Due editoriali di Nature riguardano i 17 obiettivi dello sviluppo sostenibile. Sono raccomandati alle Ong. Il raggiungimento dipende dal loro volontariato e dalla loro “advocacy” perché gli stati mantengano la promessa, non vincolante, di finanziarlo con $5-7 trilioni dal 2016 fino al 2030. Per ora ne hanno promessi $2,5.
Sembrano tanti, ma circa metà sono fondi di sviluppo già previsti. E rende ancora meglio l’idea il fatto che nel 2019 le 500 persone più ricche del mondo hanno aumentato la propria ricchezza del 25% rispetto al 2018, cioè di $1,2 trilioni secondo Bloomberg. Ora “valgono” $ 5,94 trilioni. Delle prime dieci, sette sono americane e almeno due, Warren Buffett e Bill Gates, hanno dichiarato che pagherebbero volentieri più tasse…
Una volta accorpati, gli obiettivi dovrebbero eliminare la fame e la povertà estrema, ridurre l’iniquità – quei 1,2 trilioni… – contrastare i cambiamenti climatici, la perdita di biodiversità e di ecosistemi. A un terzo del percorso, l’opinione degli editorialisti corrisponde a quella delle Ong che conosco. Danimarca e paesi scandinavi a parte, a macchie di leopardo,
- soltanto due di essi — eliminare le morti evitabili di neonati e bambini sotto i cinque anni, e arruolare i bambini oltre i cinque anni nelle scuole primarie – sono quelli più vicini al raggiungimento.
Per il resto, sono altrettanto e a volte più lontani che nel 2015, anche per via dell’aumento della popolazione. Però mi sembra vero che il lavoro massacrante fatto per enunciare e collegare gli obiettivi è stato una forma di educazione al “tout se tient” per decine di migliaia di esperti e pubblici amministratori, e per i milioni di volontari delle Ong che partecipavano alle definizioni.
- La natura trasversale degli obiettivi ha fornito agli scienziati opportunità nei settori dell’ambiente, dell’ingegneria, della sanità pubblica, dell’economia dello sviluppo e altro ancora.
Fra le opportunità c’è la raccolta dei dati necessari per misurare e comparare il risultato, la loro standardizzazione e la loro analisi. Troppo spesso i dati sono espressi in crescita o meno del PIL – rif. per esempio il rapporto uscito in settembre – come se certe attività produttive non impedissero i progressi.
Il Sustainable Goals Solutions Network (una meta-rete, in realtà) fa un buon lavoro, ma oltre a burocrazie corrotte, incompetenti o terrorizzate dal tiranno di turno, certi dati esisteranno solo quando alcuni scopi saranno raggiunti. Per dire, senza una sanità pubblica capillare, e indipendente dal tiranno, non c’è verso di conoscere le cause della mortalità infantile. Basti pensare a Trump che ha appena deciso di eliminare non solo il divieto di usare il piombo nelle vernici, le tubature ecc., ma anche i fondi federali per gli studi sui danni riportati dai bambini.
Il primo editoriale elenca soluzioni, trasformare gli impegni volontari in obblighi sarebbe un buon inizio. Il secondo è la recensione molto elogiativa di questo paper.
Ricercatori cinesi e americani o basati in USA, propongono di utilizzare i metodi che hanno messo a punto per valutare i progressi per ognuno dei 17 obiettivi in Cina, a livello nazionale e infra-nazionale. Tra il 2000 e il 2015, scrivono,
- ogni provincia ha aumento il proprio punteggio dell’indice SDG, ma c’erano grandi variazioni spazio-temporali tra le regioni.
Utilizzano i dati dell’Uff nazionale di statistica e di tre ministeri, quindi il risultato va preso con le pinze. A quanto ne so, hanno ammesso di aver pubblicato dati fantasiosi per decenni, e il governo centrale sta ancora cercando di costringere le amministrazioni provinciali a fornire dati reali invece di quelli auspicati dal presidente.
- Per esempio la Cina orientale aveva un punteggio maggiore rispetto a quella occidentale negli anni 2000 e quella meridionale uno maggiore rispetto a quella settentrionale nel 2015. A livello nazionale, i punteggi di 13 dei 17 SDG sono migliorati e quattro sono calati.
Quelli calati sono biodiversità, uguaglianza di genere, produzione e consumi “responsabili” e azioni per il clima. In quindici anni, il punteggio nazionale è passato da 55,5 a 65,5, ma non riflette quello locale, come ben spiegato nel paper. Ma quello locale non riflette, trovo, l’interdipendenza dei 17 obiettivi. E’ la cosa più difficile anche perché servirebbero, a campione, serie indipendenti di osservazioni ed esperimenti randomizzati. Un po’ quello che Esther Duflo e gli economisti sperimentali del MIT e della New Delhi School of Economics hanno cercato di fare in un paio di stati dell’India.
Nel nord-est industriale, Pechino, Hebei ecc., l’inquinamento dell’acqua e dell’aria, e la distruzione degli ecosistemi si sono aggravati, la salute dei bambini fino ai cinque anni e la frequentazione scolastica ne avranno risentito. A occhio, mi sembrano plausibili i dati per le province ricche del sud-est, politicamente un pochino più indipendenti dal governo centrale.
Com. stampa dell’univ. statale del Michigan.
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Mi era sfuggita una buona notizia uscita on line due settimane fa – sempre che il Senato a maggioranza repubblicana non blocchi la legge insieme a centinaia approvate alla Camera da quando i democratici hanno la maggioranza, e che Trump la firmi nonostante stia chiedendo soldi alla National Rifle Association per la sua campagna elettorale.
Sono stati stanziati dei soldi per gli studi sull’effetto della libera vendita delle armi. Noccioline, $25 milioni, ma da 20 anni era vietato farli con fondi federali. Non solo in teoria – quali provvedimenti fanno diminuire il numero delle vittime, per esempio – ma anche in pratica. Negli ospedali che ricevono finanziamenti federali i chirurgi e i medici non possono fare statistiche sul tipo di arma più letale, nemmeno se sono dipendenti di un’università privata come Harvard.
- La nuova legge richiederebbe che i Centers for Disease Control e i direttori dei National Institutes of Health riferiscano al Congresso, per accertare che ogni finanziamento ricevuto “supporta progetti di ricerca privi di orientamento ideologico e politico”.
Guai a ipotizzare che limitare la vendita delle armi ne limiti anche le vittime…
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L’aggregato XL SSC 122 è “notevolmente maturo” per davvero, confermano J. P. Willis et. al., che hanno analizzato dati della missione XMM Newton. Ben 37 delle sue galassie conterrebbero stelle che si sono formate appena 370 milioni di anni dopo il Big Bang. Se i prossimi telescopi spaziali mantengono questa tendenza, secondo me nel 2100 troveranno stelle nate pochi millenni dopo l’universo…
LIGO e Virgo continuano a captare onde gravitazionali, ma ormai non fanno più notizia. Per gli appassionati, quella di aprile – detta GRB190425 – identificata con l’aiuto del telescopio spaziale Integral, proviene da uno scontro tra pulsar binarie.
E Nichi D’Amico è il nuovo presidente dell’INAF. Complimenti e buon lavoro, prof.