Si scioglie il Terzo polo

Non questo, il Tibet e dintorni – Himalaya, Karakorum, Pamir e Qilian – 100 mila km2 di ghiacciai sul cui andazzo c’è discussione. E più ricerca da quando la Cina finanzia parte del “Programma del terzo polo” e semplifica le procedure per visti, permessi di viaggio ecc. per i ricercatori stranieri. Speriamo che duri.

In febbraio, Jacob et al. avevano analizzato sette anni di dati di GRACE e trovato che i ghiacciai asiatici più alti si scioglievano a un decimo circa del tasso stimato da alcuni modelli e ricalcolato il loro contributo all’innalzamento del mare. Sette anni sono pochi, i ghiacciai non crescono solo sui picchi, gli autori riconoscevano che senza dati a terra quelli di GRACE andavano interpretati con cautela.

Su Nature Climate Change, Tandong Yao et al. dicono che non si può fare di ogni ghiacciaio un fascio. Usano serie trentennali, in media, controllate con misure e osservazioni al suolo. Sono disomogenee e all’inizio sembra un difetto, invece  la disomogeneità è sfruttata per formare una mappa dettagliata e a scala molto ridotta rispetto a GRACE.
Gli autori – tra cui Lonnie Thompson – hanno studiato

il ritiro di 82 ghiacciai, la riduzione della superficie di 7.090 ghiacciai, il cambiamento del bilancio di massa di 15 ghiacciai. Differenze di “status” sistematiche sono evidenti tra regione e regione. Il ritiro è più intensivo nell’Himalaya – escluso il Karakorum – caratterizzato dalla maggior riduzione di lunghezza e superficie glaciale, e dal bilancio di massa più negativo. In generale, il ritiro diminuisce andando dall’Himalaya verso l’interno del continente  ed è minore nel Pamir orientale… (Dal 1979, ndt) oltre alla temperatura crescente, precipitazioni in calo nell’Himalaya e in aumento sul Pamir orientale accompagnate da configurazioni diverse della circolazione atmosferica sono la causa probabile di tali differenze sistematiche.

Gli autori dicono che le misure dei satelliti GRACE sono poco adatte perché i ghiacciai sono molto più vari e fitti che in Antartide o in Groenlandia, e soprattutto perché in 30 anni è aumentata di un quarto la superficie dei loro laghi, senza un effetto gravitazionale che GRACE possa misurare.

Quindi arriva il global cooling
Su Astronomia, a firma dell’astronomo Vincenzo Zappalà

Il clima europeo degli ultimi duemila anni: verso un’era glaciale

Un’ accurata e omogenea ricostruzione dell’andamento climatico degli ultimi duemila anni mostra che i periodi caldi e freddi (di ampieza più o meno comparabile) si sono ripetuti ciclicamente e il trend generale va verso un raffreddamento generale. Tutti i programmi di previsione futura vanno ovviamente riscritti.

Non sembra, ma si tratta della forzante orbitale estrapolata da Jan Esper et al. dalla crescita estiva degli anelli in alcuni alberi della Lapponia. (Abstract: trovano che la densità è meglio correlata alla temperatura della larghezza dell’anello, un primo passo verso la soluzione del “problema della divergenza”.)  L’astronomo sostituisce il grafico originale con uno per giornalisti nel quale la “linear trend” mostra che dall’800 il cooling estivo non c’è più

la temperatura degli ultimi duemila anni
e afferma lo stesso che non c’è alcun “riscaldamento globale”.

