Le bizze del vortice polare

Su Nature Climate Change, giusto in tempo per spiegare il contributo del riscaldamento globale all’ondata di freddo in arrivo anche qui, Mostafa Hamouda, Claudia Pasquero ed Eli Tziperman descrivono il collegamento tra il maggior riscaldamento del Pacifico meridionale, rispetto all’Atlantico alle stesse latitudini, l’oscillazione artica e quella del Nord Atlantico.
Nel loro modello di circolazione atmosferica, la salita del calore in stratosfera spinge l’aria fredda giù in troposfera e quindi l’aumento della temperatura del Pacifico, e sulla Siberia orientale, annuncia l’indebolimento del vortice polare e conseguenti ondate di freddo come quella in corso in Europa.
Questo per la parte teorica.
In pratica sembra già così. Dal 2016 Judah Cohen di Atmospheric and Environmental Research (AER, un centro di ricerca privato che fa parte del gruppo Verisk Analytics) utilizza le stesse osservazioni per analizzare gli effetti meteo delle variazioni (anomalie) del vortice polare e dell’oscillazione artica. Ne trae anche previsioni meteo per tutto l’emisfero nord: nelle prossime 2-4 settimane, in Europa farà parecchio più freddo del solito…
Le previsioni locali sono riservate ai clienti, primo dei quali il Pentagono…

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Dopo Copernicus, anche per Noaa e Giss-Nasa, il 2020 è il più caldo registrato dal 1880 o dal 1850, ex aequo con il 2016 che risentiva del peggior Niño mai osservato. Per Berkeley Earth e il Met Office britannico (serie HadCrut), è al secondo posto per un pelo.
Gavin Schmidt fa presente che la classifica di primo o secondo non è molto “robusta” perché le varie serie hanno una copertura e metodi di estrapolazione diversi, e

  • la differenza è molto più piccola del margine di errore stimato (~0.05ºC, 95% CI).

sull’arco temporale di ogni serie. Rispetto al 1850, il riscaldamento attuale varia da 1,24 a 1,27 °C.
Secondo Gavin, è troppo presto per dire se sta accelerando.
Sta accelerando il “contenuto di calore” degli oceani? Sembra di sì anche in un grafico di “State of the Climate 2020“, la rassegna di Zeke Hausfather su Carbon Brief. Non ho visto altre sorprese. La tendenza è quella prevista dai modelli nello scenario RCP 4.5, moderatamente pessimista sull’andamento delle nostre emissioni di gas serra.

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Don’t panic yet 
Anche se il nuovo video dell’Economist “How can business survive climate change?” è decisamente allarmante…
Dei dati UE avevo già parlato il mese scorso quando erano usciti, dimenticando di dire che la quota delle energie rinnovabili aumenta anche nel resto del mondo.
Troppo lentamente per rispettare gli impegni dell’accordo di Parigi, certo, ma ieri è uscito in open access il CDR Primer, un manualone a cura di Jennifer Wilcox e Ben Kolosz dell’università della Pennsylvania, e di Jeremy Freeman, il direttore di Carbon Plan.
Riguarda i sistemi che sfruttano processi naturali e le nuove tecnologie per rimuovere CO2 dall’atmosfera e dal mare, e per sequestrare, riciclare o riusarne il carbonio. (Sono una mini-stakeholder: da un anno mi faccio la Ferrarelle in casa.)
Mi sembra molto chiaro e bilanciato nel valutare costi e benefici, possibilità o meno di dispiegamento su vasta scala ecc. Però ne ho letto solo dei pezzi, cominciando “Carbon Dioxide Removal: from Science to Justice” di Andrew Bergman e Anatoly Rinberg.

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Su Science di oggi ci sono molti articoli da non perdere, gratuiti, nelle News. Per le ricerche, agli stomaci robusti segnalo il paper di Lewis Buss et al. sulla mortalità da Covid-19 in Amazzonia, risultata dal decisione del governo Bolsonaro di puntare sull’immunità di gregge…
Perspective di Devi Sridhar e Deepti Gurdasani, intitolata “Herd immunity by infection is not an option“.