La "grande speranza bianca"

Come Paolo C., ho molti dubbi sulle tecniche per “ingegnerizzare” il clima: fertilizzazione degli oceani con limaglia di ferro e solfati che tolgono ossigeno al plancton; “specchi” e ombrelloni spaziali che riflettono la radiazione solare; cannoni distribuiti attorno all’Artico che bombardano la troposfera con solfati e provocano piogge acide, no grazie.

Ma ho un debole per questa meravigliosa nave-robot teleguidata:

Come bruttina?!?

Va a vento e a sole, aspira acqua dal mare e la nebulizza, così modifica l’albedo e il mare assorbe meno calore, e se il vento è favorevole, le microgocce salgono ad imbiancare le nubi che a loro volta riflettono verso l’esterno la radiazione solare e rinfrescano la bassa troposfera. Al contrario degli altri piani in circolazione, l’effetto è immediatamente reversibile. L’altro vantaggio è che a bordo può avere strumenti di misura, monitorare un po’ di tutto e trasmettere i dati via satellite ai vari interessati. Ai privati li venderebbe e si pagherebbe la manutenzione.

Dài Paolo, what’s not to like? E poi ho conosciuto il suo inventore, Stephen Salter, un mito:

Info dettagliate sulla Great White Hope, altre a richiesta.

Coincidenza, oggi su Nature esce un editoriale a proposito del vertice a Washington degli ingegneri del clima che segnalavo l’altro ieri:

The irony in discussions about climate engineering is that, while society considers its merits, the process itself is already in full swing. With vast amounts of heat-trapping molecules released each day into the atmosphere, humans are deliberately altering the planet’s climate in unpredictable ways. The magnitude of the resulting climate change is worryingly uncertain. Even more uncertain are the physical, social and economic side effects of global warming. There is every reason to believe that, by and large, they will be harmful.

A Washington, gli aspiranti geo-ingegneri si son dati delle regole etiche, la prima: non nuocere; servono leggi internazionali per farle rispettare e valutazioni indipendenti delle soluzioni proposte:

 Having delivered its fifth full climate assessment report since 1990, the IPCC is considering adopting a new role in the future. If the group were to switch to more-focused, trimmed-down reports, delivered on demand, a special report on climate engineering might be the perfect place to start. Meanwhile, researchers should work fast to clear the way for more responsible research, even if responsible action means that its results will never be needed.

A Lima si discute “dell’azione piena e responsabile” che consisterebbe nel ridurre drasticamente le emissioni di gas serra, campa cavallo…

(Però su Angewandte Chemie ho visto una bella ricerca. Jinhua Ye, una delle rare donne a dirigere un megalab giapponese, et al. hanno assemblato dei nanotubi di STO/TiO2, usato una lega oro-rame come co-catalizzatore, per foto-catalizzare la CO2 in metano, principalmente, e altri idrocarburi, con idrato di idrazina quale fonte di idrogeno.)

Altro editoriale in tema, sul petrolio e il gas da fracking (link all’articolo di Mason Inman aggiunto)

Nature has obtained detailed US Energy Information Administration (EIA) forecasts of production from the nation’s biggest shale-gas production sites. These forecasts matter because they feed into decisions on US energy policy made at the highest levels. Crucially, they are much higher than the best independent academic estimates.

Il terzo editoriale è sulla triste sorte dei post-doc che sperano in un posto fisso in USA e UK.

Il “Comment” è sui rischi che il risc. glob., “l’ingegneria” dei fiumi e lo sviluppo delle megalopoli stanno creando per i grandi delta e il loro mezzo miliardo di abitanti. Bottom line già sentita in altre occasioni:

River deltas need maintenance now rather than costly restoration later to prevent the collapse of vast expanses of coastline.

Papers
Avevo già parlato di quello dei banchieri bari e disonesti quando era stato anticipato on-line. Marie Claire Villeval, del CNRS di Lione, è meno scettica sulla validità dei risultati. Devo studiarmi un po’ quello di Liang Gao et al. Con impulsi laser, dei CCD e dei micro-specchi hanno inventato una specie di tubo fotografico

which can capture non-repetitive time-evolving events at up to 1011 frames per second. 

OMG…

 ***

File:The Giuliano Preparata Medal.jpg

(molto ingrandita)

I quattro moschettieri del GSVIT hanno pubblicato la peer-review di un report di Jed Rothwell che ha provato (non è il primo) a replicare il test con (h/t Giancarlo) la cella di Tadahiko Mizuno, che l’associazione del dott. Celani ha insignito con la medaglia Preparata nel 2004. (h/t CimPy).

