O's digest

Che ritardo!
Da Nature:
– A proposito della fusione a sorpresa dei ghiacci sulla superficie della Groenlandia nel luglio scorso, con un bel paper fatto per 3/4 di misure e per 1/4 di calcolo del bilancio energetico al suolo, Ralf Bennartz et al. svelano il trucco delle nubi “liquide” basse e trasparenti alla radiazione solare in entrata. Pare che nubi così siano presenti sopra l’Artico per il 40-50% del tempo e gli autori hanno anche delle idee per integrarle nei modelli dell’amplificazione polare:

We used a suite of surface-based observations, remote sensing data, and a surface energy-balance model. At the critical surface melt time, the clouds were optically thick enough and low enough to enhance the downwelling infrared flux at the surface. At the same time they were optically thin enough to allow sufficient solar radiation to penetrate through them and raise surface temperatures above the melting point. Outside this narrow range in cloud optical thickness, the radiative contribution to the surface energy budget would have been diminished, and the spatial extent of this melting event would have been smaller.

Tanto per smentire un’altra volta Freeman Dyson e il suo “delle nubi non si sa niente”, “tutta la climatologia è fatta di modelli taroccati” ecc., citato dal raffinato Delingpole per chiedersi se basta la sedia elettrica per Michael Mann, l’impiccagione per George Monbiot ecc. per concludere che soffrirebbero troppo poco. A mo’ di correzione, ha poi detto che il processo di Norimberga da lui auspicato era solo una metafora.

Aggiunta: in tema, Paolo C. segnala il rapporto The Critical Decade: Extreme Weather della Climate Commission australiana, presidente Tim Flannery che the utter twat Delingpole vorrebbe dare in pasto ai coccodrilli.

– Christopher Pala spiega la ricerca di Daniel Pauly et al. secondo la quale, nelle proprie acque territoriali i pescherecci cinesi gonfiano le quantità pescate dichiarate alle proprie autorità, ma dichiarano alla FAO appena l’8-10% di quelle pescate nel resto del mondo. Con grossi margini d’incertezza e percentuali che variano parecchio tra una zona e l’altra, cmq la devastazione riguarda soprattutto l’Africa Occidentale.

Da Science
– Biogenesi? Con una stampante in 3-D, Villar, Graham e Bayley, dei chimici di Oxford hanno fatto una cosa pazzesca:

Living cells communicate and cooperate to produce the emergent properties of tissues. Synthetic mimics of cells, such as liposomes, are typically incapable of cooperation and therefore cannot readily display sophisticated collective behavior. We printed tens of thousands of picoliter aqueous droplets that become joined by single lipid bilayers to form a cohesive material with cooperating compartments. Three-dimensional structures can be built with heterologous droplets in software-defined arrangements. The droplet networks can be functionalized with membrane proteins; for example, to allow rapid electrical communication along a specific path. The networks can also be programmed by osmolarity gradients to fold into otherwise unattainable designed structures. Printed droplet networks might be interfaced with tissues, used as tissue engineering substrates, or developed as mimics of living tissue.

Magari la vita comincia così, una rete di goccioline fa da membrana alle basi dell’RNA…
– Avevo letto che le grandi barriere coralline si riprendevano prima delle botte di caldo e di inquinamento micidiale, ma James Gilmour et al. scrivono di una piccola barriera isolata (lo Scott Reef) che si era ridotta a un decimo dopo uno sbiancamento 12 anni fa, è ricresciuta quasi a metà della sua dimensione originaria nonostante a distanza di sei anni  sembrasse ancora un deserto (con appena il 6-8% delle larve che c’erano quando era sana).

Potrebbe essere un’eccezione? C’è polemica in Australia sul fatto che le grandi riserve costiere sono in realtà troppo frammentate per tutelare la biodiversità marina, massima nei coralli. Nel commento Beth Polidoro e Ken Carpenter dubitano che il caso dello Scott Reef sia generalizzabile:

Coral reef recovery is mainly thought to depend on recruitment or arrival of larvae from distant, interconnected reef ecosystems.

Ma dicono che mancano i dati. Come in medicina ce ne sono di più sulla malattia che sulla salute…
– anticipato da Science Express, dal 200 d.C a oggi il gruppo di Thompson ricostruisce la temperatura media locale per ogni anno a oggi dalla composizione di quattro carote del ghiacciaio del Quelccaya, in Perù. Nei Tropici le variazioni sono piccole, ma il periodo caldo medievale, durato un ventennio a fine Duecento, e la piccola era glaciale si distinguono bene:

The reconstructed SSTs range between 25.8 to 26.6°C (decadal averages) or 25.0 to 27.1°C (annual data) with temperatures in the region depressed by 0.2°C during the LIA (1520 to 1880 CE) relative to the 20th century average.

Alla fine del paper aggiungono la datazione delle piante lasciate scoperte dal ritiro del ghiacciaio:

Radiocarbon dates for the plants (4676 ± 41 years BP) indicate that the ice cap is smaller than it has been in almost five millennia… The rapidity of Quelccaya’s retreat may reflect snow-ice feedbacks that are considered instrumental for rapidly increasing temperature trends near the 0°C isotherm during the 20th Century. The accelerating retreat of Quelccaya and other tropical ice fields  is consistent with model predictions for vertical amplification of temperature in the tropics, and has serious implications for those living in these areas.

– Oltre a vedere colore, forma, pattern e  odorare i composti volatili, i bombi rilevano e imparano a distinguere variazioni nel campo elettrico dei fiori, scrivono Dominic Clark e altri inglesi. Chissà come si  percepisce il mondo con un apparato sensoriale di quel genere.

3 commenti

  1. Il lavoro di Thompson et al. sembra confermare a livello locale quanto trovato da Marcott et al., ci avviamo a raggiungere le massime temperature dell’intero Olocene. Inseriranno l’intera umanità nel Guinness per questo nuovo esaltante record?

  2. @Paolo
    aggiungo, grazie – interessante la quantificazione dei danni per ogni categoria, dovrebbe far riflettere anche qui.
    @Riccardo
    ouf… ThomPson, hai ragione, correggo…
    spero che nel V rapporto IPCC ci sia un capitolo sulle ricostruzioni dalla prima di Mann Bradley Hughes in poi. Non solo per me che sono disordinata, anche per gli antropologi, gli storici à la Braudel, un capitolo nell’idea di Schneider, della climatologia come parte delle “humanities”.

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