Di solito la Società italiana di tossicologia racconta frottole?

Gentile Marco Pivato, addetto all’ufficio stampa della Società italiana di tossicologia,
giovedì mattina alle Oche, intrattengo gli ascoltatori lanciando la festa annuale di Radio popolare. Cade a fagiolo o come il cacio sui maccheroni un testo anonimo pubblicato dalla Società di cui lei è l’addetto stampa, intitolato “Il biologico inquina più dei metodi tradizionali. Adesso è provato.” (Fra i protagonisti della festa ci sono genietti della Street Food).

Nel titolo e nella prima frase

  • Secondo uno studio della Chalmers University of Technology, pubblicato sulla rivista Nature (*), i cibi biologici hanno un impatto climatico maggiore rispetto ai cibi coltivati convenzionalmente, a causa del necessario utilizzo di aree di terreno più vaste.

ci sono quattro bufale clamorose. Nella realtà, “Valutare l’efficienza dell’uso del suolo nel mitigare il cambiamento climatico” di Timothy  Searchinger, Stefan Wirsenius, Tim Beringer e Patrice Dumas

  • non riguarda l’inquinamento (be’, almeno è una bufala originale); è una ricerca dell’università di Princeton e del World Resources Institute, dell’università Chalmers, dell’università Humbolt e del Centre International de Recherche sur l’Environnement et le Développement;
  • non dice che i cibi biologici hanno un impatto climatico maggiore
  • né che tutti i cibi biologici richiedono più terreno.

La legge di Brandolini è impietosa, sorvolo sulle altre. Potrebbe dirmi, per cortesia, se la Società italiana di tossicologia

  • 1. corregge gli strafalcioni che pubblica sul suo sito?
  • 2. chiede ai suoi autori di leggere gli studi che commentano?
  • 3. informa mai i lettori quando copia un com. stampa?
  • 4. si è trattato di un incidente?

Le ho numerate per sua comodità, mi basta un sì o un no. Glielo chiedo perché quel testo stravagante è la traduzione quasi completa del comunicato di Wersenius, sebbene sia stato smentito in dicembre da quelli di Princeton, del World Resources Institute (il più sensato secondo me) e dell’IFOAM, nonché dai commenti di Searchinger sotto il paper di Nature, a cominciare da questa frase:

  • the only real implication of this paper for organic production is that high yields matter, and that it is important that organic producers realize their potential to achieve equivalent or higher yields than conventional producers.

Se queste letture non bastassero a farle capire il motivo delle mie domande, provo a riassumere quanto scrivono gli autori, Wirsenius compreso. Propongono un nuovo “calcolatore” per stimare il sequestro del carbonio atmosferico per ettaro/anno, al netto delle emissioni di gas serra. Applicano un “indice di sequestro” (complicato, ma lo spiegano in modo semplice qui) per ottenere il costo o il beneficio (intesi come minore o maggior sequestro netto) di scelte importanti per il clima:

  • riforestazione dei pascoli in Brasile
  • intensificazione della resa/ettaro del mais in Africa occidentale; delle risaie allagate in pianura e in montagna; dei fagioli organici e non in Svezia
  • produzione e consumi di biocarburanti a seconda della vegetazione e del carburante che sostituiscono
  • consumi alimentari “baseline” (costo carbonio 6,5);  con il 50% in meno di carne; vegetariano con latticini e uova; niente manzo né latticini ma pollo e maiale; vegani (costo carbonio 1,5)

A loro avviso, gli altri “calcolatori” sottovalutano i costi di alcune pratiche perché non tengono conto del carbonio sequestrato dai terreni non agricoli. Ne concludono che tra varie possibilità, nessuna delle quali perfetta, il loro indice consente di scegliere l’intervento “globalmente” più efficiente nel mitigare le conseguenze del cambiamento climatico, tenuto conto degli effetti di queste pratiche sulla bio-diversità e sulle prestazioni degli ecosistemi.

Cioè tenuto conto dell’inquinamento che il loro “indice” non misura come precisano all’inizio.

Il confronto tra il costo carbonio del frumento e dei piselli organici o meno coltivati in Svezia figura nei materiali supplementari per illustrare il funzionamento del “calcolatore” e i suoi limiti. Mi sembra ovvio, a lei no?, che le due colture non rappresentino quelle globali del frumento, dei piselli e del resto delle piante alimentari.

Fra le idee di Wirsenius sull’agricoltura organica condivise dalla Società italiana di tossicologia, questa è fantastica:

  • non vengono utilizzati i fertilizzanti.

Gli agricoltori bio hanno mucche e galline geneticamente modificate o ci mettono il tappo, secondo lei?

Grazie del suo aiuto, l’oca s.

Agg. 9/6 Grazie anche ai lettori che mi hanno segnalato refusi, spero di aver sistemato tutto.

2 commenti

  1. Wirsenius avrà semplicemente voluto dire che non vengono utilizzati fertilizzanti “di sintesi”, dato che tale auto-limitazione fa parte delle scelte operate secondo i principi dell’ agricoltura biologica.
    Riguardo al fatto che le rese di piselli e frumento svedesi non siano rappresentativi di quelle globali e delle altre coltivazioni è indubbio.
    Solo che se si cercano meta-analisi comparative sulle rispettive medie globali per ettaro tra coltivazioni con il metodo biologico verso quello cosiddetto convenzionale, al di là delle inevitabili variazioni, rimane ad oggi un gap di circa il 15/20%.
    https://www.nature.com/articles/s41467-018-05956-1
    Si spera di ridurre lo yield-gap in futuro (basta che non sia come le emissioni dei gas serra, che si spera sempre diminuiscano, ma non si sa mai quando ciò avverrà davvero).

    1. oppure avrà voluto dire che nel confronto fatto in Svezia, non usavano alcun tipo di fertilizzante?
      Il gap nelle rese è inferiore agli sprech. E’ come per i gas serra, si sa come ridurre la sovrapproduzione alimentare e si continua a sovvenzionarla, sperando che diminuisca.

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