Le oche: prevedere le epidemie

Cari orechietti di radio pop,

dalle 12.50 alle 13.30, con Filippo riassumiamo le news della settimana, e poi intervistiamo il matematico Enzo Capasso della Statale di Milano, il direttore del Centro Adamss (ADvanced Applied Mathematical and Statistical Sciences), e autore del manuale Mathematical structures of epidemic systems.

Premessa: tutti i modelli sono sbagliati, diceva lo statistico George Box, ma alcuni sono utili.

Si è provato a prevedere “alla buona” la diffusione delle epidemie da quando si è scoperto, più di un secolo fa, che l’agente infettivo della malaria era portato da una zanzara. Adesso ci sono computer, algoritmi, nuove tecniche statistiche e nuovi tipi di dati (perfino tweet) con i quali costruire modelli di previsione e mappe di rischio, per esempio quelle di Google/UC San Francisco per la malaria.

Durante l’epidemia di Ebola, sulle riviste scientifiche erano state pubblicate proiezioni locali e alcune internazionali. I margini d’incertezza erano ancora molto ampli, ma le epidemie di Ebola sono rare, i dati pochi.

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Aedes albopictus (zanzara tigre), uno dei vettori della dengue

Lunedì il premio Nobel per la medicina andava a cure per le malattie infettive tropicali; martedì usciva sui PNAS una ricerca commissionata dalla fondazione Gates a un gruppo delle università della Florida e di Pittsburgh. Mostra che la dengue – una febbre trasmessa da una zanzara, come la malaria – si diffonde dall’America latina al Mediterraneo orientale con l’aumento della temperatura. Sulla mappa disegna “onde” che dalle megalopoli del Sud est asiatico, per esempio, si propagano verso le zone rurali. Si vede bene quando c’è il Niño, l’oscillazione calda della corrente del Pacifico. Come per il clima, il riscaldamento globale fa da “forzante”, scrivono i ricercatori, e aggrava la situazione.

Il Niño è iniziato da qualche mese, l’onda di dengue pure. Non c’è una cura, però a saperlo in anticipo ci sono misure per limitarne la diffusione, per esempio distribuire zanzariere intrise di insetticida, prosciugare le pozze d’acqua stagna dove le zanzare si riproducono ecc. (1)

A un convegno che si teneva a Erice, il prof. Capasso diceva che i modelli consentono di “anticipare”, di “prevedere” la diffusione di un’epidemia nel tempo, nello spazio e anche nella società, qualunque sia l’agente infettivo. Così ci è venuto in mente di invitarlo. Gli chiediamo di spiegare quanto sono affidabili o realistici (skilled) i modelli epidemiologici. Quali ricerche si fanno per migliorarli? Cosa ci va dentro? Come sono “validati”? Quali sono i parametri più importanti? Come si fa a sapere se il prossimo virus dell’influenza sarà molto dannoso, per esempio?

Sono modelli utilizzati da chi? E come? E con quali risultati? E… altre domande se ce la facciamo.

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(1) Stesso tema in copertina dell’Economist, ma non l’abbiamo fatto apposta! Editoriale“briefing” con un sacco di dati, rif. anche il paper di S. Bhatt et al. su Nature che segnalavo ieri, con un modello per stimare la regressione della malaria in Africa subsahariana.

2 commenti

  1. Una domanda molto naive sull’epidemiologia e’ se la causa/mezzo di diffusione deve essere per forza un input, o puo’ essere anche un output.
    Cioe’ se dall’epidemiologia e’ stato mai possibile capire un vettore di una malattia prima che fosse indidivuato sanitariamente.
    Cioe’ se c’e’ un ruolo per una “diagnostica” epidemiologica
    In secondo luogo c’e’ la ricerca epidemiologica legata al nucleare, ma quella e’ un’altra storia…

    1. Andrea,
      c’e’ un ruolo per una “diagnostica” epidemiologica
      penso proprio di sì, ne ha fatti anche Capasso. Adesso ci sono modelli di tanti tipi, ma sono cominciati con la causa come output, mi sembra. A metà ‘800, la gente moriva di colera dovuto “all’aria cattiva” si credeva all’epoca. John Snow ha fatto togliere la leva della pompa per l’acqua di Broadstreet, l’epidemia è finita. Ha collegato le pompe di Londra a dove abitavano le vittime, dimostrando che c’era un patogeno nell’acqua prima, il vibrione s’è trovato dopo. Nel caso delle zanzare vettore della malaria, Ross aveva fatto un modello “a occhio” – geografia, monsoni e densità della popolazione se non ricordo male – per capire da dove arrivava il plasmodio che aveva scoperto nel sangue dei suoi pazienti.

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