Abstract del moschettiere Jean-Charles d’Artagnan:

Mizuno è un fusionista storico.
E’ uno di quelli che ottengono risultati straordinari fintanto che uno non guarda a fondo il lavoro.
Comunque la peer review è stata praticamente resa inutile dallo stesso Jed Rothwell che ha fatto le prove a vuoto (senza reazione) della sola pompa.
La potenza della pompa ceduta all’acqua (meccanica + termica) è tale che dopo un transitorio di circa 1 ora e mezza la differenza di temperatura tra l’acqua e l’ambiente si stabilizza sui 3 °C.
Questo significa che la pompa sta compensando le perdite del sistema diversamente adiabatico (h/t Andrea).
Se guardo la figura 13 del report di Jed Rothwell sto esattamente nelle stesse condizioni solo che qui, secondo loro, ci dovrebbe essere generazione anomala di calore.
Avessero fatto prima il test della sola pompa avremmo risparmiato tempo e fatica.
In realtà lo avevano pure fatto un blank run, solo che siccome i risultati erano gli stessi di quando c’era la reazione, invece della cosa più ovvia, avevano concluso che dopo un giorno e mezzo di pompa a vuoto l’idrogeno, e quindi il calore anomalo, era ancora presente. Davvero notevole.

One more nail in Cold Fusion’s coffin…

***

Ups

A proposito di Ebola, altre epidemie, Big Data ecc. forse avevo segnalato la conferenza del progetto europeo TELL ME a Venezia anche qui e non solo ad Action Aid. Comunque avevo dimenticato di dire che i documenti sono sul sito.

33 commenti

  1. >>A Lima si discute “dell’azione piena e responsabile” che consisterebbe nel ridurre drasticamente le emissioni di gas serra, campa cavallo…<<
    Ecco, appunto, anche ammesso che le incognite sull'efficacia e sugli effetti collaterali venissero dissipate, i 'policy makers' raggiungerebbero mai un accordo per varare le navi di Salter? Ci vorrebbe qualche 'sponsor' di peso…

    1. Ancora non sono varabili! Per ora Bill Gates ha finanziato gli studi “proof of concept” di John Latham, il climatologo con il quale Salter lavora – un po’ come ha fatto con David Keith e Ken Caldeira.
      E grazie della correzione!

  2. @Ocasapiens
    In realtà JR non ha replicato la cella di Mizuno. Ha lavorato assieme a lui portando la sua esperienza di calorimetria. La cella è quella storica di Mizuno stavolta con un calorimetro quasi adiabatico.

  3. Dato che ci sono volevo spendere 2 righe per ringraziare Jed Rothwell. E’ persona estremamente corretta che ha messo a disposizione tutti i dati e ha autorizzato la pubblicazione delle foto anche se, avuto il report in anteprima, sapeva che si trattava di una critica abbastanza pesante. Ora ha fatto le sue controdeduzioni; vedremo se c’è qualche cosa di sensato che punti a qualche nostro fraintendimento.
    Pensate che bello se anche i dati del TPR2, quelli non sensibili, venissero messi a disposizione.

  4. l’idrato di idrazina non si trova per terra…..quanta energia ci vuole per produrlo? solito baco dell’idea brillante con l’idrogeno che è dappertutto ma non disponibile…..

  5. Grazie del link ai paper di Latham, me li guarderò con calma.
    Sarei molto curioso di vedere quelle navi all’opera…

  6. “Pensate che bello se anche i dati del TPR2, quelli non sensibili, venissero messi a disposizione”
    Ho idea che non correremo questo pericolo: Rossi di abbagli non ne ha presi.

    1. Claudio,
      Già, e anche l’oro costicchia.
      Giancarlo,
      In cambio lui e Mizuno vi sono grati della lezione di calorimetria, presumo.
      Per il TPR2, vi basta aspettare che esca sulla “prestigiosa rivista peer-reviewed”, come annunciato molte volte dall’inventore.
      Paolo C.,
      anch’io senza troppe illusioni, molte idee di Salter “did not scale up”.

