Una messe di soluzioni

Sto leggendo l’IPCC Special Report on Climate and Land su cambiamento climatico, desertificazione, degrado dei suoli, gestione sostenibile dei suoli, sicurezza alimentare e flussi dei gas serra negli ecosistemi terrestri. Parto dal Summary for Policymakers per fare un sunto al quadrato e qualche commento.

Comincia malissimo:
A) “People, land and climate in a warming world”. Le brutte notizie: i rischi più gravi in funzione di 5 “percorsi socio-economici” (demografici innanzitutto, dipendono dalle proiezioni della popolazione mondiale nel 2100), e aumenti della temperatura associati a ciascuno, da +1,5 a +5 °C,  da “centrato sulla sostenibilità” a “sfruttamento intensivo delle risorse”.
Per chi ha fretta, la figura 1 a pagina 4 riassume i dati sul contesto attuale.  Mostra le principali tendenze – temperature, popolazione, produzione alimentare, degrado ecc. – dal 1961 al 2017 circa, alcuni dati finiscono del 2015, altri nel 2018.
L’uso dei suoli non edificati e non coperti da ghiacciai è diviso in agricoltura, foreste e altri usi (AFOLU); emette circa il 23% delle nostre emissioni totali di CO2, metano e ossidi d’azoto; il 21-37% se si considera soltanto la produzione alimentare “dal campo al tavolo”. Più o meno come la produzione di elettricità con la differenza che la vegetazione assorbe circa il 29% della CO2 emessa – una tendenza che cala con l’aumento delle temperature, del degrado dei suoli (che sta accelerando insieme all’uso di fertilizzanti e mezzi pesanti…), della desertificazione, della fusione del permafrost e degli eventi meteo estremi.

B) Adaptation and mitigation response options, le scelte possibili in quali contesti e con quali effetti “avversi”. Salvo la riduzione degli sprechi ogni scelta ne ha, dalla riforestazione ai consumi individuali. Stare entro i +2 °C aumentando la superficie coltivata a piante per biocarburanti (l’opzione peggiore in assoluto, meglio le bioenergie con cattura e stoccaggio del carbonio = BECCS) mette in pericolo la sicurezza alimentare, no free lunch indeed.
Però da qui si capisce che non solo esistono tantissime soluzioni collettive (per es. restaurare e conservare le foreste e gli ecosistemi “umidi”) e individuali (per es. mangiare meno carne) per arrivare a una gestione meno rovinosa dei suoli, ma che le soluzioni più economiche sono anche le meno controverse (non pensavo che “migliorare la gestione degli animali d’allevamento”, fosse l’opzione più costosa di tutte…), rif. le tabelle a p. 28 e 29;

C) Enabling response options, le decisioni politiche, per es. riforme agrarie, che combinano al meglio Obiettivi dello sviluppo sostenibile, produzione e sicurezza alimentare, tutela della biodiversità e dei servizi degli ecosistemi, riduzione delle emissioni e dei rischi climatici. Le opzioni di buon senso, insomma, peccato che tanti politici ne siano privi, in particolare quelli che agitano lo spauracchio dell’immigrazione.
Indispensabili, ma come nel caso delle precedenti i benefici si raccolgono dopo decenni,

D) Action in the near-term, per le Ong come Action Aid, il libro dei sogni: gli interventi realizzabili subito e su scala crescente, se solo ci fosse la volontà politica di condividere conoscenze, informazioni e tecnologie con mezzo miliardo di contadini e di aiutarli ad adattarle al proprio contesto, “a casa loro”.
E’ la sezione più concisa e improbabile in un regime di libero mercato, protezionismo, convenzioni internazionali disattese, sanzioni e prepotenze unilaterali.

Rif. anche Quirin Schiermeier su Nature, Damian Carrington sul Guardian, Erik Stokstadt su Science.