Evoluzione di pepite, nonne et al.

Dalla rassegna stampa sentita stamattina a Radio popolare, la scoperta della fusione tra due stelle di neutroni sembra piaciuta ai giornali soprttatutto per via della nucleosintesi dell’oro, come se dal cono della kilonova uscissero pepite e lingotti, “non proprio” diceva Gianpiero Tagliaferri dell’INAF, ma la seduzione dell’oro è irresistibile.

Oltre ai trenta e passa articoli scientifici sul tema, ieri è uscito anche il nuovo numero di Nature Ecology and Evolution. Prima selezione (pun intended):
– Jacob Moorad e Craig Walling hanno cercato in

a subset of the Utah Population Database which derives from a population of pioneers of the American west that colonized the Utah Territory from 1847. The primary subject cohort comprised all individuals born between 1860 and 1889 and their siblings (n=128,129)

di verificare “l’effetto nonna” o “effetto materno”, cioè la fonte – “the smoking gun” – della selezione genetica che, stando alla teoria prevalente, favorisce nelle donne una durata di vita superiore ai 50 anni, nonostante l’accumularsi di mutazioni deleterie e la fine dell’età riproduttiva. Così accudiscono i figli e i figli dei figli, contribuendo alla loro fitness riproduttiva.

Be’, hanno provato una serie di covarianze tra caratteristiche fenotipiche, le hanno confrontate con quelli di “modelli animali” di altre popolazioni (umane comprese, dai gemelli ai finlandesi…) e non l’hanno trovata:

Total genetic selection increased the male post-50 lifespans by 0.138 years per generation; 94% of this arose from indirect selection acting to favour early-life fitness in both sexes. These results argue strongly against life-history models of ageing that depend on trade-offs between reproduction and late-life survival. No source of indirect selection for female post-50 lifespan was detected, deepening the mystery of why female post-reproductive survival persists.

Secondo me, nonostante le statistiche raffinate e i tratti presi in considerazione 170 anni sono troppo pochi per distinguere un “(grand)maternal effect” da altri, per es. dalla poligamia dei maschi dominanti e presumibilmente più “fit” in partenza, o dai progressi dell’igiene e della medicina durante quel periodo.

– Britt Koskella et al. criticano gli studi del microbioma, in particolare in medicina, perché si basano su una teoria eco-evolutiva degli eucarioti sebbene l’identità dei singoli procarioti sia difficile da stabilire:

Because the field is moving so rapidly, and data is accumulating on an unprecedented scale, the development of microbiome-specific hypotheses and predictions stemming from theory is lagging far behind the empirical work. Many studies circumvent this lack of specific theory through the incorporation of classic theories in evolution and ecology, and a number of excellent reviews have discussed how this might be done.  However, there are aspects of the microbiome, and host–microbiome association, that are quite distinct from other communities.

– Brian Spears e molti altri se la prendono con quelli che si fidano della teoria della stabilità e della resilienza degli ecosistemi, per decidere interventi di recupero o di protezione, dei laghi in particolare. Sono dei creduloni che confondono la logica intuitiva – la probabilità bayesiana – e la logica “extensional” dei  loro “presupposti e credenze”…

– Non in open access purtroppo, Kieran Fox et al. correlano il volume del cervello di balene e delfini alla loro struttura “sociale” e al numero di individui della propria specie con i quali interagiscono, per concludere che l’evoluzione delle loro facoltà cognitive, linguaggio compreso, somiglia alla nostra.

Euh… è l’ipotesi del cervello culturale e finora mi sembra un po’ una “just so story”. L’ho letta anche per certe specie di pappagalli che hanno un cervello molto diverso sia da quello dei cetacei che dal nostro o da quello dei cani della prateria o di altre bestiole sociali.

Trovo che prima bisognerebbe sapere se questi animali si sono costruiti strutture sociali via via più complesse, o com’è stata l’encefalizzazione delle api da miele, per dire, rispetto a quella delle api solitarie. Qualche dubbio anche nell’articolo del Guardian.

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Il cartello della pal review, cont.

Shaw e Tomljenovic sulle falsificazioni del loro paper ritrattato sull’alluminio dei vaccini che causerebbe l’autismo nei topi: “Non sappiamo niente, non abbiamo visto niente, non abbiamo né raccolto né analizzati i dati che sono ‘bloccati’ in Cina”, anche se l’esperimento è stato fatto nel suo lab alla British Columbia due anni fa.

Shaw sul paper con Shoenfeld et al. ritrattato per gravi difetti metodologici e riciclato da Shoenfeld nella rivista dove comanda lui

I was not directly involved except for some editorial comments at the early stages of the manuscript

Una disonestà tira l’altra, insomma.

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Da Oggi Scienza, la custode ammira i due nuovi paper di Scafetta che ammirano precedenti paper di Scafetta che ammirano ecc.