  7. Complimenti al GSVIT e a Jed Rothwell per la “sportività”!
    Per quanto riguarda la mitigazione del clima vorrei segnalare il “biochard”.
    In Italia se ne occupa il prof Pellegrino Conte professore associato di chimica agraria presso l’Università degli Studi di Palermo dove tiene i corsi di Chimica Generale ed Inorganica, Chimica Organica e Chimica Agraria.
    Oltre ad essere molto paziente su facebbok dove siamo amici e si fa “scocciare” spesso e volentieri dal sottoscritto, il prof è anche un ottimo divulgatore:
    http://vimeo.com/60730060
    “Il biochar è un carbone ottenuto da processi di pirolisi di biomasse residuali delle attività agricole e forestali atto alla produzione di energia e al miglioramento della fertilità dei suoli. Ottenuto come sottoprodotto della produzione di gas di sintesi (comunemente conosciuto come syn-gas), il biochar oltre ad incrementare la fertilità dei suoli, favorisce l’immobilizzazione di contaminanti organici ed inorganici e rappresenta un potenziale serbatoio per il sequestro del carbonio con conseguente riduzione delle emissioni di anidride carbonica in atmosfera.”

  8. ocasapiens,
    Si, l’uso del biochar, sottoprodotto della produzione energetica, è utile non solo per il sequestro del carbonio, ma anche come ammendante dei suoli. Al momento è usato in molti paesi, soprattutto del Nord EU e della parte Nord dell’Africa insieme al compost per migliorare le qualità dei suoli. In Svizzera, Austria e Germania il biochar da solo è legale come ammendante dei suoli. In ogni caso non solo la International Biochar Initiative (IBI, che è, comunque, un organismo nato in Europa) ma anche la European Biochar Foundation (http://www.european-biochar.org/en) ed una COST Action della Comunità Europea (http://cost.european-biochar.org/en) sono attive al riguardo. Si stanno conducendo studi per il miglioramento del processo e del prodotto ai fini di una agricoltura sostenibile. Infine, come costola di tutto, è nato anche un giornale in cui si discute del biochar: http://www.biochar-journal.org/en. Già che ci siamo facciamo pubblicità a tutte le iniziative che sono nate in Europa.

    1. Prof. Conte,
      è vero, grazie dei link.
      Non volevo sminuire le iniziative europee. Sono di Action Aid (un’Ong nata in UK anch’essa) e seguo di più il terzo mondo. Con la diffusione su scala globale, le aziende non proprio “etiche” e il mercato del soil carbon, insieme a molte altre Ong temiamo conseguenze simili a quelle dei biocarburanti. Deforestazione, land grabbing ecc. che sono sempre i poveri a pagare.
      In quattro paesi africani, gli esperimenti sono stati deludenti. Vediamo quelli del biochar fatto con nuovi “clean cookers” in India. Se il risultato è che la salute e le rese migliorano, cambiamo idea.

  9. ocasapiens,
    ha perfettamente ragione. Per questo la EBC sta provvedendo ad elaborare le strategie per una certificazione sul biochar. in altre parole il biochar deve essere una risorsa sostenibile proprio per evitare i problemi legati allo sfruttamento intensivo di risorse non rinnovabili come le foreste o i suoli stessi. Non so a quali paesi Africani lei si riferisca, ma in Egitto e Libia sembra che gli esperimenti producano risultati molto buoni. In Kenia (mi sembra il Kenia, ma in questo momento non ricordo bene) si stanno mettendo a punto anche dei kilns per la produzione di carbone da indirizzare non solo all’incremento della fertilità, ma anche all’uso in cucina. In ogni caso, bisogna stare sempre con gli occhi bene aperti e tenere tutto sotto controllo perché non ci vuole molto a che le cose sfuggano di mano e i più indifesi vengano sfruttati

    1. Prof.Conte,
      Il CGIAR ha valutato le iniziative di CARE e altre Ong, in Kenya, Etiopia, Uganda, Ghana, ma secondo me era sbagliato basarsi sul carbon market. Come lei, trovo più interessanti i kiln. Sono stati distribuiti in Kenya, ricorda bene, e una valutazione dovrebbe uscire l’anno prossimo.
      Renato,
      me lo ricordo… C’è un rapporto dell’USAID, diplomatico perché era un’idea della segretaria di Stato e del marito, cmq:
      It should be noted that a recent pilot project by WorldStoves – in partnership with a Haitian NGO, and a private Haitian company – attempted to bring its “Lucia” biochar stove designs to Haiti in the aftermath of the quake. Unfortunately, this partnership was not successful in establishing a viable production center in Port-Au-Prince, which was initially envisioned to make and distribute up to 2,000 stoves
      Non c’era domanda. Per usarli bisognava fare ogni pellet a mano, perché le cooperative di contadini che dovevano fornirli non avevano i soldi per comprare una macchina. Anche se la compravano non c’erano tecnici per calibrarle ecc. Adesso gli USA finanziano la fabbrica di “bwikett” di un privato per altri stoves – vediamo.

