Prestatemi orecchio

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Anche i cavalli  “leggono” quello che interessa gli altri da come muovono le orecchie, e non solo dalla direzione del loro sguardo, scrivono Jennifer Wathan e Karen McComb su Current Biology, in open access. Sono partite dall’uovo di Colombo:

Animals with a different facial morphology — particularly those with large, mobile ears — may have other means of signaling.

I volontari erano 72 cavalli di cui 30 cavalle, su 82 che avevano superato il test di addestramento, per familiarizzarsi con il nuovo ambiente, divisi in tre gruppi. A questi sono stati somministrati test diversi per vedere cosa capivano dei segnali comunicati da un maschio e una femmina “modello”, con maschere come nella foto sopra o nessuna. In un test

When subjects viewed the unoccluded image of another horse looking at one of two buckets containing food, they were more likely to feed from the bucket congruent with the model (n = 24, K = 18, P = 0.02; Figure 1B). However, when either the eyes or ears were covered the choices of the participants dropped to chance levels (eyes: n = 24, K = 14, P = 0.54; ears: n = 24, K = 12, P = 1).

In un altro test, i volontari riconoscevano le “espressioni” degli occhi nelle fotografie, anche se i cavalli hanno occhi laterali obliqui, e – sembra – quelle prodotte dalle contrazioni dei muscoli facciali, ma per accertarlo ci vorrebbero nuove ricerche. Totale:

we demonstrate that the eyes do carry information, even when laterally placed in an animal far removed from the primate lineage. Horses, along with other ungulates, have a white sclera that is visible in various situations. This plus other cues, such as dilation of the pupil and movement of the facial muscles surrounding the eye, could be informative of attentional state, as they are in humans.

Ci sono stati esperimenti simili con i cani e i corvidi, a indicare che la comunicazione di segnali corporei è una forma di (proto) linguaggio che si è evoluta in molto specie che vocalizzano, ma senza trascurare gli altri mezzi a disposizione. Come noi, in barba ai creazionisti – rif. il post “L’oca riceve e volentieri pubblica”.

Per evitare l’effetto “Hans l’intelligente“- che i cavalli interpretassero correttamente il linguaggio del corpo umano – scrivono le ricercatrici, i test sono stati effettuati in doppio cieco, da un assistente che non conosceva né il loro contenuto né quali cavalli avrebbero partecipato.

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Un’altra specie Homo, no, sì, no, oggi è no

La controversia va avanti da otto anni. In due articoli in open access sui PNAS, con accuse di cherry-picking e diagnosi occultate, Maciej Henneberg et al. sostengono che la piccola “hobbit” (Homo floresiensis) potrebbe essere una sapiens affetta da sindrome di Down, o comunque da uno sviluppo anomalo – com. stampa della Penn State.
Prima sostenevano che era microcefala, poi nana. Il principale autore, Kenneth Hsu, un geologo “anti-darwinista” e gli altri  sono digiuni sia di medicina che di paleoantropologia e non hanno mai visto analizzato un fossile in vita loro.

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Equazione dei soldi e dell’app che fanno la felicità

Happiness equation

Oh really?
Nonostante i titoli del com. stampa e, prevedo, sui giornali, i ricercatori dello University College di Londra hanno costruito un modello e un’equazione del “benessere soggettivo temporaneo” sulla base dei test in cui 26 volontari ricevevano soldi se risolvevano un problema e provavano una felicità correlata a un’attività maggiore in due aree cerebrali, entrambe del circuito della ricompensa (della dopamina) e inversamente correlata all’aspettativa di vincere.

L’equazione è stata verificata su 18.000 persone che al cellulare giocavano con il Great Brain Experiment, un’app usata per ricerche crowd sourced  in psicologia cognitiva, che ha già prodotto un paper sul Journal of Experimental Psychology in giugno e uno su PLoS One in luglio.

Commento del prof. Oswald, economista cognitivo dell’università di Warwick, alla BBC:

If you want to know how happy I am, don’t ask me my salary. Ask me how my salary compares to other professors or to my own salary in the past. It is the gap – whether positive or negative – that really matters. We are all creatures of comparisons and are thus prisoners of implicit expectations.

Felice non mi sembra la parola giusta, soddisfatto forse?
Coincidenza, pochi giorni fa, altri neuroscienziati dello University College avevano pubblicato, sempre sui PNAS, la scoperta dell’area del cervello correlata alle aspettative di peggioramenti…