Recovery plans

Per il Global Carbon Budget e per Nature Climate Change in open access, Corinne Le Quéré, Glen Peters e altre celebrità hanno calcolato le emissioni di CO2 da combustibili fossili di 200 paesi tra il 2016 e il 2019. L’anno scorso sono calate di circa 7%, soprattutto nel settore dei trasporti, più di quanto stimato dall’IEA per l’energia in generale.

Ne traggono lezioni e suggerimenti per il prossimo vertice sul clima e per la ripresa economica globale. Hanno anche scritto una versione meno diplomatica per The Conversation, per chi ha fretta c’è un thread di Glen Peters, non mi dilungo.
A parole USA, Cina (responsabile del 28% delle emissioni) e UE si sono impegnati a riduzioni ambiziose tra il 2030 e il 2050,

  • Ma la maggior parte dei piani di ripresa dal Covid-19 sono in diretta contraddizione con gli impegni dei paesi per il clima. 

Qui la nota 11 rimanda a una fonte che per me è stata una scoperta. Trenta piani  nazionali di ripresa, di “stimolo” dell’economia e di salvataggio di aziende (corporate bailouts), compresi quelli italiani, sono valutati in base a un Greenness of Stimulus Index in un rapporto uscito il mese scorso a cura di Vivideconomics e Finance for Biodiversity Initiative. E’ alla sua quinta edizione.

I paesi sono quelli del G20, quelli della UE che fa anche paese a sé, per l’Africa c’è solo il Sudafrica, per l’America Latina ci sono Messico, Brasile e Colombia. Con la Cina, l’India e l’Indonesia, in totale ospitano circa tre quarti della popolazione mondiale, un campione rappresentativo e ancora di più per le emissioni di gas serra.
I settori da rinverdire sono raggruppati in agricoltura, energia, industria, trasporti e rifiuti/sprechi (waste).

In sintesi: non ci siamo.

Nel 2020 sono stati destinati alla ripresa $14,9 mila miliardi di cui meno di un terzo sono “rilevanti per l’ambiente”.

Non ho ancora letto le schede di tutti i paesi, figurarsi la loro bibliografia, ma a occhio il rapporto mi sembra fatto bene e l’appendice 1 spiega anche i limiti del metodo. L’Italia – pp. 59-60 – ha “un punteggio lievemente negativo” e il peggiore della UE a causa di sussidi per attività e prodotti dannosi per l’ambiente.
Non mi aspettavo che la Norvegia fosse tra i paesi con l’indice più basso insieme a Russia, Arabia Saudita e Singapore. I più virtuosi sono la Svizzera che nel suo piccolo ha speso poco ma bene, e la Danimarca.

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A proposito di agricoltura, clima e ambiente, Hannah Richtie ha scritto un bell’articolo per Our World in Data:

Fa anche un confronto sul consumo di suolo di vari alimenti ricchi di proteine. Menu per militanti ambientalisti: pesce o gamberetti d’allevamento con piselli, fagioli per cambiare ogni tanto, tofu e noci per dessert…