Il ritorno dei POP


Gli inquinanti organici persistenti (POP), una vasta gamma di composti  non biodegradabili usati dall’industria e in agricoltura, sono vietati o strettamente regolamentati da trent’anni, in media, perché causano gravi danni alla salute degli animali umani e non.

Il vantaggio, per così dire, della loro longevità nell’ambiente è che col tempo e i venti sono trasportati soprattutto nel circolo polare dove l’aria fredda li fa precipitare, con gravi danni per la salute dei locali umani e non. Con il tempo e le norme restrittive, la loro concentrazione nell’aria polare stava declinando, quelli vecchi restavano intrappolati nei ghiacci e nel mare. Perciò la previsione era che con il tempo e il caldo, i POP più volatili si sarebbero volatilizzarsi di nuovo e avrebbero ammorbato l’aria e gli animali.

Su Nature Climate Change, Jianmin Ma et al. scrivono di aver raccolto le analisi dell’aria fatte nel Nunavut canadese e nelle Svalbard norvegesi negli ultimi vent’anni. I POP hanno già ricominciato ad ammorbare dal 2005 per via

del ritiro della banchisa e dell’aumento delle temperature.

Non solo i più volatili, anche gli altri. E sono proprio quelli vecchi, nel caso qualcuno sospetti un’azienda chimica in Jacuzia di sfornarli per il contrabbando. Comprendono persino i policlorobifenili e l’esaclorobenzene.

Il paper ha anche un modello di evoluzione dell’inquinamento combinato a uno climatico così gli abitanti della confederazione circumpolare sanno di dover emigrare ancora prima del previsto.

Mi ha fatto venire in mente l’economista Matthew Kahn, che avevo intervistato quand’era uscito Climatopolis, sottotitolo Why cities will thrive in a hotter future (recensione). Anche lui, come alcuni commentatori che passano di qui, crede che con il caldo alle alte latitudini si starà bene.  Come no… Go North, young man.
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