Mini-ciclotrone 21

Fonte Treehugger
Aggiornamenti su Fukushima-I e le centrali nucleari in generale, come quelle volute dal governatore del Wisconsin Scott Walker –  manifestazione di protesta in corso a Madison mentre scrivo ma per la difesa dei diritti sindacali che vuol abolire nel centenario delle operaie morte nell’incendio della Triangle Shirtwaist, quell’uomo le azzecca tutte  – il cui Tea Party vuole anche abolire la Nuclear Regulatory Commission. Con flash dalla Libia penso.

Se c’è tempo, e anche perché  – come diceva gifh – l’industria nucleare sostiene di poter ridurre notevolmente le emissioni di gas serra – segnalo la ricerca di David Lobell, Marianne Bänzinger e altri del Cymmit, uscita su Nature Climate Change:

Usando un data set di oltre 20.000 esperimenti con il mais in Africa, combinati con i dati meteo quotidiani,  mostriamo un rapporto non lineare tra riscaldamento e rese. Ogni giorno sopra i 30° C riduceva dell’1% in condizioni di piovosità ottimale e dell’1,7% in condizioni di siccità…

Grassetto mio. I dati sono affidabili, vengono da 123 stazioni di ricerca nei paesi dell’Africa sub-sahariana, alcune private, altre nazionali, altre gestite dal Cymmit o da un altro centro della CGIAR, tra il 1999 e il 2007. Però

la maggior parte degli esperimenti si sono svolti con una gestione ‘ottimale’, con irrigazione da acqua piovana e trattamento agronomico specifico per il sito, per minimizzare lo stress da patogeni, da carenza d’acqua e nutrienti.

Nei siti relativamente “freschi” – temperatura media diurna nel periodi di crescita: 23°C – un grado in più aumenta la resa. Dai 25 °C di media, la fa declinare anche se meno quando le piogge arrivano al momento giusto e sono aggiunti fertilizzanti. Per le piante C4 come il mais, contribuiscono meno all’effetto serra.  Se manca l’acqua, oltre i 28 °C niente da fare, dai 30 in poi per ogni grado di riscaldamento, le perdite quotidiane raddoppiano anche se alcune varietà sono più tolleranti. Nell’insieme

Nel 65% circa delle attuali zone di coltivazioni, le rese calano del 30% per 1 grado di riscaldamento medio sui 21 giorni clou della crescita, anche se la piovosità è ottimale.

Gli autori dicono che il calo percentuale dovrebbe essere minore nelle coltivazioni “normali”, dalla resa parecchio più bassa perché i contadini – in maggioranza contadine – non possono permettersi i fertilizzanti. In Malawi, il governo non rispetta le regole del WTO e le sovvenziona. La differenza s’è vista.  Mi sembra una contraddizione, visto che i fertilizzanti tamponano in parte i danni del riscaldamento. Comunque oltre all’acqua, è la temperatura massima diurna a fare la differenza al contrario del riso, la cui resa cala in funzione dell’aumento della temperatura notturna. L’articolo è gratis, nelle “references” sono citate altre ricerche analoghe compresa questa di Schlenker e Lobell 2010 (potevano mettere i link!?!).

Ancora nessuna sul grano, più vulnerabile, che non ha varietà resistenti al caldo e alla siccità come quelle del mais, dell’orzo o del sorgo.

OT – Libia
Il Daily Mash dev’essere femminista.