  10. Mi sa che se avevano i soldi per comprare la pellettatrice poi non avevano il carburante per farla andare.
    Comunque non pensavo ai pellet, immaginavo difficoltà nel convincere chi ha camminato ore per raccogliere una fascina di sterpi a non sfruttarne tutto il potere calorifico, in modo da farne avanzare carbonella, che poi metterà sottoterra per migliorare le caratteristiche del terreno agrario.
    Agrario … diciamo ortivo … andiamo sul quantitativo: vasi da fiori.
    Dice Stufaman che con tre “handful” di pellet cuoce il riso per oltre venti persone.
    Bene, quanti grammi di pellet, per fare bollire quanta acqua, quanto a lungo?
    Ma lasciamo perdere i discorsi quantitativi, da tre handful di pellet, una volta cotto tutto quel riso, quanto biochar rimane, un teaspoon? Diciamo ne rimane un pugnello, ogni pasto di venti persone avanza un pugnello di biochar, mò avanti, a migliorare i suoli di Haiti.
    Effettivamente cucinando su Stufe a Pirolisi anziché su stufe tradizionali il rendimento di processo della produzione di carbonella migliorerebbe; e l’acqua nella pentola bollirebbe prima, perché la fiamma a temperatura più alta ceteribus paribus trasferisce alla pentola più calore nell’ unità di tempo, ma lo fa al prezzo di una minore efficienza: ci vuole PIÙ calore. perché aumentando la temperatura aumentano le perdite, e principalmente aumenta la parte dovuta all’ irraggiamento, il quale irraggiamento in una complessa formula che non so ci va alla quarta potenza … l’ efficienza, in caso di risorse scarse, è importante.
    I vantaggi appena detti si conseguirebbero -insieme alla diminuzione del black carbon prodotto da stufe meno progredite, il quale ricadrebbe a terra e lì resterebbe per migliaia di anni, e che invece grazie alla migliore combustione si combina con l’ Ossigeno formando anidride carbonica in ragione di tre volte il suo peso- in una Stufa Pirolizzatrice ben progettata E ben condotta; certamente una Pirostufa il cui funzionamento si basa sulle Spirali di Fibonacci e sul Principio di Bernoulli, come progettazione deve essere al top.
    Sulla buona conduzione invece ho dei dubbi, mettiamo che manca poco a finire di cuocere il riso, che fo, spengo la Pirostufa, scarico il biochar, ricarico la Pirostufa, la riaccendo, intanto dò la poppa alla piccola smoccolo il cittino dò un pezzo di pane al secondo e spero che la grande torni con l’ acqua senza che l’ hanno trombata per la via … per stasera ‘ngulu al biochar sarà meglio che cuocia il riso se non ne voglio buscare da quell’ altro quando torna … che questa Pirostufa del menga ci costa seicento giorni di lavoro da scariolante alla fabbrica del pellet e quindi a pagarla ci vogliono sei anni, accidenti a quel giorno, ma se m’ero fatta monaca …
    E dato che la Pirostufa deve funzionare con pellet, ma di pellet non ce n’è, peccato! una così bella progettazione!
    Bisogna studiare dell’ altro: un bel giro in India a vedere come fanno loro, poi una passata in NordAfrica, un paio di convegni per stare al corrente e intanto studio e progetto e ristudio e riprogetto e cosa riprogetto? Un portapentola specifico –specifico, badaben- per le condizioni di Haiti.
    Con tutto ciò, il biochar come miglioratore del terreno agrario funziona alla grande.
    Augh.
    R

