Si parlava di creazionisti, e trac sui PNAS, Chiara Airoldi, Sara Bergonzi e Brendan Davies raccontano in open access l’evoluzione di
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una biodiversità accaduta per il solito errore di copiatura. A un gene ogni tanto capita di duplicarsi male. La brutta copia sta lì con le mani in mano, le sue faccende sono sbrigate dalla sequenza di DNA originale, ma alla prima mutazione utile s’inventa un compito. Nell’arabetta (Arabidopsis t.) il gene che si occupa di produrre gli organi maschili e femminili ha una copia che al momento opportuno libera i semi dal loro involucro. Nella bocca di leone (Antirrhinum m.) la divisione dei ruoli è diversa: l’originale fa gli organi femminili e un po’ contribuisce a quelli maschili, e la copia solo quelli maschili.
Risaliti su per l’albero genealogico delle piante che fioriscono, i tre hanno visto che il gene s’è duplicato 120 milioni di anni fa; in assenza del ministro Brunetta il doppione ci ha messo altri 20 milioni ad acquisire la mutazione giusta per trovarsi un lavoro.
I ricercatori pensano che la bocca di leone sia sulla strada di un’ulteriore evoluzione, ma la cosa più sorprendente, trovo, è che all’apparenza la mutazione è uguale nelle due piante, eppure il gene-doppione codifica per una proteina diversa. Nell’arabetta, le manca un amminoacido per cui resta capace di interagire con le altre che producono gli organi femminili e maschili dei fiori. Dal punto di vista della fitness riproduttiva non c’è differenza, dal punto di vista estetico il risultato è penoso:
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