Dimensioni della formica e dell'elefante

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Su Science del 30 settembre, c’era una lettera intitolata “La formica che imparò a essere un elefante”. Francine Ntoumi dell’istituto di medicina tropicale all’università di Tubinga e della Fondazione per la ricerca medica all’università di  Brazzaville raccontava come da formica – lei – grazie all’aiuto di formichine – all’inizio pochi studenti entusiasti – era riuscita ad attrezzare a Brazza un laboratorio abbandonato da anni e a reclutare giovani ricercatori nonostante gli ostacoli burocratici

E la Formica invitò a casa sua per un tè l’Elefante

cioè i colleghi di Tubinga con i quali quel laboratorio partecipa ormai agli esperimenti clinici su tubercolosi, Hiv e malaria (1) finanziati dalla Commissione europea. Dopo una bella pubblicazione l’anno scorso, Francine Ntoumi spera che il suo laboratorio continui a essere, su scala sub-sahariana, un elefante e che la crisi economica non lo faccia tornare formica.

Largo ai piccoli
Su Nature Climate Change dell’altro ieri, Jennifer Sheridan e David Bickford dell’università di Singapore passano in rassegna esperimenti e osservazioni di animali rimpiccioliti dai cambiamenti climatici. Gli effetti sono diversi, dipende parecchio dalla storia evolutiva di ogni specie. Restano da capire meglio molte cose, le ripercussioni sulla composizione degli ecosistemi o l’effetto di temperature più elevate sul metabolismo delle specie, quelle che mangiamo in particolare.

A parte il rimpicciolimento delle pecore Soay nelle Orcadi, comunque più tosate che mangiate (e invise all’ing. Morabito del PdL), la maggior parte delle osservazioni riguarda roba poco appetitosa per gli occidentali: ragni, scarafaggi, cicale, api e formiche. La variazione maggiore è quella di organismi marini: un grado C in più riduce dal 6 al 22 % la dimensione di molti pesci. Le piante sono meno sensibili, in un esperimento i frutti si riducevano soltanto da 3 al 17%, più del caldo contava la disponibilità di acqua.

Per otto anni Michael Bogan e David Lytle hanno studiato le comunità di insetti dentro e attorno a un fiumicciattolo, un tempo perenne, del deserto dell’Arizona. Su Freshwater Biology scrivono che dopo la prima siccità si sono riprese, dopo la seconda meno, dopo la terza hanno osservato per quattro anni un cambiamento catastrofico, acqua a intermittenza, meno tipi di piante ecc. Alcune specie di predatori in cima alla catena, uccelli e grossi coleotteri,  sono scomparse, quelle di insetti piccolini sono diventate 40 volte più abbondanti.

La CO2 fa bene
Sì, sì. Nei mari mica tanto perché li acidifica, però giova alle foreste boreali (e agli insetti e agli incendi che le distruggono…)

Dal 1997 al 2008, Donald Zak et al. hanno spruzzato CO2 sulle fronde di metà delle betulle, aceri e salici nella “foresta sperimentale del Wisconsin” – foto sopra – e somministrato a metà di ciascuna metà dosi quotidiane di ozono urbano. Pubblicano i risultati su Ecology Letters. A temperatura e precipitazioni mediamente costanti, con aggiunta di CO2 gli alberi avevano più radicelle per catturare l’azoto del terreno e crescevano di un 26% in più; con l’ozono nei primi anni erano rachitici, poi si abituavano e diventavano alti come quelli non inquinati.

E per dessert, al posto della frutta senape d’acero?

(1) Oggi il New England Journal of Medicine e altri parlano di “vaccino in vista” a proposito dei risultati del trial di fase III. E’ vero che sono morti solo 10 dei 15.460 bambini e neonati africani, ma mentre ha ridotto del 55% gli episodi di malaria, per quelli gravi il calo è stato meno del 35%. E 1,4 casi di convulsioni acute per 1.000 dosi somministrate sono tantissimi.