Ricopia dal comunicato stampa in cui Jan Esper esagera parecchio.  Nel paper, scrive che la forzante orbitale a quelle latitudini arriva a -0,31° C e  – condizionale – alcune ricostruzioni basate sulla larghezza, tra cui le proprie, sottostimerebbero i raffreddamenti ciclici.  Sa anche Esper che la differenza di insolazione stagionale decresce scendendo verso l’Equatore; che fra i Tropici negli anelli non si vede più perché l’insolazione varia di poco durante l’anno e che il suo presunto ciclo secolare nel grafico finisce con l’800…

Presa la Lapponia per il pianeta e il clima del nord della Finlandia prima per quello europeo e poi per quello globale, l’astronomo conclude tutto soddisfatto:

Finalmente un lavoro serio, accurato, che usa dati omogenei. Ora la situazione climatica è decisamente più comprensibile e pone chiare basi di partenza per possibili estrapolazioni verso il futuro. Qualsiasi altro commento sulla labilità, le incertezze e la prosopopea pseudo-scientifica delle recenti previsioni a lungo termine è del tutto inutile.

Sans rire.
Niente sulle incertezze ed estrapolazioni degli autori. Niente sui dati contrastanti derivati dai sedimenti e dagli anelli degli alberi a latitudini temperate – un tantino più rappresentative di quelle lapponi – nell’ultima ricerca di Byron Steinman, Michael Mann et al.

Steph aveva promesso di farci un post, invece il fedifrago si occupa dei ghiacci groenlandesi. Come prima, rimando alla discussione su Real Climate. Notare però che, a differenza di Zappalà ed Esper, Steinman e Mann sono come Yao e Thompson: non considerano la disomogeneità un difetto, ma una fonte di  informazioni e di domande nuove.

Update
Da Real Climate, Bob Wilson – uno degli autori del paper – è piuttosto seccato dalle estrapolazioni di Esper e dei globalcoolisti:

This is a regional study which shows a decreasing trend for almost 2000 years. The Roman, Medieval and present periods are above this long term trend – these trends are not relevant for southern Europe and are certainly not relevant for the globe as a whole. This record should not be used to debunk global warming and people should not get their knickers in a twist if the medieval is warmer than present in this regional record. This is exactly what would be expected from orbital forcing of summer temperatures at this latitude.

10 commenti

  1. @Roberto
    è l’alleanza atto-globalcoolista, l’ha violentata anche il ten.col.Guidi – questa volta ciccia, faccio pubblicità ad Astronomia…
    @Paolo C.
    “statistiche sull’arco di mezzo secolo che non abbiamo”. Crede che le assicurazioni siano nate ieri.

  2. @Paolo C
    Francamente quell’articolo del corriere non dice veramente nulla di nuovo, a parte l’interessante contributo di Jennifer Francis (non saprei quanto completo o “spezzettato”). Sulla connessione fra climate change e fenomeni estremi c’è ancora molto da studiare, è vero; ma questo non vuol dire che ci si sia chinati sulla questione ieri l’altro, come qualcuno in quell’articolo lascerebbe intuire. Si veda, per es., l’ultimo paper di Hansen.
    @oca
    prassi in centralina e nel mondo mono-dimensionale.

  3. @oca
    il post è in lavorazione (come anche parecchi altri); è che in questi giorni anticiclonici sono attratto dai mari bianchi alpini come le api dai fiori 😉
    Ma ogni promessa è debita.

  4. @steph
    non c’è fretta
    Mi ha colpita la coincidenza dei glaciologi cinesi e di Mann et al. Amano la diversità – “rich data” – anche se complica la vita. Bel modo di guardare il mondo, trovo.

  5. Sì, lo penso anch’io. Il lavoro di Esper et al. – al di là delle scempiaggini che ha indotto in chi non aspetta altro che di veder confermate proprie tesi preconcette e perciò ogni occasione è buona per scatenare fantasie galoppanti – è importante per due cose: il fatto di aver tenuto conto dei parametri orbitali e l’apparente riduzione della divergenza nei dati dendro del tipo MLD nei decenni più recenti. Ma questo forse è anche il suo limite: tener conto dei fattori orbitali significa forzatamente limitarsi ad un set di dati delle alte latitudini (in questo caso la Lapponia); riuscire a ridurre la divergenza (fenomeno perlopiù presente a nord del 55 parallelo, da ricordare!) su un campione così limitato di alberi, significa implicitamente che forse la diversità – come asserivi – è una ricchezza fondamentale ma probabilmente (sottolineato due volte) fa diventare più utopico di quel che già è pretendere di ricavare segnali climatici omogenei da campioni di alberi delle stesse regioni. Ma ci sono sempre dati proxy non-dendro (che fra l’altro ridimensionerebbero un po’ questo lavoro).
    Bon, hai avuto una parte del post…

