The Lancet e il grafico zombie

Se è capitato anche a me 12 anni fa di citare in radio la stima delle vittime dopo l’invasione dell’Iraq pubblicata da The Lancet, dell’editore Elsevier, chiedo scusa. Dopo non ho più citato le stime dello stesso autore, sulla stessa rivista o su altre, perché non mi sono più fidata.

Via le letture del week-end di Retraction Watch, e in ritardo perché il tempo era troppo bello per non controllare un po’ di fioriture milanesi, raccomando ai colleghi della stampa e delle Ong l‘articolo dell’economista Michael Spagat, uno statistico con i contro fiocchi, per The Conversation. Raccomando anche il suo blog War, Number and Human Losses dove ha pubblicato questa “versione breve”:

  1. The Lancet pubblica un grafico falso.
  2. I problemi del grafico sono rilevanti, parecchi segnalati in lettere a The Lancet.
  3. The Lancet lascia il grafico al suo posto.
  4. Un giornalista del Washington Post capita sul grafico, bello, pensa e lo ristampa.
  5. Dico al giornalista che ha appena pubblicato un grafico falso.
  6. Il giornalista fa un mea culpa e toglie il grafico.
  7. Scrivo questa sequenza degli eventi per The Conversation.
  8. The Conversation la manda a The Lancet.
  9. The Lancet rifiuta di commentare e lascia il grafico al suo posto.
  10. The Conversation pubblica il mio pezzo.
  11. Qualcun altro vede il grafico e ci crede?

The Lancet è noto per non ritrattare gli articoli sbagliati e falsificati, se non costretto da una minaccia di boicottaggio da parte della comunità scientifica, come nel caso delle frodi letali di Andrew Wakefield et al. – altri esempi a richiesta – e per non indicare sotto l’abstract dell’edizione on-line l’esistenza di commenti, repliche ed errata corrige.

Nel parapiglia sul grafico, era intervenuto anche Spagat:

I myself have comprehensively debunked the article, with at least some of the inaccuracies that propped it up. The article’s lead author, Gilbert Burnham, was censured by the American Association for Public Opinion Research for refusing to explain basic elements of his methodology. He was also sanctioned by Johns Hopkins, which “suspended Dr. Burnham’s privileges to serve as a principal investigator on projects involving human subjects research”. Johns Hopkins also said it would send an erratum to the Lancet to address inaccuracies in the article’s text.

Erratum non pubblicato.

Morale: le lettere a una rivista sono meglio che niente, ma non bastano a correggere affermazioni false. Questa volta la stampa ha reagito bene:

I wrote to [Philip] Bump and the Washington Post and they fixed the story, in the process demonstrating an admirable respect for evidence and a commitment to the truth. The Lancet would do well to follow their example.

Finché lo dirige Richard Horton, dubito che lo segua, nel suo libro sulle controversie mediche è sicuro di essere sempre dalla parte giusta…

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Altre letture per il week-end raccomandabili anche in settimana: l’articolo di Stephanie Lee sull’effetto dimagrante della pastasciutta “scientificamente” dimostrato solo quando Barilla finanzia la ricerca, che sorpresa; e quello di Angela Cochran su una truffa ai danni di ricercatori forse onesti.

Boycott Elsevier, passim

Avevo segnalato le stravaganze dello strafalcionista climatico Hermann Harde sulla breve permanenza in atmosfera delle nostre pochissime emissioni di CO2, pubblicate su Global and Planetary Change, riviste da due amici suoi e approvate da un (non più) redattore, e il mea culpa di tre membri del comitato editoriale dopo il debunking minuzioso di Peter Köhler dell’Istituto Wegener e altri sette ricercatori tra cui aTTP e il delizioso lagomorfo. Debunking rivisto da tre esperti che hanno raccomandato di ritrattare quel mucchio di

mistakes, misconceptions and omissions…

Invece no. Il trio del comitato editoriale preferisce

let it remain to stimulate further discussion about such a highly charged and contentious topic. It was also felt that although the implementation of the peer review of this paper had failed, no unethical action has been found in its publication.

Come scusa c’è di meglio. Una ritrattazione non ha niente a che fare con l’etica o meno del redattore che decide di pubblicare errori, strafalcioni e omissioni. E il fatto che i commenti critici non siano né linkati sotto l’abstract né riportati nel pdf zeppo di errori, strafalcioni ecc. dimostra che il trio non intende stimolare alcunché.

Qualcun altro vedrà il grafico e crederà a quel circa 4%?

Risultati immagini per Hermann Harde

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“Homeopathy is quackery plain and simple, whatever the royal family says”

Gli ambulatori (practices, condivisi da più medici) convenzionati con il NHS che prescrivono almeno un rimedio omeopatico nell’arco di sei mesi hanno 2,1 volte la probabilità di rientrare nel gruppo di quelli che ottengono i risultati peggiori per la qualità e i costi delle prescrizioni, rispetto a quelli che non ricorrono all’omeopatia, stando a un’analisi del gruppo di Ben Goldacre a Oxford.

Da un lato prescrivono più farmaci e più cari e se prescrivono oltre 10 rimedi omeopatici ottengono i risultati peggiori. Non c’è una correlazione con gli esiti clinici migliori né con le raccomandazioni dei pazienti, il che mi fa pensare che non siano i pazienti a preferire l’omeopatia.

Non è colpa dell’omeopatia, scrivono Goldacre et al.,

it is unlikely that prescribing homeopathy causes poorer performance, or that poorer performance causes homeopathy use. We propose that both aspects of prescribing are driven by more fundamental issues, such as individual clinicians’ skills on evidence-based medicine; or the extent to which clinicians work together as a team to review prescribing behaviour in their practice’s data, identify areas where they are outliers or exhibit unusual prescribing and take action collectively to address issues identified.

rif. anche The Guardian, Edzard Ernst che da ex omeopata ha partecipato all’analisi, Repubblica (h/t M.M.)

Ernst ricorda di aver scritto, tempo fa:

some of my colleagues used homeopathy and other alternative approaches because they could not quite cope with the often exceedingly high demands of conventional medicine. It is almost understandable that, if a physician was having trouble comprehending the multifactorial causes and mechanisms of disease and illness, or for one reason or another could not master the equally complex process of reaching a diagnosis or finding an effective therapy, it might be tempting instead to employ notions such as dowsing, homeopathy or acupuncture, whose theoretical basis, unsullied by the inconvenient absolutes of science, was immeasurably more easy to grasp. 

But this is anecdote and not evidence!

So, where is the evidence?

It was published last week and made headlines in many UK daily papers.

Orac mette il ditone sulla piaga:

Another interesting thing about this study is that it does not show what integrative medicine advocates claim for integrative medicine, namely decreased costs. Indeed, it found the opposite. Again, the cost of quackery doesn’t generally replace the cost of evidence-based medicine (which might save money by substituting ineffective treatment). More commonly, it’s additional expense added to evidence-based treatments.

Un’analisi più grossolana dei dati di Open Prescribing, usati anche da Goldacre et al., mostrava che i più accaniti nel prescrivere rimedi omeopatici sono gli antroposofi. Avrei detto gli omotossicologi che prescrivono fino a 30 boccette d’acqua distillata in una volta.

I mistici steineriani non riescono lo stesso a compensare il declino del numero di omeopati nel NHS e quindi dei profitti di BigHomeo

The decline of homeopathy on the NHS prescription costs 2014

nonostante BigHomeo aumenti il prezzo di vendita per ogni confezione di zuccheri industriali o di acqua distillata

The rising cost of homeopathy in the NHS 2014

fonte non aggiornata (ma dà soddisfazione…)