Omogeneizzati

Al mercato sulla piazza, ho fatto il solito sondaggio a-scientifico: il 90% degli avventori dice che ci sono più varietà di frutta e di verdura. Un cliente dice il contrario, rimbrottato dalle clienti secondo le quali vent’anni fa non c’era tutto quel ben di dio.

Sui PNAS, un paper di Colin Khoury, Luigi Guarino et al. da ragione a tutti.

A pagamento, ma nella “Supporting information” gratuita, una tabella elenca le piante alimentari che hanno usato per calcolare una crescente omogeneità. E’ un paper da far circolare nelle Ong, trovo:

Infographic
Sulla tabella come al mercato, la varietà sembra gigantesca. Negli ultimi cinquant’anni, ogni paese ha diversificato la produzione per soddisfare una preferenza mondiale per i cibi ad alta densità di energia – frumento, riso, olio, zucchero – rispetto a quelli ricchi di nutrienti. Così è calata la coltivazione delle piante – altri cereali, tuberi, cucurbitacee innanzitutto – che erano alla base della dieta locale:

As a consequence, national food supplies worldwide became more similar in composition…

Le diete di poveri e ricchi tendono sempre di più a somigliarsi e mangiamo tutti meglio (con le note eccezioni), ma a scapito della diversità genetica che ci ha consentito di mangiare meglio.

L’omogeneità accelera la diffusione delle malattie dovute ai cibi “ad alta densità di energia”, come il diabete. Accresce anche la vulnerabilità delle colture ai patogeni e ai cambiamenti climatici. C’è una sorta di circolo vizioso: un fusarium del frumento si diffonde di pari passo con l’aumento della temperatura durante la formazione delle spighe. Nel giro di un decennio, un ibrido resistente a quel fusarium sostituisce gli altri frumenti e offre un singolo bersaglio ai patogeni che intanto evolvono mezzi per resistere alle difese della pianta.

Nota per creazionisti e globalcoolisti: citare ricerche che smentiscono quanto sopra o astenersi dal commentare, per favore.

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Yes! We have no bananas
Non è allarmismo. Per i pericoli dell’omogeneità, l’esempio classico è quello delle banane, globalizzate da oltre un secolo. Non hanno semi e si riproducono per clonazione della pianta madre, geneticamente si somigliano tutte.

Ai primi del Novecento, la varietà più coltivata era la Gros Michel – grande, succulenta e con la buccia a prova di trasporto – che negli anni Cinquanta è stata falcidiata dal Mal di Panama: un altro fusarium, l’oxysporum maledetto. Da allora è sostituita dalla Cavendish, insipida e più fragile. Secondo l’Economist rappresenta il 95% di tutte le esportazioni, le quali sono aumentate da 11,9 a 16,5 milioni di tonnellate tra il 2011 e il 2012.

Adesso anche la Cavendish ha il Mal di Panama, scriveva Declan Butler su Nature a dicembre, dopo l’allarme della Pro Musa (una miniera di informazioni scientifiche)

A variant of a fungus that rots and kills the main variety of export banana has been found in plantations in Mozambique and Jordan, raising fears that it could spread to major producers and decimate supplies. The pathogen, which was until now limited to parts of Asia and a region of Australia, has a particularly devastating effect on the popular Cavendish cultivar, which accounts for almost all of the multibillion-dollar banana export trade. Expansion of the disease worldwide could be disastrous, say researchers.

Per ora quel fusarium risparmia l’America Latina, ma un giorno o l’altro ci arriverà. Per di più, non è l’unico a evolversi. Lo ha fatto il fungo della cercosporiosi nerache ormai resiste alle irrorazioni settimanali di fungicidi – tossiche per i braccianti quand’erano mensili, figurarsi adesso.

La FAO e l’IAEA hanno fatto mutare la Cavendish bombardandola con raggi gamma, bisogna vedere se cresce normalmente. Si stanno anche cercando piante resistenti fra le varietà naturali raccolte nelle “banche”. Sembra esserlo questa sottospecie di Musa acuminata, ma dicono che sa di rapa.

2 commenti

  1. Il problema della coltivazione moderna sembra essere la monocoltura, la mancanza di rotazione e lo sfruttamento del suolo.
    Se non c’è diversità genetica, dopo un po’, qualsiasi organismo dannoso può distruggere completamente una coltura, e l’uso dei fitofarmaci porta alla distruzione dei predatori naturali; esiste l’adattamento degli insetti ai fitofarmaci, che è equivalente all’adattamento agli organismi geneticamente modificati, quindi la chimica industriale non sembra la soluzione ottimale; la clonazione blocca in modo artificiale la coevoluzione di piante e insetti, che è una continua variazione genetica.
    Sembra che l’antico modo di coltivare sia quello ottimale, con campi diversificati per specie e genere, con piante annuali e perenni, continuamente modificate con innesti e scambi di semi.

    1. domenico,
      non so se esistono alternative alla monocultura ora che mangiamo quasi tutti frumento (per esempio). Comunque al problema, aggiungerei anche le norme internazionali che favoriscono gli oligopoli e l’omogeneità.

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