Soldi e classifiche

Da Retraction Watch, discutono se le università devono rimborsare i finanziamenti ricevuti per una ricerca se si scopre che i risultati sono stati falsificati. Come sempre il problema è chi indaga sulla presunta frode e la distinzione tra questa e gli errori in buona fede: Da un commento:

Science is a risky business… In essence, research funding is no different than venture capital investment. Any serious venture capitalist will tell you that it is pretty good investment outcome when 20% of funded projects become profitable. With respect to academic research funding, I hope that we are nowhere near the 80% fail (fraud) rate.

I finanziamenti ricevuti dai vari lab contribuiscono alla classifica delle università, che andrebbe corretta a posteriori, già m’immagino la battaglia tra uffici legali.

A proposito di “classifiche trasparenti”, da Roars Giuseppe De Nicolao racconta uno strano risvolto della ricerca universitaria per la “Grande Guida CENSIS – Repubblica“. Abstract (anche se il diavolo è nei dettagli): 17 università pagano il CENSIS per far partecipare i propri “esperti” alla messa a punto degli algoritmi che estraggono la classifica dai dati forniti dagli atenei, inclusi quelli esperti.

Sarebbe pure interessante ricostruire i legami tra gli indicatori e i punteggi elaborati dagli altri gruppi di lavoro del progetto CENSIS e quelli usati nella costruzione delle altre classifiche della Grande Guida.
Per concludere, formuliamo due domande:

  1. È opportuno che un gruppo di atenei paghi l’Istituto che pubblica la classifica più visibile sul territorio nazionale perchè, attraverso il coordinamento di gruppi di lavoro formati dagli esperti degli stessi atenei, costruisca e calibri un modello di valutazione sperimentale?
  2. In che misura gli algoritmi di ranking delle classifiche della Grande Guida sono stati concordati e calibrati con quegli atenei che, per collaborare allo sviluppo di un modello di valutazione sperimentale, avevano pagato al CENSIS 20.000 Euro ciascuno?

Per rispondere alla seconda domanda, basterebbe confrontare la nota metodologica della Grande Guida con il Documento di Sintesi citato nella Fase E del progetto. Il CENSIS oppure qualcuno dei 17 atenei sarà così trasparente da pubblicarlo?
Restiamo in trepidante attesa. Se poi la prossima volta il CENSIS si sceglie da solo i propri esperti e li fa pagare dall’editore di Repubblica…

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Nelle zanzare e nel plasmodio, l’evoluzione della resistenza ai prodotti usati per combattere la malaria – dagli insetticidi ai farmaci –  sembra iniziare sempre alla frontiera tra Cambogia e Thailandia. Anche per l’artemisinina è andata così, da lì il plasmodio resistente si è diffuso in altri paesi del sud-est asiatico e anche in Africa, ora l’OMS raccomanda di non usare l’artemisinina da sola.

Su Nature Genetics, Olivo Miotto et al. hanno sequenziato il genoma di 1.600 plasmodi provenienti da 15 paesi del sud-est asiatico, e trovato correlazioni interessanti.

Analysis of the fine structure of the parasite population showed that the fd, arps10, mdr2 and crt polymorphisms are markers of a genetic background on which kelch13 mutations are particularly likely to arise and that they correlate with the contemporary geographical boundaries and population frequencies of artemisinin resistance. 

La maggior parte di quei polimorfismi conferisce una resistenza ad altri farmaci. Sarebbe confermata così la teoria della “gara agli armamenti” di Steve Palumbi et al. nel senso che la prima resistenza acquisita facilita mutazioni positive analoghe in un piccolo gruppo di geni, come accade per le male erbe e per gli insetti (h/t Ivan) che resistono al numero crescente di tossine tollerate o prodotte dagli Ogm, senza risentirne.

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Per i Dalton dell’era glaciale iniziata nel 1999, h/t Lucky Luke Gavin Schmidt

2 commenti

  1. Buongiorno signora Oca,
    solo per segnalare che la frase:
    “la prima resistenza acquisita facilita mutazioni positive analoghe in un piccolo gruppo di geni, come accade per le male erbe che resistono al numero crescente di tossine prodotte dagli Ogm, senza risentirne.”
    è priva di senso, dato che non esistono colture transgeniche che producono ‘tossine’ contro le malerbe, forse intendeva riferirsi alle colture tolleranti agli insetti?.
    Le malerbe che sviluppano resistenze agli erbicidi lo fanno per mutazione casuale e selezione, indipendentemente dal fatto che il campo dove crescono ospiti o meno una coltura geneticamente modificata.
    Buon lavoro
    Ivan

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