Su Nature Climate Change, Auerbach et al. descrivono la situazione attuale del delta del Gange-Brahmaputra, in sostanza il Bangladesh e i suoi 170 milioni di abitanti.
Dagli anni ’60, le isole del delta sono affondate di oltre un metro e dove erano state tagliate le mangrovie, gli argini sono stati distrutti da un ciclone nel 2009,
leaving large areas of land tidally inundated for up to two years until embankments were repaired. Despite sustained human suffering during this time, the newly reconnected landscape received tens of centimetres of tidally deposited sediment, equivalent to decades’ worth of normal sedimentation. Although many areas still lie well below mean high water and remain at risk of severe flooding, we conclude that elevation recovery may be possible through controlled embankment breaches.
Le brecce negli argini hanno un effetto positivo per la maggioranza della popolazione costiera, ma non per la minoranza che sarà esposta alle inondazioni o dovrà emigrare. Perché dovrebbe fidarsi degli scienziati che propongono questa soluzione? (rif. discussione sotto il post “Monkey business”)
Avevo segnalato il dibattito sull‘opportunità o meno di basare gli impegni per la riduzione dei gas serra su un aumento di 2 °C della temperatura globale come limite da non superare. Mi era sfuggito l’articolo di Katherine Ricke e Ken Caldeira uscito un mese fa in open access, “Maximum warming occurs about one decade after a carbon dioxide emission“. Ecco cosa succede circa 10 anni dopo l’emissione di 1.000 Gton di carbonio:
2 °C è l’aumento “transitorio” (90% probability range: 6,6-30,7 anni) . Dopo il picco, quella CO2 tiene calda l’atmosfera per secoli, sempre meno a ogni ciclo del carbonio.
Sembra un ritardo – lag time – brevissimo, e in attesa di conferma come al solito. Per la discussione del modello, rif. And Then There is Physics. Alla fine, Ricke e Caldeira fanno considerazioni politiche (grassetto mio):
The primary time lag limiting efforts to diminish future climate change may be the time scales associated with political consensus (Victor2011) and with energy system transitions (Smil 2010), and not time lags in the physical climate system. While the relevant time lags imposed by the climate system are substantially shorter than a human lifetime, they are substantially longer than the typical political election cycle, making these delays and their associated uncertainties important, both economically and politically. Nonetheless, our study indicates that people alive today are very likely to benefit from emissions avoided today.
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Stesso tema su Nature di domani, Christophe McGlade e Paul Ekins dello University College di Londra pubblicano “The geographical distribution of fossil fuels unused when limiting global warming to 2°C”. Con scenari economici che includono le “esternalità”, i costi per la collettività generati dalle emissioni di carbonio, calcolano quali paesi/regioni devono rinunciare a sfruttare, e di quanto, le riserve di petrolio, gas e carbone, per rispettare l’impegno di non superare l’emissione di 1.100 GtC (= 450 ppm di CO2 atmosferica) entro il 2050.
Our results suggest that, globally, a third of oil reserves, half of gas reserves and over 80 per cent of current coal reserves should remain unused from 2010 to 2050 in order to meet the target of 2 °C. We show that development of resources in the Arctic and any increase in unconventional oil production are incommensurate with efforts to limit average global warming to 2 °C.
Commento di Michael Jakob e Jérôme Hilaire del PIK: “missione impossibile”. Per i non abbonati, c’è un bell’articolo di Christina Nunez sul National Geographic, e alcune considerazioni finanziarie di Paul Ekins nel com. stampa dell’UCL. Estratti:
Companies spent over $670 billion (£430 billion) last year searching for and developing new fossil fuel resources. They will need to rethink such substantial budgets if policies are implemented to support the 2° C limit … Investors in these companies should also question spending such budgets. … I would expect prudent investors in energy to shift increasingly towards low-carbon energy sources
Aggiungo solo che oltre metà dei 670 miliardi sono sovvenzioni statali.
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Avviso di ritardo
Su Climalteranti sta per uscire la classifica del 2014 tra gli anni più caldi dal 1850. Nel frattempo, l’inizio del global cooling in corso dal 1997 1998 1999 (omissis) 2000 2001 2002 (omissis) 2014 è rimandato al 2015.
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Philae non è stato ritrovato. Su Oggi Scienza è uscito “Facevano scoppiare i criceti con la mente – Epilogo“.
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“Je suis Charlie”: pour des amis, assassinés
>>Dopo il picco, la CO2 tiene calda l’atmosfera per secoli<<
Millenni, ecc. ecc. (Archer docet).
È impressionante la carica di odio e di fanatismo che la religione è in grado di provocare, distruggendo alla radice ogni possibilità di coesistenza. Purtroppo anche in Italia abbiamo similari esempi di razzismo cattolico, che prospera nella divulgazione pseudoscientifica.
Je Suis Charlie.
Paolo C.
sì, ma il modello di Ricke e Caldeira si limita a 1.000 Gton. Se non ricordo male, Archer et aggiungevano 2-4.000 Gton da clatrati entro 1-10 millenni, come feedback nel caso emettessimo di 2.000 Gton
M’arrazzo
non è paragonabile.
Gvdr,
eh sì, da crèvecoeur proprio, conoscevo Cabu da più di quarant’anni.
Tristezza e rabbia infinita.
Je Suis Charlie
Gelo
Je Suis Charlie
Sconvolgente
Je Suis Charlie
E il Financial Times questa poteva risparmiarsela:
http://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/Strage-a-Charlie-Hebdo-parigi-Financial-Times-Giornalisti-sono-stati-stupidi-3100a989-b353-492d-bfde-be1852a49f15.html
Je Suis Charlie
Articolo di Pasini sulla geoingegneria (che non cita – mi pare – il tuo Marine Cloud Brightening):
http://pasini-lescienze.blogautore.espresso.repubblica.it/2015/01/08/lingegneria-climatica-e-utile-o-dannosa/
Paolo C.
Pasini non cita
De gustibus…
Io sono Charlie.
ciao wolinsky.
Anche CimPy è Charlie.