  11. Renato,
    il suo umorismo fa ridere solo lei. E’ patetico. Il biochar come ammendante dei suoli può essere utilizzato dappertutto, non solo Haiti o l’Africa. A parte il fatto che è un ottimo materiale per la sintesi di nuovi prodotti. La prego di risparmiarsi le battutine sarcastiche che offendono tutti quelli che studiano il biochar in tutto il mondo, ma è chiaro che lei non rispetta alcuno se non se stesso. Dal suo modo di ragionare, lei mi sembra il classico tipo che pensa che le missioni spaziali siano inutili perché ad Haiti (ma anche in Africa, ma anche in Sicilia, ma anche in India, ma anche in tutto il resto del mondo) c’è gente che muore di fame. Intanto lei usa un computer per fare sarcasmo gratuito in rete usando una tecnologia che deriva dagli studi effettuati per mandare l’uomo sulla Luna. In ogni caso, ha presente i processi di desertificazione in atto in Europa? Ha presente che è possibile recuperare suoli che altrimenti sarebbero destinati a nulla? L’uso del biochar è solo una delle tante pratiche che possono essere usate per il recupero di suoli contaminati (sa cosa significa suolo contaminato, vero? e non mi riferisco necessariamente alla presenza di PAH o metalli pesanti). Qui un paio di siti che le illustrano le problematiche in atto in Italia, solo come esempio: http://www.minambiente.it/pagina/la-desertificazione, http://www1.inea.it/pdf/atlante_desertificazione.pdf, e qui il progetto per evidenziare il degrado dei suoli Siciliani http://www.sias.regione.sicilia.it/pdf/Carta_desertificazione.pdf
    Dal modo con cui si esprime, poi, capisco anche che lei non ha nulla a che vedere col suolo. Usa termini inappropriati. Cos’è che le rode? Una cosa è un dialogo educato con dati alla mano. Altra è un sarcasmo ridicolo del tutto fuori luogo in un contesto come questo.

  12. Aumentare il nostro impatto ambientale con qualunque sistema di geoingegneria si possa concepire è esattamente l’opposto di ciò che è necessario fare. E’ un po’ come dover amputare un arto per fermare la cancrena, un estremo rimedio non senza gravi conseguenze.

    1. Paolo C., OMG!
      Riccardo,
      non nel caso della barca di Salter, però – dubito che si riesca a vararla, ma 20 anni fa non immaginavo che i droni si sarebbe venduti nei negozi di elettronica!
      Prof. Conte,
      credo che abbia frainteso Renato e si sia arrabbiato per niente. La sua critica al Lucia stove in Haiti è quella dell’USAID e delle Ong locali e internazionali. Del biochar scrive proprio che è un ammendante dei suoli, dei quali sa parecchio – in particolare per certi paesi del terzo mondo.

  13. Paolo C.
    una qualunque tecnologia che limiti la luce solare incidente è di per sé un impatto ambientale a meno che riesca a rispettare in dettaglio l’attuale distribuzione spaziale e temporale del calore assorbito. Ad essere pignoli, dovrebbe anche essere rispettata la componente diffusa rispetto a quella diretta. Vero che con il sistema di Salter si evitano effetti diretti di tipo chimico, ma quelli fisici restano.

    1. Riccardo,
      Ma è ancora fantascienza e già me la distruggi!
      Un giorno si rischia di non poter più essere pignoli e in questo caso gli effetti fisici – albedo o cloud brightening – sono reversibili in pochissimo tempo. E mentre va in giro, potrebbe perfino raccogliere l’immondizia delle great garbage patches…

  14. @Oca Sapiens
    A dire il vero io ho interpretato Renato esattamente come P. Conte. Sarei intervenuto io se non avesse risposto direttamente il prof.
    Sono i chimici così sempre fuori “le righe”? Coinvolgiamo Camillo? 😀
    Ps: secondo me il video che ho postato non è stato visto da tutti, lo dico così, ad occhio e croce”, altrimenti, avreste capito esattamente i campi di applicazione del biochar sui quali non si potrebbero avere dubbi…

    1. Riccardo, grazie!
      Sandro75k,
      Renato parlava male del Lucia stove. Nell’ultima riga conferma quello che dice lei, il prof. Conte, la CGIAR et al. Né io né lui abbiamo dubbi sui vantaggi del biochar in agricoltura. Io ne ho sul presupposto che grazie al carbon market, possa arricchire i contadini del terzo mondo. Come Renato, mi indigna la vendita più o meno promozionale di clean stoves inutilizzabili a contadine che non se li possono permettere.
      Come Action Aid, prima di finanziarne l’acquisto vogliamo TPR pubblicati su rivista peer review. E ce li abbiamo

  15. ocasapiens
    facciamo così, fra le varie proposte in circolazione è la “meno peggio”, se proprio dobbiamo utilizzarne una vada per questa 🙂

  16. Grazie per il quenching Sylvie,
    è proprio così, tanto mi piace il biochar che me lo faccio da me alla vecchia maniera, frasche e sterpaglia bruciate in mucchio e spente aspergendo acqua con uno scopetto; nell’ orto è un vero toccasana, e chi dice il contrario sia messo un pomeriggio intero a vedere e rivedere il video di Pellegrino, così impara!
    Vabbè, se anche scritto così non è abbastanza serio, alla prossima mi metto il vestito di orbace e la cravatta nera.
    Però, Pellegrino, io di solito ci sto attento a come scrivo, cionostante è possibile che abbia impiegato termini non adeguati, prego mi dica quali le appaiono tali, e perché.
    Sulla termodinamica ci ho preso?
    Saluti.
    R
    PS: Sylvie, avevo un paio di siluri anche per le navi di Salter, ma siccome le sta simpatico ho messo la sicura, purtroppo però forze fuori del mio controllo le hanno già fatte a pezzi.

