Su Science on line esce un paper di David Lobell e Justin Costa-Roberts, Harvard, e il solito Wolfram Schlenker, Columbia NY che quantificano l’effetto del clima sulle variazioni delle rese agricole dal 1980 al 2008.
In alcuni paesi i raccolti totali hanno continuato ad aumentare, con nuove terre coltivate e miglioramenti vari. Tenuto conto di questo, delle temperature e della pluviosità, la tendenza è “statisticamente significativa”. Il mais e il grano hanno reso un 3,8% e un 5,5% in meno, l’equivalente della produzione messicana di mais (23 milioni di tonn.) e francese di grano (33 milioni). Anche se nel modello i ricercatori non hanno usato le concentrazioni atmosferiche di CO2, queste non le aiutano, mentre è probabile che nel riso e nella soia abbiano compensato il 3% di calo dovuto al caldo.
Con “tutti i limiti e i caveat insiti” nei modelli statistici, scrivono,
il fatto che gli impatti del clima superano spesso il 10% del tasso di variazione delle rese indica che i cambiamenti climatici stanno già frenando in maniera considerevole la crescita delle rese.
Infatti per la produzione di cereali ormai il tasso di crescita è inferiore a quello della popolazione. Inoltre
dieci anni di tendenza climatica equivalgono all’incirca a un arretramento di un anno negli incrementi dovuti alla tecnologia.
Tecnologia che solo l’agricoltura industriale si può permettere. E nel frattempo diminuiscono gli aiuti ai contadini poveri. Come se non bastasse, i tre hanno calcolato che senza il riscaldamento globale dal 1980, il grano costerebbe un 5% in meno. Per i paesi ricchi, la differenza è minima, soprattutto per gli Stati Uniti dove nella stagione di crescita, la temperatura è aumentata meno che in Europa compresa la Russia occidentale (+2 °C in 30 anni). E’ enorme per i paesi poveri dove la gente spende l’80% del proprio reddito per il cibo e per il miliardo di affamati.
In tutte le ricerche che ho letto finora, anche con un’irrigazione e concimi decenti, mais e grano sono vulnerabili a brevi eccessi di temperatura diurna e il riso a quelli di temperatura notturna, e lo sono anche i loro conviventi, i microbi del suolo che consentono alle piante di fissare l’azoto.
L’altra cosa è che i gas serra aumentano tuttora, le temperature anche. La soia è tosta, solo che è destinata più che altro agli animali d’allevamento. Per i cereali che mangiamo noi, non si sa ancora come ottenere varietà resistenti ai picchi di caldo. O meglio, si conoscono i geni legati alle proteine da stress termico, ma non si sa come interferire per ritardarne l’effetto senza rattrappire tutta la pianta.
Problema non secondario per molte piante alimentari: i picchi di caldo danneggiano anche gli insetti impollinatori.
Da fa circolare tra Ong umanitarie insieme alla submission della FAO su sicurezza alimentare e clima, in attesa che il prof. Mariani cui s’affida Climate Monitor pubblichi i propri dati a smentita.
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