Accid… che titolo

Nature anticipa online un paper di Hugo Zeberg e Svante Pääbo intitolato

  • The major genetic risk factor for severe COVID-19 is inherited from Neanderthals

Svante Pääbo è noto per spararle sopra le righe, ma nel testo non c’è nulla che giustifichi un’affermazione del genere. Nel data-set pubblicato di recente dalla COVID-19 Host Genetics Initiative, c’è

  • una regione sul cromosoma 3 che a livello dell’intero genoma è l’unica associata in modo significativo al Covid-19 grave.

Si tratta di sei geni con 13 polimorfismi a singolo nucleotide (SNP, una C al posto di una T, per esempio, nella sequenza del Dna che distingue la variante – o allele – di un gene dalle altre presenti in una popolazione), 11 dei quali si trovavano sul cromosoma 3 di un Neanderthal maschio dell’attuale Croazia e 3 dei quali su quello di una femmina dell’Altai.

Quei sei alleli su entrambi cromosomi 3 sarebbero pertanto “l’aplotipo di base” dei Neanderthal, probabilmente assente nell’H. sapiens in Africa,

presente nell’Asia meridionale con una frequenza del 30%, in Europa dell’8%, negli Americani misti del 4% e a frequenze più basse nell’Asia orientale.”

Siccome la frequenza è molto più alta in Bangladesh (63%), e gli immigrati del Bangladesh rischierebbero di morire di Covid-19 due volte più del resto degli abitanti della Gran Bretagna (!), agli autori basta per ipotizzare che

  • L’aplotipo neanderthaliano può pertanto contribuire sostanzialmente al rischio di Covid-19 in certe popolazioni accanto ad altri fattori di rischio, in particolare l’età avanzata. 

Hanno dimenticato altri fattori sostanziali: il cromosoma Y e le “comorbidità” in parte attribuibili ai geni come diabete di tipo 2, ipertensione e patologie cardiovascolari. Deterministi a prescindere, alla fine ammettono comunque che:

  • Attualmente non si sa quale caratteristica della regione derivata dai Neanderthal conferisce un rischio di Covid-19 grave, e se… tale caratteristica sia specifica per il SARS-CoV-2, per altri coronavirus o per altri patogeni.

Sigh… ma Svante Pääbo è una superstar.

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O’s fast digest

Su Nature, ho già detto del paper di Jason Briner, Eric Steig e altra bella gente sulla fusione della calotta glaciale della Groenlandia, la più veloce degli ultimi 12 mila anni. C’è anche un modello dalle proiezioni inquietanti per la fine del secolo salvo adozione urgente dello scenario più ottimista per ridurre le emissioni di gas serra.

Alle Ong contro la fame nel mondo, interesserà quello in open access su Nature Communications di Sonia Seneviratne e del suo gruppo – segnalato da Steph. Per definire lo “stress” delle siccità sugli ecosistemi, gli autori disaccoppiano il “deficit di pressione del vapore acqueo” dall’umidità dei suoli. Spoiler alert: i suoli inariditi sono più stressati.

Per le Ong ambientaliste, oggi su Science c’è un editoriale sulla gestione non solo scientifica, ma “culturale”, legale e politica degli incendi negli USA, un articolo sui danni per le specie locali di quelli australiani e uno scettico sulla promessa cinese di azzerare le emissioni nette di CO2 entro il 2060.

Nei paper, in tempo per il vertice sulla biodiversità, c’è un po’ di ottimismo in quello di Cecilia Leal e una trentina di ecologi. Descrivono i benefici – misurati nel Paragominas e il Santarém del Brasile ma vale fra i Tropici in generale – di conservare anche le specie (pesci, anfibi, insetti ecc.) e gli ecosistemi d’acqua dolce, anche al costo di ridurre dell’1% quelli per le specie terricole.

Dalla Perspective di Robin Abell e Ian Harrison:

  • Si è fatta poca attenzione agli ecosistemi d’acqua dolce, i più minacciati della Terra. Si stima che dal 1900 la loro estensione sia diminuita globalmente di quasi il 70% e in media le loro popolazioni di vertebrati dell’84% tra il 1970 e il 2016.

Per tutti, di Ong e non, forse vale la pena chiedersi perché sarebbe irrealizzabile il piano di Julia Steinberger e dei suoi giovani amici, “Providing decent living with minimum energy: A global scenario“, uscito in open access su Global Environmental Change. I due punti chiave sui quali riflettere, secondo me, sono

  • This requires advanced technologies & reductions in demand to sufficiency levels.
  • But ‘sufficiency’ is far more materially generous than many opponents often assume.

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The October surprise
Anche l’Economist tenta di rispondere alla domanda “In che modo il Covid di Donald Trump influirà sulle elezioni?” Marina Hyde non ci prova, ma reagisce alla notizia sul Guardian.