Sciacalli

Mentre la SeaWatch è bloccata in attesa che siano accertate presunte irregolarità, raccomando una lettura istruttiva. La rivista Valori ha pubblicato tre giorni fa il dossier “Gli sciacalli della finanza brindano a Salvini“.

Matteo Cavallito e Rosy Battaglia hanno raccolto e integrato i dati provenienti da decine di inchieste – svolte da enti pubblici, Ong, fondazioni, centri di ricerca, altri giornalisti – sulle “aziende famigliari” e le società per azioni che in Europa gestiscono i centri e in USA anche i carceri per i migranti.

Anche se profughi, rifugiati o richiedenti asilo, tutti devono rimanerci il più a lungo possibile, e al costo più ridotto possibile rispetto alla retta pagata dagli Stati. Ritardarne la legalizzazione, l’integrazione, il ricongiungimento con parenti o l’espulsione è l’unico modo per massimizzare i profitti.

In Italia per esempio,

  • Il Decreto Sicurezza fa felici le holding dell’accoglienza migranti. Vienna intanto internalizza la gestione e abbandona la controversa ORS. Che ora punta sull’Italia.

ORS è una società basata in Svizzera

Va detto che la privatizzazione dell’accoglienza è un affare anche per certi imprenditori locali

  • Realtà coinvolte in Mafia Capitale, società legate a corporation francesi: le nuove regole che tagliano i fondi favoriscono i soliti pesci grossi senza scrupoli

Per i “megacentri” che hanno meno servizi, sono più disumani e quindi più redditizi, i contribuenti italiani

  • spenderanno 14mila euro per migrante. Con il sistema SPRAR ne spendevano 6300.

La permanenza media nei SPRAR è di 6 mesi, nei CAS è di 18 mesi. In cinque anni, i contribuenti hanno finanziato “l’accoglienza” con 7,5 miliardi di euro, senza sapere dove andavano a finire.

  • Il più delle volte, le prefetture usano procedure negoziate e affidamenti diretti. E i controlli sono pochissimi.

Quanti sono i CAS? Non si sa. La pagina del Ministero dell’Interno è stata aggiornata per l’ultima volta nel 2015. In compenso si sa che la trasparenza nuoce agli affari.

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Anche Science dedica un numero speciale all’Anno mondiale della tavola periodica, con un editoriale e sei articoli (di cui quattro rassegne sulla ricerca “di frontiera”).

In tema con il debunking ideologico, nell’editoriale vero e proprio, Rush Holt, il CEO dell’AAAS e quindi editore di Science, è preoccupato per lo stato della democrazia quando i cittadini non condividono una “comprensione dello stato delle cose”:

  • it seems that a cure for what ails democracy may lie, in part, in science… Observers speak of “truth decay,” dismissal of expertise, and neglect of evidence. Collectively, these are problems of enormous importance because they threaten democracy itself. Democracy is at risk when it becomes simply a contest of fervently held opinions or values not grounded in evidence.

Poi dice il contrario degli “osservatori”: nei sondaggi gli scienziati sono i più “credibili”. Li invita a comunicare di più e meglio:

  • Much is known from social sciences, communications studies, and marketing about how people come to understand and accept scientific concepts. The importance of effective communication is now embedded in many scientists’ training, as well. The scientific community should undertake a major initiative—enlisting business, industry, and cultural and political leaders—to communicate that evidence-based thinking is available not just to scientists.

Ritiene “business, industry, and cultural and political leaders” altrettanto credibili degli scienziati stessi, ma non dei divulgatori e dei giornalisti – quelli di Science compresi…

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Su oceani e clima, ci sono:
– due articoli di Warren Cornwall sulle conseguenze per la fauna marina dell’ondata di calore del Pacifico, detta “The Blob”, che da cinque anni si estende dall’Alaska alla California;
– un paper di Susan Lozier e una ventina di altri ricercatori sul ribaltamento della circolazione nell’Atlantico meridionale (AMOC) La sua variabilità pluri-annuale è meno dovuta al ribaltamento nel mare del Labrador che a quello sotto la Groenlandia stando a 21 mesi – ancora pochi, ma una fatica… – di osservazioni Osnap (Overturning in the Subpolar North Atlantic Program). Commento di Monika Rhein e di Susan Lozier.

Il gene ronf ronf

Il paper di Hirofumi Toda et al. dello Howard Hugues è fantastico. Hanno scoperto perché quando ci becchiamo un’infezione, l’influenza per esempio, dormiamo molto invece di andare in giro a infettare gli altri. O meglio…

Nei neuroni della D. melanogaster, hanno reso più attivi (overexpressed) 8000 geni, uno per volta, per capire quale la faceva dormire più a lungo. L’unico è il gene nemuri che, in due neuroni soltanto, durante il sonno produce quantità crescenti della proteina associata (NEMURI: sonno in giapponese, abbreviato in NUR). La proteina, sintetizzata fuori dal cervello, è un antimicrobico simile a quelli che nei pesci e negli esseri umani si chiamano “peptidi antimicrobici” (AMP). Insieme ad essa aumentano le difese immunitarie e la sopravvivenza alle infezioni e a “fattori di stress” chimici o meno.

Per verificarlo, hanno disattivato il gene nemuri in tante moscerine. Quando le svegliavano durante i sonnellini diurni, faticavano a riaddormentarsi, e quando le infettavano o le stressavano, le poverette dormivano così poco da non produrre abbastanza NUR per recuperare.

Noi produciamo un centinaio di AMP, è improbabile che dipendano da un solo gene ma il meccanismo di regolatore omeostatico del sonno dovrebbe essere lo stesso. Commento.