Impollinatrice di ricambio et al.
Un apicoltore dilettante nonché inglese della Liguria e Filter segnalano sull’Economist di oggi un articolo dagli intertitoli spiritosi. Bellissimo. Tratta delle api negli Stati Uniti. Quest’anno in California, l’offerta di arnie da noleggio per l’impollinazione dei mandorli ha superato la domanda. I mandorlisti prevedono un raccolto scarso per colpa della siccità e tagliano sulla spesa per colpa della crisi economica.
A proposito della sindrome da spopolamento delle colonie o CCD, vengono radunati i soliti sospetti – virus, varroa, nosema, siccità ecc. Il colpevole più probabile sarebbe una dieta ipoproteica che accresce la suscettibilità ai patogeni: quando viene arricchita con integratori alimentari, le colonie resistono molto di più alla CCD. Ma anche gli apicoltori sentono la crisi, integratori ciccia.
Io non escluderei l’ipotesi di May Berenbaum sui fattori di stress che compromettono il sistema immunitario per il quale le api hanno pochissimi geni. Nemmeno la metà di quelli del moscerino della frutta, secondo i genomisti comparati, perché nella lotta ai patogeni l’ape conta sull’igiene collettiva dell’alveare. Negli Stati Uniti, dice May B., da febbraio a ottobre le colonie sono sballottate sui camion per giorni, costrette a bottinare monocultura per settimane, bref: “trattano le operaie come bestie”.
Per farsi un’idea: l’aggiornamento sulla CCD uscito il mese scorso su Bee Culture, spiegato qui.
Gli impollinatori non sono a rischio, conclude l’Economist, e nemmeno le coltivazioni di frutta e verdura perché nessun dato dimostra che le colonie di api selvatiche siano diminuite.
Infatti i dati dimostrano che è diminuito lo spazio a loro disposizione mentre la distanza tra un’alveare e l’altro è rimasta costante…
Errata corrige
Sono stata ingiusta con Tom Jefferson. A gennaio l’accusavo di pescar trote invece di cacciar bufale. Invece Buone idee segnala che con amici italiani ha catturato un nuovo trofeo e l’ha messo sul British Medical Journal. Ritiro tutto, scusa Tom e grazie Carla.
“Per creare un mercato basta un paio d’ore”
scrivono Debrah Meloso della Bocconi et al. in una ricerca che esce su Science. Quel mercato sostituisce e migliora il sistema dei brevetti pur conservandone l’idea di fondo che la creatività va premiata. Invece di assegnare un brevetto, il governo distribuisce premi per i vari contributi alla soluzione cercata: un muovo antibiotico, mettiamo. Meloso et al. hanno fatto un esperimento nel quale più soggetti collaborano per determinare gli oggetti più preziosi e utili che stanno in uno zaino. Secondo gli autori, “un mercato dei premi” è più efficiente dei brevetti perché in molti casi – la maggioranza forse – il brevetto non è l’incentivo adatto, o conferisce un monopolio o un posizione dominante.
Il loro è un mercato ad hoc, somiglia un po’ a una cooperativa. Gli inventori possono anche vendersi e comprarsi quote del premio, è possibile aggiungere altri tipi di incentivi, l’importante è che l’invenzione resti nel pubblico dominio e tutti possano usarla liberamente per migliorarla. Per chi vuol provare l’idea con esperimenti in proprio, hanno messo l’occorrente on line (grazie Filter.)
David Levine apprezza il modello, anche se non è certo che funzioni. Figurarsi io, ma continuano a uscire lamentele sul sistema dei brevetti, i suoi abusi, i suoi intralci alla ricerca scientifica nonché al bene comune, quindi chapeau a chi propone alternative.