Non è Cernobyl, però…

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Lo scrive Colin Macilvain su Nature a proposito di Fukushima-I e “del rischio unico e quasi esistenziale dell’energia nucleare”. Accusa gli esperti de settore di aver trattato l’opinione pubblica con condiscendenza, di aver minimizzato, rassicurato ecc.

Senz’altro, ma da non esperta temo di aver cercato di rassicurare soprattutto me stessa, per sperare ancora che ai giapponesi non toccasse pure la contaminazione radioattiva. Ormai sembra quasi inevitabile. Ci vogliono dai 30 ai 50 anni per bonificare il sito di una centrale chiusa in situazione normale, figurarsi quello attorno a Fukushima. E il mare…
Se continua a uscire acqua radioattiva, vuol dire che uno o due o tre dei reattori perdono, quella rimasta si surriscalda, bisogna aggiungerne in continuazione. Ma come? Se la radioattività è così elevata i tecnici non possono avvicinarsi. Pagati poco da ditte che hanno la manutenzione in subappalto così la TEPCO risparmia.

Questo lo diceva l’Economist, grande difensore del libero mercato e dell’outsourcing.

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A proposito di bonifica, Richard Lovett racconta la presentazione fatta da Minna Krejci alla riunione dell’American Chemical Society sulla capacità di una piccola alga, Closterium moniliferum, di catturare il bario e lo stronzio in mare e di sequestrarli nelle sue vacuole sotto forma di cristalli. Più bario c’è nell’acqua, e più assorbe stronzio. Potrebbe essere usata per assorbire lo stronzio 90 e forse il cesio, sempre che resista abbastanza a lungo alle radiazioni.

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Demenza senile
Sempre su Nature, Silvestre Alavez del lab di Gordon Lithgow et al. raccontano un esperimento stupendo. Riassumo prima la teoria: si pensa che le placche dell’Alzheimer, delle proteine (amiloidi beta) difformi che s’attaccano l’una all’altra e poi a tutto quello che trovano nel neurone, si creino per mancanza di “chaperon”, altre proteine che ridanno a quelle storte la forma giusta e se non ci riescono le eliminano. E si pensa che queste diminuiscano per effetto dell’invecchiamento.

Altra premessa: per identificare placche amiloidi beta anche molto piccole sotto il microscopio, si macchia il campione con la tioflavina T che s’attacca di preferenza alle proteine difformi.
– E l’esperimento arriva o no?
– Calma.

Così a Silvestre Alavez è venuta l’idea che potesse fare da chaperon. Se la teoria era corretta, la tioflavina avrebbe dovuto prolungare la vita non solo di una cellula, ma di un organismo. E siccome nel lab di Lithgow studiano la longevità della Caenorhabditis elegans (vedi foto), Alavez ne ha iniettato dosi minuscole a metà delle cavie. La metà senza è morta entro 20 giorni; l’altra è vissuta dal 50 al 78% in più. Non che alla C. elegans vengano placche amiloidi nei neuroni e la demenza senile quando vanno verso i 17-18 giorni, come ha scritto il Blitz in un attimo di demenza senile. Ma nelle cellule dei muscoli certe proteine diventano difformi e si raggrumano finché resta paralizzata e muore. Invece quelle placche erano rare in quelle che avevano ricevuto il colorante, il quale farebbe pertanto da chaperon a tanti tipi di proteine.

Alavez et al. hanno provato altre molecole dalla struttura simile a quella della tioflavina T e l’unica altrettanto efficace è risultata la curcumina che non è la curcuma come ha scritto il Blitz decisamente in crisi. E’ parecchio studiata per quantità di effetti terapeutici, è un anti-ossidante, in vitro potenzia l’effetto di antibiotici e farmaci antitumorali. Solo che nelle cellule umane pare inibire anche l’attività di parecchi enzimi.
Lo so che in italiano si dice chaperone molecolare, ma è una cavolata: si chiama così per via del chaperon la persona di una certa età che accompagnava una damigella per accertare che si mantenesse integra.