  6. @Steph
    Se vuoi altri dettagli da Jennifer Francis, ho trovato quest’articolo del New Scientist:
    http://www.newscientist.com/article/mg21528721.800-how-global-warming-is-driving-our-weather-wild.html
    […]Jet streams are high-speed winds that carve a snaking path through the upper atmosphere. The two polar jet streams, one in each hemisphere, are driven by the difference in temperature between warm tropics and cold poles. In the tropics, the atmosphere is puffed up by higher temperatures: “It’s like there is a hill from the tropics tilted down towards the poles,” says Jennifer Francis of Rutgers University in New Jersey.
    Gravity pulls some of this air down towards the poles. Because of Earth’s spin, the air gets deflected off to one side, which is what drives the polar jet streams from west to the east.
    The positions of the jet streams aren’t fixed. They move around, shifting south or north and also developing big meanders, or waves. “You can get such a big wave, it breaks off as an eddy that gets left behind, just sitting and stewing in its own juice,” says Francis. “When this happens, the weather near the eddy stays the same for days or even weeks.”
    Humanity is now messing with this vital component of the atmosphere. The Arctic is warming far faster than the rest of the planet, in part because its sunlight-reflecting snow and ice is melting to expose dark, sunlight-absorbing land and sea. This is reducing the temperature difference between the tropics and the Arctic. In work published in 2009, Francis showed that in summers with less sea ice in the Arctic – meaning more heat being absorbed by the ocean – the atmospheric hill had a more gentle slope (Geophysical Research Letters, vol 36, p L07503). The upshot is that the engine driving the northern polar jet stream is weakening.
    As the jet stream slows down, it takes a more mazy path, with meanders that move around more slowly. That is crucial, because the jet stream pushes weather systems around. So when the stream’s position changes more slowly or stays in one place for weeks – what meteorologists call a blocking pattern – the weather is more likely to become extreme. If the jet stream shepherds one low pressure system after another towards you, then you will soak – as happened to the UK this April, producing record rainfall. If the sluggish stream holds a high pressure system in place, you will roast.
    “It’s not news when you have one or two hot or cold days. If it goes on for a week or two, then people are freaking out because their harbour is freezing over,” say Francis. Blocking patterns have played a part in much of the extreme weather around the northern hemisphere in recent years, including some of the freezing winter weather and record snowfalls, and the summer in March.
    Other researchers have confirmed that the jet stream has been weakening, and shown that this leads to more blocking events. Now Francis has found another effect of the warming Arctic. “I got thinking – if you are warming the north more than the south, that will stretch the northern peaks of high-pressure ridges farther northward.” Working with Stephen Vavrus of the University of Wisconsin-Madison, she used highly detailed weather models to recreate past events and trace the contours of atmospheric pressure. And indeed the high-pressure ridges have tended to stretch further north in recent years. That makes the meanders of the jet stream more extreme, bringing warm air further north, and cold air further south – to places such as Rome and Tripoli.
    So it appears the northern hemisphere is in for more weather chaos as the planet warms. In some years, the jet stream mechanism could cancel out the drying-soils mechanism but in others it could amplify it, because a lazy jet stream will occasionally produce exceptionally dry winters and springs as well as hot spells in the summer. The polar jet stream in the southern hemisphere is unlikely to be affected in the foreseeable future, though, because Antarctica is warming more slowly than other parts of the world.[…]

  7. @Paolo C
    grazie, l’avevo ricevuto via mail ma non ancora letto!
    @oca
    gran bella precisazione, quella di Rob Wilson, ci voleva. Adesso attendiamo che si faccia vivo Esper o (forse meglio ancora) il redattore del suo comunicato stampa.

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