Altro che la Ralstonia

Su Nature, Yong Jun Choi e Sang Yup Lee spiegano come hanno trasformato un’Escherichia coli in benzinaia e l’hanno messa a disposizione di tutti – altro che speculazioni immobiliari in Florida – come “piattaforma” da modificare per ottenere l’idrocarburo desiderato.
Sono partiti da una piattaforma dell’anno scorso, l’E. coli detta giustamente GAS 3, geneticamente ingenierizzata per produrre esteri etilici grassi (con catene lunghe 10-20 carbonio). Le hanno aggiunto plasmidi e geni fatti con pezzi di DNA dell’E. coli normale, dei modelli GAS 1 e GAS 2, da un altro batterio. E dell’Arabidopsis thaliana per essere green. Come in questa figura.
L’hanno messa in un brodo di coltura per stimolarne la riproduzione e l’espressione dei geni aggiunti. Alimentata a glucosio con un pizzico di estratto di lievito di birra, e lasciata a fermentare a 30° C, s i è messa fare alcani a catena lunga, a tagliarli in alcani a catena corta, acidi grassi, esteri grassi, alcol grassi… L’occorrente per fare fino a 580 milligrammi di benzina per litro di brodaglia, con il giusto rapporto tra idrocarburi a catena lunga (nonano, decano) e corta:

GC-MS profile of fermentation products.

(grande)

Risultato negativo

Questo l’avevo leggiuchiato quando era uscita on line,  meritava di meglio.

Scott Power et al. del Centro australiano di ricerca sul clima hanno analizzato 39 CMIP, ciascuno con 4 scenari diversi per le emissioni di gas serra, poi hanno controllato come se la cavavano nel prevedere la variabilità delle piogge tropicali dovuta all’ENSO, una volta frullati in un modello solo di circolazione atmosferica, con dentro la variabilità interannuale.

L’ipotesi era che distorsioni (bias) incorporate nei modelli, qualche forzante per esempio, producevano una linearità né osservata né fondata su qualche meccanismo fisico.

Una delusione… Allargavano un po’ troppo verso l’Africa l’effetto del Nino. A parte questo, nell’insieme riflettevano bene la non linearità della risposta delle precipitazioni all’aumento della temperatura di superficie.

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Riservato al fan club

La nostra moscerina continua a sacrificarsi sull’altare della scienza per favorire con sommo altruismo il benessere dell’umanità.

Ha rivelato a Pinky Kain e altri entomologi dell’università della California-Riverside quali neuroni in cima alle antenne le fanno detestare l’odore degli insetticidi alla dietiltoluamide (DEET). Con appositi algoritmi, la Pinky et al. hanno setacciato 400.000 composti sintetici e ne hanno trovati 1.000 che corrispondevano a recettori di quei neuroni dell’olfatto. Con setacci diversi, hanno fatto la stessa cosa con 3.000 composti naturali non tossici per gli umani. Hanno controllato che fossero repellenti per le zanzare e che costassero poco. In tutto ne hanno selezionati un centinaio.

Li hanno fatto sniffare alle drosofile ed è risultato che tre dei quattro più promettenti hanno un “gradevole odore di uva matura” (californiana? la baresina non odora di niente, se qualche socia o socio del fan club vuol provare con uva diversa e mandare un resoconto, la Presidente sarà grata).

Non si sa come mai l’amata dittera lo trovi disgustoso. Comunque è stata indispensabile. Spesso non si possono usare gli insetticidi, avere un profumino che tenga lontane le specie moleste non sarebbe male. E poi, come scrivono Pinky et al.:

these DEET substitutes may be of value in controlling DEET-resistant strains as well. Because several of the new repellents are affordable, activate both the olfactory and bitter gustatory neurons, are approved for human consumption and are strong repellents for fruit flies, they may also have important implications for control of agricultural pest insects that cause enormous crop loss. Novel repellents that are safe and affordable can be used to limit insect-human contact in disease-endemic areas of the world and to provide an important line of defence against deadly vector-borne diseases.