    1. Renato,
      le fanno a pezzi tutti! D’altronde Salter è famoso per avere tante idee per una o nessuna che funziona, o se funziona non come prevedeva lui…
      Biochar: bene. Forse questa ricetta può essere utile…

  17. La ricetta è ottima, e non mi spiego come mai il prezioso liquido venga scaricato in fogna, dal momento che Italia impiega fertilizzanti azotati a milioni di tonnellate/anno, anzi me lo spiego col prezzo troppo basso dell’ energia, ma guardiamo un attimino la significanza di usare biochar da Pirostufe familiari relativamente al sequestro di carbonio.
    Emissioni mondiali CO2 circa 30 Gt/anno;
    efficienza trasformazione legna-biochar (carbonella) sistemi tradizionali circa 10%;
    ammettiamo che Pirostufa, oltre a fornire calore per cucina, raddoppi efficienza trasformaziò;
    stufe a legna progredite consumano per uso cucina circa 0,5 kg legna pro-die pro-capite;
    quindi Pirostufa produrrebbe 100 g di carbonella pro-capite pro-die;
    vanno a legna almeno due miliardi di umani;
    quindi in situazione ottimale, forniti _tutti_ di Pirostufa _perfettamente funzionante_, produrrebbero in totale 20 Mt/die di biochar;
    in un anno, produrrebbero circa 0,75 Gt di biochar, equivalente a circa 2,5 Gt di CO2, ossia circa 8 % delle emissioni globali.
    E’ tanto, è poco?
    E poi cosa se ne fanno ‘sti contadini del biochar? Lo mettono nei campi, naturalmente.
    Circa 40 kg/anno/pro-capite, caapiraai, quando la somministrazione minima efficace è oltre -anche molto oltre- 5 000 kg/ettaro … un contadino -diciamo famiglia dieci persone- producendo un kg di biochar al giorno grazie a Pirostufa, potrebbe ammendare a biochar un ettaro ogni quindici anni.
    Senza considerare che la pirolizzaziò, accidenti a lei, richiede calore … quindi quei che prima campava con mezzo chilo di legna al giorno, per fare anche carbonella ne dovrà impiegare di più.
    Vediamo i costi.
    Difficilmente una Pirostufa adeguata potrà costare meno di 30 $, compresa campagna informazione e distribuzione; per diciamo mezzo miliardo di stufe, fa 15 G$. E’ pensabile che venga stanziata una cifra del genere? A mio parere, solamente se la riduzione delle emissioni di CO2 viene considerata di interesse strategico, tanto che vengano impiegate risorse militari (circa 1,8 T$/anno totale mondiale).
    Ma a quel punto forse converrebbe sostituire la legna con gas liquido in bombole: trenta kg/anno procapite
    sarebbero sufficienti a fornire calore per cucina e qualche ora di luce, per una spesa intorno a 50 G$/anno, coi benefici collaterali di tempo risparmiato nella raccolta della legna, migliore igiene e minore pressione sulla vegetazione. Probabilmente anche in questo caso l’ emissione di CO2 -a parità di calore utilizzabile- diminuirebbe, ma andrebbero fatti dei calcoli comprensivi di crediti carbonio, e per oggi sono stufo di maneggiare miliardi.
    (Estrapolazioni e calcoli miei, su dati tratti da http://data2.xjlas.ac.cn:81/UploadFiles/sdz/cnki/%E5%A4%96%E6%96%87/ELSEVIER/evironmental%20risk%20assessment/151.pdf, e da altre fonti).

    1. Renato,
      prendo i calcoli per buoni, ma dove non ci sono monsoni non serve usare biochar ogni anno (credo, semmai controllo). Su piccoli appezzamenti, incrementano la resa e migliorano la dieta anche 4 alberi/arbusti da frutta che fissano l’azoto e che una dose di biochar aiuta a crescere. Un clean stove che abbassasse i fumi tossici e ne producesse 100 g/dì sarebbe due piccioni con una fava.

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