Il costo del cambiamento climatico

Anche Marshall Burke et al. hanno provato a stimare l’effetto della temperatura dal 1960 al 2010 sul prodotto interno lordo di 165 paesi e a derivarne la differenza tra un aumento di 1,5 °C o di 2 °C entro la fine del secolo.  Dall’editoriale di Nature:

there is a 75% chance that keeping global warming to a 1.5 °C rise — an aspiration of the Paris climate treaty — will leave the world better off than letting it run to a 2 °C rise. The probable savings: a cumulative US$20-trillion increase in world GDP by the end of the century. (Global GDP in 2016 was about $76 trillion.)

I benefici sarebbero maggiori per paesi poveri e per il 90% della popolazione, mentre un riscaldamento di 2 °C gioverebbe a Canada, Russia e paesi scandinavi.

It’s fair to say that not all of the world’s economists and climate-policy wonks will be content to take the conclusions of the study at face value.

Infatti, nel News & Views Forum, Wolfram Schlenker pensa che Burke et al. hanno fatto un lavoro rigoroso e Maximilian Auffhammer pensa il contrario.
Com. stampa e The Guardian.

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Chissà quanti wonks prenderanno per buone le conclusioni di Mauricio González-Forero e Andy Gardner. Il loro modello capovolge il “consenso”, ne risulta che l’ambiente ostile ci ha fatto evolvere un grosso cervello il quale ci ha complicato i rapporti sociali e questi hanno contribuito a farlo crescere ulteriormente.

Our model predicts the evolution of adult Homo sapiens-sized brains and bodies when individuals face a combination of 60% ecological, 30% cooperative and 10% between-group competitive challenges, and suggests that between-individual competition has been unimportant for driving human brain-size evolution. Moreover, our model indicates that brain expansion in Homo was driven by ecological rather than social challenges, and was perhaps strongly promoted by culture.

Com. stampa.

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Naomi Oreskes spiega il piano “Trasparenza” del capo dell’EPA, Scott Pruitt, e dei soliti mercanti di dubbio per ostacolare le ricerche sugli effetti degli inquinanti e più in generale per discreditare gli scienziati.

A proposito di trasparenza, i giornalisti non allineati sono stati esclusi da questo vertice, in violazione della legge americana:

The May 22 and 23 summit on per- and polyfluoroalkyl substances (PFAS) comes days after Politico report revealed that Pruitt’s EPA and the White House sought to block a Health and Human Services study about PFAS and water contamination that “would show that the chemicals endanger human health at a far lower level than EPA has previously called safe.” According to the article, a Trump aide had said the release of the study would cause a “public relations nightmare.”

Come incubo, bastano le amministrazioni locali che fatturano agli abitanti l’erogazione di acqua tossica al prezzo dell’acqua potabile, come a Flint.

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Boycott Elsevier

Non avevo segnalato l’articolo di Holly Else sul consorzio universitario svedese che ha deciso di non rinnovare il contratto con Elsevier, e su quello che sta succedendo negli altri paesi europei. Me lo ha ricordato Andrea Idini che sotto il post di ieri ha trascritto il comunicato dell’università di Lund – molto chiaro, trovo.

2 commenti

  1. Ma davvero qualcuno crede ancora che si possa limitare il riscaldamento a +1,5 gradi? C’è da essere scettici anche sul +2…

    1. Mi sa che Burke et al. non si fanno molte illusioni, Paolo. La loro probabilità del 75% riguarda solo l’aumento del PIL. Forse si capiva meglio perché ho messo “costi” nel titolo se mi ricordavo di aggiungere questa citazione dal loro paper:
      we project 15%–25% reductions in per capita output by 2100 for the 2.5–3 °C of global warming implied by current national commitments, and reductions of more than 30% for 4 °C warming. Our results therefore suggest that achieving the 1.5 °C target is likely to reduce aggregate damages and lessen global inequality, and that failing to meet the 2 °C target is likely to increase economic damages substantially.

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