E’ uscito il Global Hunger Index 2015, dell’IFPRI, il decimo della serie. Conferma i progressi, le grandi carestie del secolo scorso che uccidevano più di un milione di persone non ci sono più. Ma nelle otto paginette di “Armed conflict and the challenge of hunger: Is the end in sight?” Alex de Waal (ne parlo spesso perché le sue critiche mi sembrano fondate) fa presente che “fame e guerra” cavalcano di concerto e che i conflitti si moltiplicano:
It is clear that conflict is the main cause of persistent severe hunger. Might hunger—whether in the form of famine, chronic malnutrition, or general deprivation—also be a factor that drives conflict? Possibly, but it’s less likely.
Hunger certainly figures among the causes, but how it plays out varies by context. Such complexity means we must be exceptionally careful when drawing conclusions about any one driver of conflict. In countries such as Afghanistan, Colombia, Congo, Sudan, or Yemen, patterns of violence are turbulent. Like the waters of a fast-flowing mountain stream, they are chaotic from one moment to the next, but retain a recognizable structure over time. If a researcher takes the data for violence in any particular country over any particular period of time, feeds them into a computer, and looks for correlations with weather patterns, market prices, malnutrition levels—or any other indicator—some correlation will always arise. However, most of these associations fade away upon closer scrutiny (Buhaug et al. 2014). Too often, though, researchers’ disclaimers about the uncertainty of their findings are set aside when their findings are synthetized and popularized.
Rif. anche il rapporto della FAO su agricoltura e fame di cui soffrono innanzitutto le contadine e i loro figli:
Programmes targeted at women have stronger food security and nutrition impacts. Programmes that are gender-sensitive, reduce women’s time constraints and strengthen their control over income enhance maternal and child welfare. This is especially important because maternal and child malnutrition perpetuate poverty from generation to generation
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Povero Indur Goklany, appena il tempo di ripetere che le emissioni di CO2 fanno solo bene (rif. il post di ieri) trac, esce un’altra ricerca che lo smentisce. Sui PNAS, gli australiani Ivan Nagelkerken e Sean Connell analizzano i risultati di 632 esperimenti:
Analysis of responses in short- and long-term experiments and of studies at natural CO2 vents reveals little evidence of acclimation to acidification or temperature changes, except for microbes.
… many species communities and ocean habitats will change from their current states. Ocean acidification and warming increase the potential for an overall simplification of ecosystem structure and function with reduced energy flow among trophic levels and little scope for species to acclimate. The future simplification of our oceans has profound consequences for our current way of life, particularly for coastal populations and those that rely on oceans for food and trade.
Com. stampa. Secondo l’Onu, 2,6 miliardi di persone dipendono dagli oceani come fonte primaria di proteine.
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Quattro giorni fa, la NOAA pubblicava i nuovi dati satellitari del Coral Reef Watch. Il Mar Giallo è conciato come il Mar d’Aral e – salvo negli USA che cercano di limitare il degrado – i grandi laghi d’acqua dolce non stanno molto meglio. Oggi, ricevo questo com. stampa del CNR
Allarme sulle condizioni di salute del Lago Ciad, il bacino idrico quarto per grandezza in Africa, a rischio di scomparire per cause ambientali e cattiva gestione delle sue acque. Fondamentale per la sopravvivenza di oltre 30 milioni di persone, molte delle quali sono potenziali migranti forzati, il lago si è ridotto in cinquant’anni a meno di un decimo della estensione.
Il 14 ottobre una conferenza internazionale organizzata in Expo da Cnr, Fao, Cia, Società geografica italiana e Accademia nazionale delle scienze fa il punto sulla situazione e sui possibili interventi…
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In 25 anni, i sunti per decisori dei rapporti IPCC – soprattutto quelli del Working Group 3 con i possibili interventi – sono diventati ancora meno leggibili dei paper scientifici, stando al test Flesh Reading Ease usato da Ralf Barkemeyer, Giulio Napoletano et al. che pubblicano i risultati su Nature Climate Change. Sulla scala DICTION di ottimismo, invece, gli articoli nei media “di qualità” e “tabloid” sono i più pessimisti.
Quei sunti sono scritti da scienziati, ma poi sono modificati dai politici dei vari paesi che li controllano parola per parola e tolgono quelle che il loro governo non gradisce. Secondo Quirin Schiermeier e Jeff Tollefson :
To improve the readability of its works, the IPCC plans to seek advice from communication specialists.
Nel senso di spin doctors?
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