a condividere i campioni?!?

Manco a dirlo stanno nei paesi ricchi, i direttori aspettano che esca la loro richiesta di un brevetto prima pubblicare nelle riviste i geni del virus e i suoi punti deboli da prendere di mira con un farmaco o un vaccino.
Attaccati ai brevetti come patelle. E’ lo Heuschreckenkapitalismus, bellezza, Bayer contro Aspirina docet.

Nella Città delle dame, Ilaria sognava da anni di costruire una banca. Una banca-dati aperta a tutti i ricercatori di tutti i paesi e di tutti i colori. E così la sua amica Nancy Cox, la direttrice dei Centers for Disease Control che poi l’avrebbe invitata per un anno ad Atlanta con l’intento di soffiar via all’Italia la sua funzionario di stato. Mission impossible: c’è riuscito solo L’Espresso sbattendo il mostro in copertina col titolo “Trafficante di virus” e sotto un horror in tre G (gomblotto-grillin-gnurant).
Ma c’è anche un cavaliere sul suo bianco destrier… un miliardario sul suo jet privato che va a parlare dei benefici della banca con papaveri alti alti nei vari continenti.
La GISAID prende forma di piano operativo, non è più il progetto auspicato dalle riviste scientifiche e chissene… Eh no. S’accodano altri miliardari, capitalisti del libero mercato, chi di loro non lo è getti la prima pietra, però filantropi.

Go girl, dice Margaret Chan, ma non chiedere soldi all’Organizzazione mondiale per la salute umana. Qui dovrei parlare del direttore generale della FAO, tanto entusiasta del concetto One world one health salute circolare. A parole. Dollari per costruire la piattaforma e gestirla ciccia…

Nella Città delle dame, tre anni prima era arrivata la figlia di un pastore protestante, una tedesca che di nome faceva Angela e da chimica  teorica prestata all’astrofisica dei buchi neri era affezionata ai dati e a chi li sapeva interpretare. Così la Germania s’è impegnata a finanziare la GISAID a lungo termine e oggi ne resta il principale donatore.

Essendo la GISAID aperta pure a un’oca dall’animo indécrottable, in gennaio ho visto che, genetisti cinesi avevano depositato le prime due sequenze del Sars-Cov-19 e l’avevano detto all’Organizzazione mondiale della salute umana. (Per confondere noi del vulgum pecus, un deposito in una banca-dati, o delle sementi se è per quello, si chiama “accesso”).

Sembravano un po’ incerte, come la mondiale Organizzazione d’altronde che le attribuiva dubbiosa a un “virus novello”. E se era un coronavirus del raffreddore un po’ mutato? Venti giorni dopo le sequenze erano state confermate da altre nove. Due appena depositate, da campioni biologici prelevati in Thailandia dove comanda una cosca di militari, come negli ospedali statali in Cina, ma non sono genetisti.
Così ho scritto “ve l’avevo detto io” al posto di Ilaria, una dama dall’animo troppo nobile.

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