Open data


LOpen Data Institute di Tim Berners-Lee – che aveva contribuito a creare il web quando era al CERN – è appoggiato da molte Ong. Siamo tutti favorevoli alla massima trasparenza, accessibilità e condivisione di dati e conoscenze, no?

Oggi si tiene a Londra il primo vertice mondiale e la portavoce ha annunciato che 13 amministrazioni pubbliche firmeranno l’accordo in cui si impegnano a ospitare “nodi” (aziende, università, Ong) dell’ODI e a rispettarne la Carta:

Two Nodes are country-wide trials with NGOs in the USA and Canada. Eight are city or regional Nodes: ODI Dubai, ODI Chicago, ODI North Carolina, ODI Paris, ODI Trento, ODI Manchester, ODI Brighton, and ODI Leeds. The final three are communications-focused: ODI Gothenburg, ODI Moscow, ODI Buenos Aires (see details below on the three types of nodes).

Mosca?

L’ODI è “philanthropic business-friendly” ed è collegato all’Omidyar Network, da seguire con attenzione. Creato da Pierre Omidyar di e-Bay con i propri soldi, finanzia start-up for profit che dovrebbero risolvere i problemi dei poveri con prodotti che perfino i poveri possono permettersi.

(Per esempio d. light, la “lanterna” che accumula energia solare di giorno e di sera illumina. Se ne vendono – a micro-credito, il modello più costoso – circa mezzo milione al mese, quasi tutti in India e nei paesi dell’Africa subsahariana.)

Per la società civile, sarebbe meglio – trovo – se ogni nodo comprendesse l’equivalente del Sunshine Project di Edward Hammond, purtroppo chiuso e non solo per mancanza di soldi.

Non servirebbe costruire un Sunshine Project apposito, semmai un raccoglitore di dati e analisi fatte in giro per il mondo. Da Corporate Europe Observatory, per esempio, che ha appena pubblicato un rapporto sui conflitti d’interesse degli esperti che collaborano con l’Agenzia europea per la sicurezza alimentare (com. stampa per chi ha fretta).

In USA, è peggio: ai conflitti di interesse si aggiunge il lobbysmo organizzato e redditizio, dei soliti mercanti di dubbio “scientifico”, rif.  i finanziatori del National Council on Science & Health.

I dati, come diceva Erodoto della geografia, servono anche a fare la guerra. Renderli pubblici ne smussa l’efficacia, o almeno riequilibra un po’ le forze.

Omidyar finanzia parecchie iniziative che mirano proprio a quello, tra cui una di  Glenn Greenwald che aveva rivelato lo spionaggio della NSA. Ha lasciato il Guardian e Salon per creare un quotidiano on line, ma non basta né un avvocato-giornalista eroico né un giornale a far luce su tutti i governanti che perseguitano i cittadini scomodi, giornalisti compresi.

O sui privati che abusano degli strumenti creati per difendere la libertà di informazione.
Libertà che in Italia è messa così così ed è massima dove non esiste un ordine, guarda caso…

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Una volta “open”, i dati vanno controllati, semmai corretti, e dubito che la città di Mosca permetta a volontari di farlo. Nella scienza, ci hanno provato vari gruppi, di solito garantendo l’anonimato. PubMed, il deposito di articoli di biomedicina degli NIH, sta provando una revisione ex post, non anonima, ma per farla ci vuol tempo e coraggio. Per ora riguarda solo le “pubblicazioni valide”, ma non si sa mai…