Avviso ai pinguini


Se abitate sulla Penisola antartica e pensate che vi conviene vendere l’appezzamento a una famigliola di globalcoolisti prima che crolli il mercato immobiliare, forse avete ragione. Su Nature, Amelia  Shevenell del dip. di geografia allo University College di Londra et al. scrivono:

La disintegrazione delle piattaforme, la ridotta estensione dei ghiacci marini e dei ghiacciai, e lo slittamento delle  zone ecologiche osservate attorno all’Antartide mostrano bene l’impatto del recente riscaldamento atmosferico e oceanico sulla criosfera. Osservazioni e modelli suggeriscono che le variazioni delle temperature dell’aria e dell’acqua ai margini del continente influiscono sulla stabilità globale della criosfera, della circolazione oceanica, dei livelli del mare e del ciclo del carbonio. In particolare, sulla penisola antartica i cambiamenti climatici sono stati plateali.

Bruschi sbalzi di 2-4 °C delle temperature oceaniche sono variabilità normale, ma fino a 2000 anni fa dalle vostre parti il mare s’era raffreddato di 3-4  C in diecimila anni per la minore insolazione primaverile, credevate d’essere a posto.

Ma dalle somiglianze tra le temperature della superficie del mare calcolate da Amelia su vecchie conchigliette, quelle del vento di Ponente sull’emisfero meridionale e la variabilità del Niño, sembra che negli ultimi tempi dell’Olocene si siano rafforzate le cinghie di trasmissione climatiche tra il Pacifico tropicale e la parte occidentale della vostra Penisola. Insomma se prima vi si scioglieva la piattaforma di Larsen sotto le palme era colpa dei Ponentoni che ogni tanto soffiavano altrove, adesso è colpa di un Bambino.

Ai non pinguini, Amelia Shevenell propone un metodo per analizzare i biomarcatori nei sedimenti carotati dall’Ocean Drilling Program e ottenere una serie lunga di temperature marine. Che non c’ è, quello è un posto dove il primo termometro è arrivato insieme a Ernest Shackleton (foto) o giù di lì. E’ un tentativo, quindi sono elencate parecchie incertezze per dare lavoro ai colleghi. Insomma m’è piaciuto, come sempre gli omaggi della paleoclimatologia odierna a Cesare Emiliani.

Love not war
C’è anche una ricerca di Dayu Lin et al. su geni, neuroni e aggressività maschile – nei topi, ma l’ipotalamo ce l’hanno anche gli umani – che mi sembra fatta con i fiocchi e non esagera la portata dei risultati, anche se a me paiono notevoli.

Con le femmine, nel cervello di lui si attivano neuroni contigui a quelli dell’aggressività tra maschi e a volte addirittura gli stessi neuroni. Per certi maschi fare l’amore è come fare la guerra, fin qui si sapeva. Con un’iniezione di un antibiotico “inibitore”, un quarto degli aggressori normali sono diventati buoni con tutti per una settimana, e i tre quarti molto più tranquilli di prima. Potrebbe portare a una repressione chimica dei criminali violenti, con annessi dilemmi etici.

La cosa interessante è che un maschio nel quale gli stessi neuroni erano stati stimolati per via optogenetica, senza fargli male, era diventato una belva con tutti e tutte, come previsto, salvo la topina con la quale si accoppiava. Con abbastanza volontarie, potrebbe portare a un ratto dei Sabini.