Quando la superpotenza pensa ad altro

Ieri a Milano c’erano i colleghi di Action Aid Danimarca, altro paese che ha tagliato i fondi per gli aiuti umanitari. Anche l’Italia, ma almeno ha approvato il DDL anti-povertà.

Mentre si sgranocchiava qualcosa al buffet, si contemplava “un tantinet soit peu la situation historique”, come il duca d’Auge nei Fiori blu di Queneau.

Da gennaio, l’Onu chiede un giorno sì e l’altro no ai governi membri di versare i fondi promessi al World Food Programme: $4,4 miliardi entro giugno per circa 15 milioni di persone senza cibo – causa  guerra – in Yemen, Somalia, Sudan Meridionale e nord-est della Nigeria. Solo per distribuire razioni di emergenza, s’intende, non per sfamare le popolazioni colpite dalla siccità nel Corno e nell’Africa subsahariana fino al prossimo raccolto, che sono circa 300 milioni. Il WFP ha ricevuto per ora $90 milioni.

Nel 2015 gli Stati Uniti avevano supplito in parte agli impegni rinnegati dagli altri governi e pagato 2 miliardi sui 5 spesi del World Food Programme (promessi: 7,9…). Nel 2016, da segretario di Stato, John Kerry ha sbloccato fondi d’emergenza più volte per 1,5 miliardo se non ricordo male.

Ma Rex Tillerson finge di non sentire, ieri la nuova ambasciatrice all’ONU ha risposto all’appello del vice-segretario generale O’Brien con un appello al buon cuore collettivo.

Né l’Unione Europea né la Cina – per non parlare dell’Unione Africana – hanno una macchina rodata come l’USAID (con tutti i suoi difetti, distribuisce $22 miliardi/anno) né esistono altri candidati a primo “donatore” e coordinatore di molteplici programmi umanitari.

Per le Ong accreditate dall’ONU che ci collaborano, è diventato impossibile pianificare, collegarsi, essere più efficaci insieme.

Non è l’unica emergenza priva di una leadership mondiale, ovviamente, ma finora quando a morire di fame erano dei bambini tutti i presidenti americani si erano svegliati, basti pensare al programma PEPFAR di Bush Jr. Sarà stata propaganda, d’accordo, ma sempre meglio dell’isolazionismo attuale salvo per interesse privato in atto d’ufficio.

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Scott Pruitt, il nuovo capo dell’Environmental Protection Agency da sempre difensore del diritto aziendale di inquinare l’ambiente e danneggiare la salute dei suoi abitanti, ha dichiarato in una tv pro-Trump che la CO2 non ha un effetto serra e che gli scienziati non sanno se il clima si sta riscaldando. Gli hanno risposto per le rime a centinaia (nota 1), anche su Nature.

Come per la fame in Africa, molti paesi si affidano all’EPA per le ricerche sui danni degli inquinanti per la salute umana. Non ci saranno più, per via di tagli del 25% al bilancio, del 20% al personale già carente, e di una nuova regola che imporrà ai ricercatori di violare la privacy di pazienti e volontari. In questo caso si può contare sulle agenzie europee (con tutti i loro difetti), come nel caso della Food & Drug Administration, che dovrebbe finire in mano a un lobbista di Big Pharma locali:

Scott Gottlieb may face scrutiny over potential conflicts of interest.

Non vedo perché lui sì, mentre tutti gli altri sono stati approvati. Be’, almeno Ben Carson non è stato nominato segretario alla Sanità.

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Amici preoccupati per i cambiamenti climatici lo sono anche per i tagli alle ricerche in scienze della Terra di NOAA e NASA. Secondo me, danneggiano di più gli USA. In Europa (btw, anche gli ultimi lanci dei satelliti Sentinel sono andati bene), Cina, Giappone si fa ottima ricerca e anche l’India ci si mette.

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Non ricordo un governo che abbia distrutto così velocemente il “soft power” – declinante dalla II guerra in Iraq – che gli Stati Uniti avevano accumulato nel secolo scorso, e trovo strano che il partito repubblicano ne sia così soddisfatto.

I tagli – anche alla sanità, alle nuove conoscenze, alla cultura in generale, alle regole della finanza e della commercio – saranno realizzati nel bilancio del 2018, sempre che siano approvati. Se lo saranno, dubito che Wall Street continui a fare le fusa: senza soft power, che motivo c’è di considerare gli USA una superpotenza economica o il dollaro la moneta mondiale?

Sbaglierò, l’economia non è il mio forte, ma da ieri sera cerco esempi di autarchie prospere. Non me viene in mente neanche uno. Quasi quasi divento ottimista, che stia per finire un’egemonia piuttosto ipocrita?

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Nota 1

Nella marea di repliche, due sono tipiche. Michael Tobis:

I think the job of evaluating and conveying policy salient aspects of science should fall to journalism. If so, they’ve horribly failed.

Facciamo finta che spetti ai giornalisti. Come mai hanno fallito solo dove i politici sono al servizio delle lobby che ne pagano le elezioni?

Stessa domanda a proposito della posizione di David Roberts (Vox)

Explaining the basic facts of climate science (again) is utterly futile if the intended audience rejects the authority of climate scientists and scientific institutions. We’re eventually going to have to grapple with this crisis of authority. Until then, more facts and periodic outbursts of outrage are futile.

In USA e altrove, la maggioranza sociale, politica e perfino religiosa riconosce l’autorità degli scienziati e delle loro istituzioni per quanto riguarda il clima, i vaccini, gli inquinanti ecc. L’intended audience consiste in alcuni politici che riconoscono solo quella del denaro. Come si affronta la crisi? Si fa una colletta per comprarli uno per uno?

Altro esempio:

grande formato

Giovedì citavo il parere schifato di Nature sulla classifica di giornali e siti più accurati nel parlare di scienza, fatta dall’American Council on Science and Health/Real Clear Science. Si tratta di due lobby che fanno lo stesso lavoro sporco di Scott Pruitt, ma un po’ meno legalmente nel caso della prima, come racconta Mark Hoofnagle, dopo Peter Harnick in Voodoo Science e molti altri.

Real Clear Science è uno dei loro siti trash, come Real Clear Politics.

1 commento

  1. Piuttosto confuso…quale è il punto di questo post? Comunque che comunque il mondo dei fatti sia sempre stato slegato dal mondo delle ideologie (cit. siti più accurati nel parlare di scienza) è lampante nella storia umana. La scienza ha prosperato proprio grazie a questa capacità di mettere i fatti davanti a tutto. Io dirò una verità scomoda, nel momento che la scienza è stata investita da una quantità enorme di denaro, e da aspettative di investitori simili a quelle di chi vuole guadagnare un 50% all’anno da investimenti, si è riempita di avventurieri (è la natura umana) che ne hanno danneggiato la immagine. La crisi nasce da lì, dalle promesse non mantenute degli pseudoscienziati che hanno invaso la scienza. Non per niente, oggi la keyword che si insegna nei Ph.D. courses, è comunication & network, not truth above all. Saluti.

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