CRISPR e "i cinesi non sono come noi"

Nei commenti dei ricercatori occidentali o basati in paesi occidentali sull’esperimento di Jiankui He, vedo spesso: “Ho lavorato in Cina, vi posso garantire che sono molto più pragmatici”, “ve l’avevo detto io che i cinesi lo avrebbero fatto” (vero), “per loro conta solo il risultato” ecc. Sottinteso: non contano le conseguenze, il rispetto dei diritti umani, mentre da noi…

Per il rispetto dei diritti umani, rimando al decreto Immigrazione e Sicurezza.

C’è una tradizione di “ingegneria sociale” spietata, è vero, basti pensare alla politica maoista del figlio unico. Ma tutti i governanti vogliono controllare la riproduzione dei sudditi, rif. l’eugenetica, le sterilizzazioni forzate in India o i vari bonus bebè europei.

(Non a caso, il governo dei rapporti sessuali si chiama “patriarcato” e nelle coppie usate da He, gli uomini sono sieropositivi. Dove possono, le donne hanno iniziato a prendersi la libertà di decidere se riprodurre la specie e con chi, ma è una trasformazione recente e ostacolata ovunque. Rif. le iniziative in Italia, in USA e altrove per criminalizzare l’aborto e impedire l’accesso alla contraccezione, o la violenza degli “incel” o il successo di un Jordan Peterson.)

Anche se al II Vertice sul genome editing di Hong Kong, He ha affermato di aver pagato tutto di tasca sua, compreso l’equivalente di 40 mila dollari a ogni coppia reclutata, l’esperimento risulta finanziato dalla sua università e da un centro di ricerca del governo. Ieri lo hanno “sospeso”, così le gemelle CRISPR diventano i prototipi – probabilmente difettosi, ma He dice che è in corso un’altra gravidanza – di un prodotto della Direct Genomics, la sua azienda privata… a partecipazione statale.

Se non fosse per la portata simbolica – una modificazione genetica ereditaria, la gara internazionale vinta in nome del proprio paese ecc. – somiglierebbe a tanti prodotti biotech commercializzati con un battage simile e, spesso, con meno evidenza scientifica. Rif. la truffa Stamina e merci altrettanto “irresponsabili”, “premature” o “criminali”, per dirla con Eric Topol sul New York Times.

Da circa vent’anni sono incentivate da una politica della ricerca pubblica che pretende brevetti, start-up, collaborazioni con l’industria e un ritorno a breve sull’investimento, scrive Giulio Cossu in La trama della vita (Marsilio, 312 pagine, 18 euro). Le regole cinesi sono meno stringenti delle nostre, è vero anche questo. Colpa di gruppi di ricerca privati e pubblici, in concorrenza tra loro per il sostegno di dirigenti locali e nazionali del Partito?

Qui mi sembra impossibile che fondi pubblici per un esperimento simile siano dati a un veterinario, o che sia diretto da un fisico, assistito da un altro fisico, entrambi privi di qualsiasi competenza in genetica, bioetica e medicina.

Però “i cinesi” sono così poco diversi che centinaia di ricercatori usano gli stessi aggettivi di Eric Topol et al. per contestare l’esperimento di He – e di Michael Deem che cinese non è.

Negli articoli che ho letto, quasi tutti i ricercatori lamentano che He ha “discreditato” la tecnica CRISPR e chi la usa in laboratorio. Pochi si soffermano sul fatto le vittime sono in primis le sue cavie.

Deem e He trasudano hubris da ogni poro, ma He vive sotto un regime che considera i diritti umani un’invenzione dell’Occidente “individualista”, usata come pretesto per svilire i progressi del paese. Per chiederne il rispetto, ci vuole molto più coraggio in Cina che in USA o in Europa.

Quanti di noi sono disposti a finire in galera vita natural durante, per aver partecipato a una protesta contro il decreto Immigrazione e Sicurezza?

*

L’attività su twitter è sterminata, per un sunto delle novità rimando a Derek Lowe, su Science:

  • It’s hard to see how this could have been done much worse. It’s obvious that human embryonic gene editing is not ready for use yet, and this is not the work of some brave pioneer because we already knew that. Going ahead with this experiment was reckless, dangerous, counterproductive, and arrogant beyond belief. 

a Sharon Begley di Stat. Per le reazioni “bioetiche”, potete seguire Hank Greely, dell’ala “possibilista” ma non ora, o leggere l’articolo di Katie Hasson e Marcy Darnovsky sul Guardian.
Sulla libertà delle donne in materia, rimando agli articoli di Lia Cigarini su #MeToo e di Luisa Muraro sulla riproduzione variamente assistita nell’ultimo Sottosopra. Penso che a entrambe e alle amiche di Ipazia 0.2 farà piacere la notizia data da Meredith Wadman su Science:

  • The Media Lab at the Massachusetts Institute of Technology (MIT) in Cambridge today honored two women who have played leading roles in advancing the #MeToo movement within science by awarding them, along with one other #MeToo advocate, its edgy, $250,000 “Disobedience Award.”